Lo scorso sei settembre StartUp ha debuttato sulla piattaforma gratuita Crackle di Sony (purtroppo non ancora disponibile in Italia); si tratta di una serie di cui sono stati per ora commissionati dieci episodi, creata da Ben Ketai, già produttore di Chosen con Milo Ventimiglia, anch’essa disponibile su Crackle.
Il nome, StartUp, potrebbe potenzialmente trarre in inganno: ci si figura le innovative e avanguardistiche imprese della Silicon Valley fondate da giovani talenti e finanziate profumatamente.
Questa serie non è ambientata nella Silicon Valley, bensì a Miami, né ha per protagonista un gruppo di giovani menti brillanti che portano in vita le loro brillanti idee. Effettivamente il concetto di fondo rimane, e lo rappresenta la giovane pensatrice laterale Izzy Morales, uscita da Stanford, che da anni dà tutta se stessa nella realizzazione del suo progetto rivoluzionario.
La startup che vorrebbe avviare tramite un cospicuo finanziamento, di cui è alla disperata ricerca, è quella che darebbe alla luce la sua moneta digitale, GenCoin. Come si può intuire l’idea rimanda chiaramente a Bitcoin, una rete digitale peer to peer che proprio per la mancanza di un ente centrale, una banca, permette il trasferimento anonimo di denaro, ed è per questo definita criptovaluta.
Tali premesse sono abbastanza per far sorgere in noi numerosi dubbi circa l’effettiva bontà del sistema che potrebbe potenzialmente creare una valuta simile.
Ed in effetti GenCoin, nelle intenzioni di Izzy, è un mezzo per ovviare l’intervento delle banche, delle regolamentazioni, che spesso impediscono l’accesso ai mezzi di pagamento, soprattutto nelle aree più povere. Con questa valuta chiunque sia in possesso di uno smartphone potrebbe possedere un conto ed utilizzare GenCoin.
“Lo sapevate? Il 50 percento della popolazione mondiale, tre miliardi e mezzo di persone, non ha accesso ad un conto in banca. Ma entro il 2020 quasi tutti avranno un cellulare. Questo è potere. Questo è GenCoin.”
L’intento di Izzy viene però viziato dal principio, poiché incontra Nick Talman (Adam Brody). Nick è un giovane diligente che lavora per una compagnia di investimenti, Valencia, a cui la giovane si è rivolge; ha una solida morale che ha sviluppato in risposta alla dubbia condotta del padre, un banchiere corrotto che manda avanti traffici di denaro paralleli. Quando quest’ultimo gli chiede di sbarazzarsi di due milioni di dollari rubati, Nick per amore finisce con riciclarli e farli sparire proprio usandoli per fondare la startup GenCoin.
Nel primo episodio si profilano tutte le storyline dei personaggi principali, che finiscono inevitabilmente per intersecarsi fra di loro. A questo proposito abbiamo Phil Rask, il disilluso agente dell’FBI interpretato da Martin Freeman, il cui accento americano non esattamente naturale lo porta ben lontano dal personaggio di John Watson di Sherlock, o Lester Nygaard di Fargo. Stavolta interpreta un agente federale arrabbiato ma soprattutto corrotto, che dall’alto della sua posizione tiene in pugno il padre di Nick Talman per una quota del denaro sporco.
Infine incontriamo Ronald Dacey (Edi Gathegi), esponente del traffico di droga nei sobborghi di Miami, che scopriremo avere un particolare legame con un personaggio.
Poste tutte queste premesse, abbiamo già chiara la piega che prenderà questa Serie Tv dopo il primo episodio; dopotutto il suo dichiarato intento è quello di essere un crime che demistifichi il mondo delle startup e ne esplori gli illeciti retroscena.
È subito palese che la GenCoin, da pura valuta digitale che servirebbe nobili scopi, diventerà un mezzo per lavare denaro e alimentare e gestire anonimamente mercati illegali, quale quello della droga, e la sua rete sarà di sicuro interesse di molti soggetti non intenzionati a servire la legge.
Una menzione d’onore va alla ragazza di Nick, sapientemente utilizzata come espediente per offrirci un efficace “spiegone” sulla storia della moneta digitale, ché, devo essere sincera, inizialmente non mi raccapezzavo più di tanto. La sua domanda, che più o meno recitava sulla falsa riga di “ma quindi, in parole povere, che è ‘sta valuta digitale?” è servita a noi profani della finanza a non proseguire con la visione fingendo di aver capito qualcosa.
In sostanza l’inizio di questa serie getta le basi di una serie d’azione e criminalità, in cui vari mondi e realtà apparentemente lontane si scontrano e si intersecano al di sotto della legge.
Il primo è un episodio un po’ povero di contenuto ed azione, ma solo di azione, perché la critica straniera ha denunciato un eccesso di scene di sesso, di cui tre concentrate nei primi venti minuti di cinquanta. Noi non ci pronunciamo in merito, ad ognuno il suo, in fondo.
In effetti, le doverose introduzioni che ha dovuto sbrigare il primo episodio fanno sì che l’inizio sia tutt’altro che esplosivo, ma anzi, piuttosto lento e non particolarmente intrigante.
La sensazione finale è che StartUp possa svilupparsi in maniera coinvolgente, sconvolgente ed innovativa, sfruttando appunto i suoi presupposti in maniera ottimale, o rivelarsi un banale poliziesco come tanti altri, e perciò non aggiungere nulla al genere.
Un ultimo appunto doveroso è sul personaggio di Martin Freeman, Phil Rask: la sensazione che scaturisce dal pilot è che si tratti di una sorta di “pistolero solitario”. La sua funzione all’interno delle dinamiche instauratesi non è assolutamente chiara, e sembra non incastrarvisi. Non si capisce se possa diventare l’antagonista, o una semplice pedina nella rete Gencoin, ma per questo c’è margine negli episodi successivi.
Nessuna certezza e ancora pochi elementi in nostro possesso non ci permettono di affibbiare un giudizio netto a StartUp, ma il tempo per ingranare la giusta marcia stringe, soprattutto per una Serie Tv di questo genere.