Uscita nel 2020 e forte di una riuscita collaborazione tra ESPN Films e Netflix, The last dance è stata un docu-serie capace di raggiungere un successo planetario. Le vicende di Michael Jordan e dei suoi Chicago Bulls si sono dimostrate ancora una volta capaci di catturare gli interessi degli spettatori di tutto il mondo, e in poco tempo la miniserie ha saputo conquistare il consenso tanto del pubblico quanto della critica (curiosi di sentire un’opinione fuori dal coro? Provate qui). Ma l’NBA non è soltanto MJ, e il rinnovato sempre crescente interesse degli spettatori per la formula documentaristica potrebbe indurre Netflix o altri player a spulciare la storia del basket americano alla ricerca di altre vicende che valga la pena di raccontare. (comunque, se proprio vi interessa The last dance, ecco un approfondimento a riguardo)
Per facilitare il lavoro, qui ad Hall of series abbiamo pensato a 6 altre grandi storie NBA che meriterebbero una serie televisiva. La lista che segue non è esaustiva, ma è stata stilita allo scopo di rappresentare al meglio un sport fatto di narrazioni impossibili e spettacoli. I più seri cultori ricorderanno forse Hoop Dreams, meraviglioso documentario degli anni ’90 che riassume alla perfezione come il sogno americano si interseca a doppio filo con la pallacanestro. In quell’occasione, l’attenzione era su due ragazzi che provavano con tutte le loro forze a entrare nella lega; nel nostro caso, il focus sarà invece sui grandi giocatori che ce l’hanno fatta. Nel caso abbiate delle vecchie Jordan per casa da qualche parte, questo potrebbe essere il momento buono per rispolverarle.
Paul Pierce, l’incredibile storia vera di The Truth
Soprannominato The Truth (“La Verità”) da Shaquille O’Neal in persona, Paul Pierce è un perfetto esempio di come il basket venga vissuto per centinaia di migliaia di afroamericani come una possibilità di emancipazione e di riscatto sociale. L’atleta, come molti, è venuto dalla strada, e si è imposto col tempo come uno dei migliori giocatori della sua generazione: stiamo parlando di un campione NBA, un MVP delle finali, e di uno che ha preso parte a ben 10 All star games. Paul Pierce è la definizione del vincente, un talento che al suo apice ha saputo competere ad armi pari col compianto Kobe Bryant.
Eppure, esiste un mondo alternativo in cui tutto questo non è mai accaduto. Il 25 settembre del 2000, Paul Pierce venne aggredito e lasciato in fin di vita, con il corpo martoriato da 11 ferite d’arma da taglio. In quell’occasione fu pugnalato nel volto, nel collo e nel petto, e gli fu spaccata una bottiglia di vetro in testa. Pierce è sopravvissuto per miracolo, e l’NBA l’ha aiutato ad allontanarsi da quel mondo di violenza. Purtroppo, ancora oggi, per molti altri ragazzi la pallacanestro resta solamente un sogno.
Larry Bird e Magic Johnson: la rivalità eterna
La storia dell’NBA è costellata di grandi rivalità, e nel corso di questo articolo avremo modo di vederne diverse. Nessuna, però, ha saputo segnare intera generazione di basket americano come quella tra il leggendari Larry Bird e Magic Johnson, veri e proprio volti della lega per il corso di tutti gli anni ’80. Due geni del gioco, e al contempo due tipi di giocatori completamente diversi: da una parte Bird, uno scorer puro e uno dei migliori tiratori da tre della storia (e anche un grandissimo trash talker, da quel che si dice), dall’altra Johnson, il miglior playmaker che abbia mai messo piede in un campo da basket e un leader nato.
