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Siamo davvero sicuri che queste pause di 2 o 3 anni tra stagioni delle serie siano convenienti?

Stranger Things
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Un tempo le cose erano più semplici. Guardavi una serie, finiva la stagione e sapevi che l’anno dopo sarebbe arrivata la stagione successiva. Adesso non è più così. Da qualche anno a questa parte, si sta sviluppando un trend che tende a coinvolgere sempre più serie televisive. Quello delle lunghe pause di riflessione.

Fateci caso, l’abitudine ormai sta mutando: ogni volta che finisce la stagione di una serie che ci piace, la prima domanda che ci facciamo o che facciamo ai nostri amici o sui social è: “Quando esce la prossima stagione?'” A dire il vero è una domanda che facevamo pure prima, ma la risposta in passato era scontata, salvo rarissime eccezioni: “L’anno prossimo”. Adesso no. Adesso le cose sono cambiate, e di serie che distribuiscono la stagione successiva a quella appena conclusa già l’anno dopo, ce ne sono sempre meno.

La prima domanda che viene spontaneo farsi è: “Perchè succede?”. Mentre la seconda è: “Ma questa cosa delle pause funziona veramente? Porta più danni o più benefici a una serie televisiva?”. In entrambi i casi la risposta è varia e variegata. Dipende dalle circostanze e soprattutto da quale serie decide di fare questa mossa, mossa che per alcuni prodotti rischia di rivelarsi un boomerang.

Partiamo dal perchè succede: è facile pensare che il motivo principe sia legato a una mera questione economica. Tempo fa, quando le serie tv non dominavano il mondo in questo modo, quando non avevano tutto questo spazio e non erano un fenomeno di massa tendente a creare una vera e propria dipendenza per il pubblico, generalmente le stagioni uscivano una dopo l’altra, senza pause infinite. Parliamo dell’epoca di Lost, ma anche di quella di Breaking Bad. Poi le cose sono cambiate. Un’infinità di servizi streaming, miliardi di utenti, miliardi di modi di connettersi per gli utenti stessi al fine di condividere la loro comune passione, dall’esplosione dei social ad altro. Tanti, tantissimi soldi in più che girano attorno a questo mondo. E allora le case di produzione si sono adeguate.

“Se c’è tutto questo hype attorno ai prodotti che creiamo, perchè non monetizzarlo al massimo?”

Una serie finita tira ancora grazie all’effetto nostalgia, agli innumerevoli rewatch, al fatto che non tutti gli utenti seguono la serie stessa in contemporanea e molti si prodigano nella sempre più gettonata modalità recupero. E a volte grazie a qualche suggestione legata a possibili reboot, revival, spin-off eccetera.

Ma una serie non finita tira di più. Fa fare più soldi, in media. Con una serie ancora in corso puoi giocarti il discorso dell’attesa per la data, per il trailer, le dichiarazioni degli attori su come sarà la stagione, gli indizi e miliardi di altre diavolerie che tengono il brand ben fisso in alto. Questo almeno in teoria, anche se non vale per tutte le serie (poi ci arriviamo).

Questo aspetto va di pari passo poi con altri aspetti non sottovalutabili: il fatto che nelle serie tv ci siano sempre più attori-pezzi da novanta, che dovranno pur districarsi tra i loro miliardi di impegni. Ma soprattutto un’altra cosa: gli utenti stanno diventando sempre più pretenziosi e se fai un prodotto raffazzonato se ne accorgono e non ti perdonano, per cui tu casa produttrice non solo ti prendi più soldi grazie a questo meccanismo dell’attesa del piacere che è essa stessa il piacere, ma ti prendi pure più tempo per sfoderare, un paio d’anni dopo, un’altra stagione impeccabile sotto ogni punto di vista. Finita la quale, poi, probabilmente aspetterai altri 2 anni per fare uscire quella successiva. Più soldi, più tempo per fare le cose, più gloria. Bingo. Ma non vale per tutti.

E arriviamo alla risposta alla seconda domanda.

“Ma questa cosa delle pause funziona veramente? Porta più danni o più benefici a una serie televisiva?”

