Ci sono serie tv portentose che hanno saputo riservare la stessa cura maniacale a ogni aspetto tecnico e stilistico. Serie tv come Game of Thrones o Breaking Bad, ad esempio, che hanno affrescato un quadro coeso dove però sono regia e fotografia a svolgere il lavoro più arduo. Serie meravigliosamente sceneggiate, che offrono un insieme di personaggi differenti e trame avvincenti, deve le parole a volte sono addirittura superflue. Esattamente come in quelle ricche di dialoghi struggenti, come Sons of Anarchy o BoJack Horseman, che sfruttano sopra ogni altra cosa la potenza suggestiva dell’immagine. Per non parlare di quelle sceneggiature che ormai sono una leggenda. Come quella de I Soprano (prima nella 101 Best Written TV Series secondo la Writers Guild of America), House of Cards, Colombo, Lost, Mad Men o Dr. House. Prodotti contraddistinti da una scrittura sopraffina, ma che si reggono soprattutto sulla complessità dei loro protagonisti. Si tratta di serie tv diventate memorabili per un insieme gigantesco di elementi. Dove i dialoghi solo uno degli infiniti ingredienti a brillare. Anche nel panorama italiano non mancano esempi di ottima scrittura, da Gomorra, Romanzo Criminale a Strappare lungo i bordi. Storie costellate da dialoghi memorabili e da battute che si prestano alla citazione compulsiva – impossibile non citare Boris – ma che ci appassionano per un insieme variegato di motivi. In questo approfondimento, invece, vogliamo concentrare l’attenzione su quelle serie tv in cui se togliessimo tutto il resto, i dialoghi sorreggerebbero da soli l’intera vicenda. Serie tv che non hanno bisogno di nient’altro per stare in piedi e che mantengono una continuità dialogica costante dall’inizio alla fine. Diamanti, come Succession, che ci tengono incollati allo schermo a partire dai dialoghi.
Ecco quindi 8 esempi di serie tv, come Succession, che possiamo apprezzare anche solo leggendo lo script.
Succession (2018 – in corso)
Iniziamo da Succession: la regina cattiva dei dialoghi superbi. Una produzione HBO raffinata, elegante e strafottente che si regge interamente sull’intreccio e sul ritmo del discorso. Succession non ha ovviamente solo una sceneggiatura brillante. La bravura del cast dà una marcia in più e assicura che ogni battuta sia carica di un’accuratezza interpretativa di livello. Eppure, scommettiamo che anche senza la magnificenza di Brian Cox e il talento di Kieran Culkin, Sarah Snook e Jeremy Strong i dialoghi conserverebbero lo stesso fascino. La scrittura insegue un realismo esacerbato, tanto che abbiamo l’impressione di trovarci lì con loro, a spiarli una conversazione dopo l’altra. I dialoghi, forse i più credibili dai tempi de I Soprano, non sono verosimili, ma veri. I personaggi balbettano, si bloccano e parlano come parlerebbe una persona nella vita reale. E nonostante quasi mai dicano la cosa giusta, ci stregano. Le fandonie che escono dalle loro bocche sono tanto imbarazzanti quanto veritiere.
Siamo sempre certi che le parole che pronunciamo siano intelligenti, ma purtroppo il più delle volte è solo una nostra convinzione. Nella realtà, fin troppo spesso, la differenza tra ciò che intendiamo dire e ciò che effettivamente diciamo è abissale perché non esiste un deus ex machina a sistemare le parole e a ordinare i nostri pensieri. Ed è qui che i dialoghi di Succession compiono il miracolo, assicurando che i personaggi interagiscano tra loro come avviene normalmente, senza filtri e senza correzioni stilistiche. Dunque se c’è bisogno di essere cringe, come Roman, che cringe sia. Nessun monologo toccante. Tutto scorre senza filtri e senza censure per dimostrare fino in fondo la loro inadeguatezza come essere umani. Il flusso incessante dei dialoghi segue solo una regola: aderire alla realtà, dimenticando ciò che il pubblico si aspetta di sentire e mostrando invece ciò che accadrebbe se due personaggi idioti come Tom e Greg conversassero nel mondo reale.