Gli scontri tra i due hanno un qualcosa di impossibile, una magia che avviene solo quando due leggende si affrontano faccia a faccia e ad armi pari. Larry Bird e Magic Johnson hanno rappresentato per il basket quello che per il tennis sono stati Roger Federer a Rafael Nadal, o per il calcio Lionel Messi e Cristiano Ronaldo: competizione allo stato puro, e al massimo livello possibile. (A proposito di Magic Johnson: avete sentito parlare di Winning time?)
Kobe, Shaq e l’impegno contro il talento
Moltissime storie riguardanti Kobe Bryant meriterebbero di essere raccontate, ma è forse nel suo complicato rapporto con Shaquille O’Neal che risiede uno dei punti di partenza più efficaci per comprendere l’entità del personaggio. I due hanno giocato ai Lakers per diversi anni, e insieme hanno vinto tutto quello che si poteva vincere. Stiamo parlando di una delle coppie offensive più dominanti della storia della NBA, un concentrato di talento che è stato per anni interamente inarrestabile.
Poi, il litigio. Shaq non lavora abbastanza, non quanto vorrebbe Kobe, che invece dagli allenamenti è ossessionato. Arriva in palestra prima di tutti e se ne va per ultimo, e pretende che i suoi compagni di squadra reggano il passo. Shaq non ci sta e cambia tutto, firmando nel 2004 con i Miami Heat. È l’inizio di una rivalità spietata, in cui ognuno ha qualcosa di personale di dimostrare all’altro. Da una parte il puro talento di Shaq, dall’altra l’impegno impossibile di Kobe, in un litigio tra due grandi amici che ha segnato la storia della lega in un modo indelebile.
Wilt Chamberlain: l’uomo dei record
Torniamo alle origini, in quegli anni ’60 in cui l’NBA imparava a muovere i suoi primi passi. Le squadre erano primitive, i giocatori in confronto agli standard odierni erano imperfetti. In questo contesto, un cestista si dimostrò capace di certe imprese letteralmente fuori dal tempo. Stiamo parlando di Wilt Chamberlain, l’uomo del futuro. Un giocatore così dominante che a guardarlo sembrava di vedere un uomo adulto giocare contro dei ragazzini delle medie.
Non è un’esagerazione: il libro dei record dell’NBA potrebbe essere per certi versi chiamato “la biografia di Wilt Chamberlain”. Forte di un fisico perfetto per lo sport, la sua presenza in campo era così inarrestabile che la lega ha dovuto inventarsi delle regole apposta per penalizzarlo (stiamo d’altronde parlando di un giocatore che ha tenuto più di 50 punti di media nell’arco di una stagione). Le leggende sul suo conto si sprecano, e una docu-serie rappresenterebbe l’occasione perfetta per scoprirle tutte.
Manu Ginobili, l’argentino che ha sconfitto l’America
Gli Stati Uniti d’America, quando si parla di pallacanestro, sono senza ombra di dubbio la nazione più forte al mondo. La loro selezione nazionale domina da sempre le competizioni mondiali, dimostrando di volta in volta l’assoluto divario che c’è tra loro e tutti gli altri. Eppure, nel lontano 2004, un piccola squadra ha sfidato la superpotenza americana uscendone vincitrice. La nazione era l’Argentina, il contesto era quello delle Olimpiadi di Atene, e l’uomo al comando dell’impresa era Manuel Ginobili.
Lo storia del genio argentino è davvero unica. Una storia che passa anche per l’Italia (dove gioca prima con la Viola Reggio Calabria e poi con la Virtus Bologna). È però assieme ai San Antonio Spurs di Tim Duncan e Gregg Popovich che il giocatore trova la sua consacrazione. Manu ha rappresentato per lo sport un talento unico, capace di mettersi sempre al servizio della squadra. Anche al costo di uscire dalla panchina pur di vincere (e pochissimi sarebbero disposti a farlo). Il trionfo della sua argentina alle Olimpiadi del 2004 rimane la più cocente sconfitta della storia del basket americano, e un perfetta cartina tornasole della portata del suo genio cestistico.