Come dicevo sopra, dipende. Tutto l’assunto in risposta alla domanda 1 è risolutivo, funzionale e conveniente solo per certi tipi di serie tv. Parliamo delle serie fenomeno di massa, quelle che se si fermano per 2 o 3 anni hanno la matematica certezza di non essere dimenticate, o soppiantate da altro. Quelle che mediante questo meccanismo d’attesa sono sicure non solo di mantenere intatto il loro valore percepito, ma addirittura di accrescerlo. Due nomi su tutti: Stranger Things e Game of Thrones. Stranger Things e Game of Thrones hanno fatto passare 2 anni tra una stagione e l’altra, e hanno fatto benissimo. Per tutte le ragioni di cui sopra. Perchè Stranger Things e Game of Thrones non sono semplici serie, sono autentici fenomeni mediatici. Sostanzialmente immortali o quasi, potevano addirittura permettersi di stare ferme 3 anni e non 2, con la possibilità di ottenere ulteriori benefici. Insomma, non hanno voluto esagerare, ma la verità è che prodotti come Stranger Things o Game of Thrones possono fare il c***o che gli pare.

Lo stesso dicasi per Black Mirror: anche qua siamo davanti a un fenomeno mediatico, con l’ulteriore vantaggio di essere una serie antologica. Le serie antologiche non hanno il problema di dover mantenere intatte le fila della storia nella memoria di miliardi di persone – memoria occupata ormai dall’uscita di 100mila prodotti televisivi all’anno – e quindi hanno molti meno rischi di finire nel dimenticatoio. Un altro esempio in tal senso è quello di True Detective, che nonostante una seconda stagione criticatissima, con la terza (uscita nel gennaio 2019, a quasi 4 anni di distanza dalla seconda uscita nel giugno 2015) ha letteralmente spopolato. Così come per Stranger Things e Game of Thrones, anche per Black Mirror e True Detective la storia dell’attesa del piacere funziona a meraviglia.

Altre serie per cui questo meccanismo funziona sono quelle che pur non essendo un fenomeno mediatico, hanno una solidità mediatica dimostrata e cresciuta nel tempo. Peaky Blinders e Gomorra, per fare due esempi.

Ma allora, questa cosa dell’attesa che aumenta piacere, soldi, brand e popolarità, funziona per tutte le serie? No.

Molte serie, utilizzando questo meccanismo, in realtà rischiano grossissimo. Rischiano di essere dimenticate o quasi, perdendo la grande popolarità acquisita nel momento di massimo splendore, superate di slancio da nuovi prodotti che probabilmente faranno il loro stesso errore, fino a che questo trend – sanguinoso nella maggior parte dei casi – si interromperà.

Westworld sembrava la serie che avrebbe dovuto dominare il mondo televisivo per il prossimo quinquennio almeno. L’erede di Game of Thrones, per HBO. Nel 2016 fece un boom pazzesco e poi decise di fermarsi, cavalcando il trend del momento. Al suo ritorno nel 2018, quasi 2 anni dopo, le cose erano cambiate. L’hype per la seconda stagione di Westworld era scemato e i risultati sono stati molto meno soddisfacenti rispetto alla scintillante season one.

Mr. Robot probabilmente ha creduto di essere più grande di quello che era. Dopo le prime due stagioni distribuite a distanza di un anno esatto, l’acclamazione di pubbico e critica era alle stelle. Ma Mr. Robot non ha dato il colpo di grazia: un anno e mezzo per la terza stagione era troppo, figuriamoci i 2 anni che stanno passando per la visione della quarta e ultima. Non era ancora a quel livello di potenza mediatica immortale, e le lunghe attese hanno finito per indebolirla. Se 3 anni fa chiedevate a qualcuno cosa fosse Mr. Robot vi avrebbe risposto urlando, oggi quel qualcuno potrebbe dover fare mente locale.

The OA a fine 2016 aveva fatto gridare qualcuno al miracolo e qualcun altro allo scandalo, ma aveva raggiunto una popolarità estrema. Per la seconda stagione di anni ce ne ha messi quasi 3, e tanti saluti a quella popolarità.

Il pubblico attende Dark e Mindhunter, ma pare con un po’ meno foga di prima. Anche qua, troppi i quasi 2 anni di attesa tra la prima stagione e la seconda.

Del resto Stranger Things e Game of Thrones – e con loro le altre serie citate – se lo sono guadagnato. Prima di fare la mossa, si sono guadagnate la certezza di essere fenomeno mediatico totalizzante e assoluto, o nel peggiore dei casi la sicurezza di essere molto solide mediaticamente parlando. Si sono guadagnate la possibilità di prendersi una pausa senza subire danni collaterali. Le loro prime stagioni non hanno avuto distanze siderali l’una dall’altra: hanno lavorato bene su come non farsi dimenticare e poi hanno colto i frutti.

Le pause non fanno bene a chicchessia, e a volte rischiano di rivelarsi autodistruttive per prodotti neonati, che se si fermano per anni non riescono a valorizzare appieno i loro exploit. Una riflessione che le case di produzione dovrebbero cominciare a fare: quello che funziona per uno, non funziona mica per tutti.

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