Six Feet Under (2001 – 2005)
Un’altra serie corale, come Succession, che basa la sua forza narrativa sul dialogo tra i personaggi. La black dramedy di Alan Ball è una lezione di sceneggiatura. È arrivata con un ventennio di anticipo, aprendo nuovi orizzonti narrativi, e ci ha salutato con un finale coerente, completo ed emozionante. Anche nei silenzi, Six Feet Under assicura una tensione dialettica che potremmo percepire anche leggendola sulla carta. Nella dramedy con Peter Krause e Michael C. Hall i dialoghi ci coinvolgono emotivamente e ci rendono partecipi di ciò che accade qui e ora. Le battute ci portano nel vivo di ogni scena, restituendoci un pezzo di quotidianità che però diventa universale. Six Feet Under non vuole rassicurare lo spettatore. Non vuole sedurlo con grandi lezioni di vita degne degli insegnamenti di retorica di Cicerone. La vita non ha un senso. È terrificante, spiazzante e sconvolgente. E la serie sa raccontarlo, sfruttando i meccanismi del dialogo socratico.
I personaggi non sanno, ma dialogando dimostrano una tesi, la loro, che non è necessariamente giusta o sbagliata. Si tratta di punti di vista differenti che si intrecciano, generando un confronto appassionante. La logica dei personaggi e i loro rispettivi valori sono netti e in opposizione, pensiamo a David e Nate, e i dialoghi si costruiscono proprio sullo scontro dialettico. Gli autori di Six Feet Under hanno avuto il coraggio di fare meno. Un less is more seriale per eccellenza. Esattamente come accade in Succession, o in Fleabag di Phoebe Waller-Bridge, gli autori hanno saputo quando fare meno per restituire dei dialoghi veri, fatti di sussulti, incertezze e pause; di archi narrativi stratificati, a volte imperfetti e incoerenti, che travolgono come travolge la vita stessa.
The Marvelous Mrs. Maisel (2017 – in corso)
La penna di Amy Sherman-Palladino ha sempre dato prova delle sue prodezze, confermate da una pioggia di premi, tra cui quelli come Miglior serie comica e Miglior sceneggiatura per una serie comica ottenuti con The Marvelous Mrs. Maisel. Una comedy spumeggiante che riesce a catapultare nel mondo della stand-up anche lo spettatore seduto sul suo divano. Midge parla costantemente, ma non annoia mai. Si confronta con tutti coloro che incontra, dall’ex marito, la sua agente al panettiere. Ogni scena intavola una discussione che la arricchisce e che ci arricchisce. Miriam Maisel però parla soprattutto con il pubblico. Quando sale sul palco non fa un monologo: dialoga contemporaneamente con gli spettatori in sala, con sé stessa e con noi a casa.
Scrivere una sceneggiatura per un film o una serie tv non è come scrivere un testo di stand-up comey. La fantastica signora Maisel, invece, fa sembrare questo compito difficilissimo come se fosse una bischerata, mantenendo sempre lo stesso tempo comico. La potenza delle parole pronunciate dai personaggi di The Marvelous Mrs. Maisel sta tutta nell’emotività che deriva dallo scambio frenetico di botta e risposta. Una partitura musicale, che segue sempre il ritmo di un pezzo di stand-up. Anche quando i personaggi sono dal panettiere. Sebbene la forza trainante dello show sia la sua protagonista, ogni riga dello script è stata scritta con la stessa accuratezza maniacale. Le battute della serie, caratterizzate dalla coerenza dei dialoghi con l’epoca storica e con le rispettive personalità dei personaggi, funzionerebbero anche in formato audiolibro, impostato su doppia velocità. Come una mitraglietta spara parole che colpisce e ferisce lo spettatore scena dopo scena.
Curb Your Enthusiasm (2000 – in corso)
In Italia Curb Your Enthusiasm non è ancora il fenomeno culturale che meriterebbe di essere. Ed è un peccato perché può essere goduta a pieno anche nel doppiaggio italiano. Quello che rende speciale la serie creata, prodotta e interpretata da uno dei papà di Seinfeld, Larry David, è a tutti gli effetti il dialogo tra i personaggi. La serie si regge interamente sulla struttura dialogica che si ripete identica in ogni puntata. Una volta entrati nel suo meccanismo circolare è impossibile non rimanerne affascinanti. La comedy con Larry David e Jeff Garlin è bizzarra, unica e apparentemente sembra non dire nulla, proprio come Seinfeld. Inizialmente appare come un susseguirsi di situazioni non-sense e misantrope fino a quando non veniamo intrappolati nei suoi ingranaggi. Così ci accorgiamo che ogni battuta è intrecciata con l’altra in uno scambio naturalistico di botta e risposta. Ogni situazione è sostenuta interamente dal dialogo che si costruisce in tempo reale.
Curb Your Enthusiasm, infatti, non ha un vero e proprio script. Ha una struttura narrativa precisa, una scaletta capace di controllare il caos e assicurare che tutto si svolga secondo i piani. Ma i dialoghi sono lasciati all’improvvisazione del cast. Il protagonista assoluto è lo scambio di battute tra attori che non solo sanno recitare, ma sanno cosa fare del loro personaggio. Anche se la loro presenza si limita a poche battute. Il processo creativo di Curb Your Enthusiasm è complesso, eppure il risultato finale appare semplice. Un lavoro portentoso che funziona contro ogni aspettativa. Ogni episodio viene girato lasciando una grande libertà espressiva agli attori. Nessuno sa bene come andrà. I dialoghi si scrivono “da soli”, arrampicandosi su uno scheletro deciso a tavolino e lasciando che ciò che deve accadere, accada. C’è un plot e dei punti da seguire, ma il copione è striminzito: dal punto A al punto B c’è solo la bravura degli attori che agiscono e reagiscono. Insomma un miracolo narrativo imperdibile. Una costruzione testuale impeccabile che mette in scena tutte le ipocrisie e le contraddizioni della società. Piccole verità quotidiane, contenute in dialoghi intrisi di una spontaneità unica che una volta pronunciati funzionerebbero anche a teatro o impressi sopra il cartone del latte.
The Young Pope (2016)
L’opera di Paolo Sorrentino, a cui seguirà The New Pope, è impeccabile sotto ogni un punto di vista: dalla recitazione alla scelta del cast; dall’ensemble dei personaggi alla fotografia; dalla realizzazione delle scenografie, soprattutto la ricostruzione puntuale della Cappella Sistina, passando per la colonna sonora fino alla combo inconfondibile di regia sorrentiniana più fotografia di Luca Bigazzi. Eppure, al centro di questo spettacolare affresco di tecnica e stile, campeggia la sceneggiatura curata da Sorrentino e il suo team, composto da Stefano Rulli, Tony Grisonim, Umberto Contarello.
La scrittura delle opere del regista campano riflette il suo peculiare approccio alla vita, dove grottesco, ridicolo e comico si fondono alle tematiche più serie, sacre e profane che siano. Una combinazione stupenda di riso e pianto, dove il massimo del disperato coincide col massimo del comico, per usare le parole di Sorrentino. Se è innegabile che il ruolo dell’immagine, iperbolica e felliniana, nella sua opera sia predominante, è altrettanto vero che potremmo estrapolare le battute di ogni scena e godere della vicenda anche se restassero solo sulla carta. L’intensità e la complessità delle riflessioni proposte, infatti, non verrebbe scalfita. Tutti i dialoghi sono solenni, contraddittori e spiazzanti, in ogni momento. Dai singoli confronti tra Voiello e Gutierrez a quelli tra il Papa Pio XIII, i cardinali, Sofia, Esther e lo stesso Dio. Confronti che ci tengono incollati scena dopo scena, rendendo impossibile abbandonare la visione. Un susseguirsi incalzante di scambi dialettici intimi e profondi che ci sfiancano, ma che alla fine ci appagano.
Battlestar Galactica (2004 – 2009)
Battlestar Galactica è uno dei franchise fantascientifici televisivi più longevi e amati di sempre. Creato da Glen A. Larson con la serie originale del 1978, è tornata nel 2003 come miniserie, poi nel 2004 con una versione seriale reinventata da Ronald D. Moore. Come ogni buon racconto di fantascienza, anche Battlestar Galactica assicura una varietà di tematiche complesse di natura filosofica, antropologica e religiosa. Eppure più che una serie sci-fi è un dramma umano a tutti gli effetti che sa offrire perfino un nuovo approccio alle tematiche classiche da sempre affrontate della fantascienza. Le riflessioni proposte sono originali e spaziano da quelle sui complicati rapporti umani a quelle tra l’essere umano e le macchine, dalle considerazioni di natura politica a quelle di natura sociologica.
Da ogni dialogo emerge la capacità degli autori di delineare limiti e virtù dell’essere umano. Si sottolinea il diritto all’esistenza, la paura del diverso, il desiderio di esplorazione, i limiti del progresso e il diritto a esistere. Però, contrariamente a quanto ci si aspetta da una space opera, invece di trovarci davanti a un susseguirsi di battaglie spaziali mirabolanti, l’azione si svolge prevalentemente in spazi chiusi e ristretti, dove sono i dialoghi a sorreggere l’intera impalcatura narrativa. Il dilemma esistenziale permea ogni scambio di battute. Eppure i dialoghi non si limitano a coinvolgere solamente i personaggi che agiscono sulla scena. Lo spettatore è reso partecipe e non può sottrarsi alle domande fondamentali che vengono poste. Così non ci resta che lasciarci trascinare scena dopo scena, dialogo dopo dialogo per ben 4 stagioni.
The West Wing (1999- 2006)
The West Wing: un’altra serie tv monumentale che come Succession e Curb Your Enthusiasm non riesce a fare breccia nel grande pubblico italiano. Eppure, anche in questo caso, i dialoghi non perdono di intensità né fuori dal territorio statunitense né con il doppiaggio italiano, impeccabile e fedele. Qualunque sia la diffidenza del popolo italico, la serie di Aaron Sorkin è un esempio di scrittura seriale con pochi eguali. Un’opera solida di genio politico e antropologico, con un impianto narrativo articolato tanto quanto la Costituzione degli Stati Uniti (e il suo intricato meccanismo elettorale). Nel 2012 Aaron Sorkin riproporrà con successo lo stesso esperimento con The Newsroom. Un’altra serie “da leggere”, una West Wing dei media, molto accurata, ma non torbida quanto Succession.
Sebbene l’interpretazione del cast sia eccezionale, potremmo godere a pieno di ogni scambio di battute anche senza guardare lo schermo. In The West Wing non esistono momenti dove l’intensità narrativa si spegne per far respirare la storia. Lo spettatore non ha il privilegio di metabolizzare quanto ha appreso, così come non ce l’ha lo staff del presidente, operativo e vigile h24. Anche noi dobbiamo armarci di penna e taccuino per non perdere il filo del discorso. Ma soprattutto per fare tesoro delle importanti lezioni di etica e di politica che vengono snocciolate in ogni dialogo. E che, a quanto pare, nella politica reale non vengono messe in pratica! Ogni situazione, dalle più istituzionali alle più leziose, garantisce una costruzione dialogica formidabile. Non importa che a parlare sia il presidente con la sua segretaria, il capo di gabinetto con lo staff o il presidente con l’Onnipotente: la tensione argomentativa è sempre ai massimi livelli.
The Crown (2016 – in corso)
The Crown non ha un’unica colonna portante capace di sorreggere tutto l’armamentario. L’elenco degli attori strepitosi che si sono susseguiti nel corso delle quasi cinque stagioni è imbarazzante quanto a magnificenza: Claire Foy, John Lithgow, Olivia Colman, Helena Bonham-Carter o Gillian Anderson, per citarne alcuni. Ma se c’è qualcosa che contraddistingue la serie ideata da Peter Morgan è l’attenzione rivolta alla conversazione. The Crown è forse un trattato sull’arte della conversazione stesso, un’arte che tutti vorremmo padroneggiare.
I dialoghi di The Crown, in perfetto stile royal inglese, si contrappongono per la loro natura artificiosa a quelli di Succession o Curb Your Enthusiasm. Un’artificiosità voluta e in linea con la storia raccontata. Ogni dialogo trasuda solennità, arguzia e magnificenza. I colloqui con la Regina, le cerimonie, come i matrimoni o le incoronazioni, fino agli scambi teneri di battute tra madre e figli non mollano mai la presa. The Crown è un manuale di stile, di retorica e di buone maniere da consultare in ogni evenienza. Eppure nella raffinatezza di ogni scambio di battute, dove ogni parola è misurata e centellinata, ci rendiamo conto che i reali, sebbene sia facile dimenticarlo, sono esseri umani. E i dialoghi di questa produzione Netflix riescono a bilanciare la componente “divina” con quella umana, restituendoci dei dialoghi trascendentali, snob e ricercati, ma pieni di ispirazione e carichi di umanità.
Succession, The Crown, The West Wing e gli altri titoli di questa lista rappresentano delle serie tv “da leggere”. Indubbiamente ogni storia ha bisogno di una combinazione sapiente di tutti gli elementi tecnici e narrativi per stare in piedi. La bravura del cast può addirittura aiutare una scrittura mediocre a brillare. Eppure queste 8 serie tv, come Succession (ma l’elenco sarebbe molto più lungo), dimostrano che dei dialoghi intelligenti e coinvolgenti bastano a tenere incollati allo schermo milioni di spettatori.