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Sulla tv italiana vanno in onda troppi crime drama e alcuni meritevoli vengono ‘oscurati’: ve ne parliamo

Montalbano copertina
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Potremmo dire che oggi è l’epoca d’oro dei crime drama, se non fosse che è sempre stata l’epoca d’oro dei crime drama. Ma se ce ne fossero troppi? E se questo, soprattutto in Italia, ci privasse della visione di qualche serie tv meritevole ma che rischia di essere travolta da un genere inflazionato? Come sempre, nei miei articoli, per la risposta occorre fare un passo indietro.

Partiamo dalla definizione: cos’è un crime drama? Il nome stesso ci dice che è un prodotto (nel nostro caso una serie tv) che ha al suo centro un crimine. Molto spesso il crimine è già stato commesso (o viene commesso all’inizio della storia) e al centro della trama c’è la sua risoluzione, che può essere osservata da tre diversi punti di vista: l’investigatore, il colpevole o la vittima (o il crimine stesso).

Il primo caso è quello in assoluto preferito dalla serialità italiana, in cui il crime però diventa uno strumento per parlare di altro, soprattutto di cose più leggere. Da noi chiunque può risolvere casi: preti, parroci, suore, restauratori, insegnanti, autori televisivi, brigadieri in pensione e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente non mancano le figure ufficiali: ispettori, commissari, giudici, squadre di polizia, carabinieri, R.I.S e così via. Parola d’ordine: sdrammatizzare, perché per morire c’è sempre tempo, ma per una buona risata non bisogna aspettare mai.

Coliandro crime drama
Italian Crime Drama (780×439): L’Ispettore Coliandro è l’esempio perfetto di come coniugare bene crime e leggerezza

Il secondo caso invece è più frequente nella serialità americana. Anche qui il crime drama diventa uno strumento per parlare d’altro – soprattutto la psicologia dei colpevoli – e finisce spesso all’interno di altri generi. Gli esempi sono infiniti e sono spesso diventati dei capolavori imprescindibili della serialità (basti citare solo I Soprano e Breaking Bad per farsi un’idea).

Infine c’è il terzo caso, il più particolare, in cui al centro della trama è il crimine in sé per sé o la vittima. Più raro, perché più complesso da elaborare, comprende nel filone titoli come Tredici o La casa di carta.

Già in questo minuscolo elenco si capisce uno dei motivi del successo del crime drama: la sua capacità di essere al tempo stesso genere principale e filone secondario di una storia, insomma la sua versatilità. Il secondo motivo invece è il suo essere un genere di comfort sia da scrivere che da guardare, perché fatto di blocchi fissi dei quali chiaramente si possono cambiare combinazione e contenuto ma che tali restano: messa in scena del crimine che dà origine alla storia, lotta tra i buoni e i cattivi fino al confronto finale (corrispondente alla spannung, il momento di massima tensione che spesso contiene il colpo di scena), risoluzione (parziale, totale o mancata) del crimine.

Insomma, il crime drama funziona. Ma se sulla tv italiana ce ne fossero troppi? E se per questa sovrabbondanza noi ci stessimo perdendo dei pezzi che invece magari meritano un’attenzione molto maggiore?

Faccio una prova: nel giorno in cui sto scrivendo ci sono crime drama in sei delle prime otto reti nazionali, con Italia 1 che s’è acchiappata (via Mediaset Infinity) tutto il pacchetto di Chicago (Med, Fire e P.D., con relativi crossover) mandandolo in onda con uno degli spot più imbarazzanti che possano essere pensati, con quei poveri attori che devono dire “Italia 1” col pollice alzato;

Poi aggiungiamo canale 20, Rai4, Rai Premium, 27Twentyseven e Warner Tv. Già questi basterebbero a fare una scorpacciata di crime di 4-5 ore al giorno per tutta la vita.

Ma in Italia c’è di più, molto di più: ci sono due canali esclusivamente dedicati al crime drama: Top Crime e Giallo. Ogni giorno, ogni palinsesto, crimini, solo crimini, intervallati da televendite di Mastrota (crimini pure quelli, ma di altro tipo) e pubblicità che spesso sponsorizzano altri crime drama.

E allora, per la famosa legge della domanda e dell’offerta (applicata però alla serialità) maggiori sono i titoli disponibili per un certo genere, minore sarà la nostra attenzione (da utente medio, diciamo) nello sceglierli. Questo è un fenomeno che, applicato in un altro ambito, spiegava benissimo Italo Calvino in uno dei brani più famosi del suo romanzo Palomar, quando il protagonista andava al negozio di formaggi.

E con questo si rischia di perdersi dei prodotti belli, semplicemente perché poco pubblicizzati. Oggi ve ne mostriamo un paio che trovavate proprio sulla programmazione in chiaro italiana fino a poco tempo fa, ma che, annegati nel mare magnum dei prodotti di genere, sono finiti sulle piattaforme streaming che ne hanno intuito il potenziale.

Sono due crime drama anticonvenzionali, perché a loro modo tentano di sfuggire alle convenzioni del genere pur rispettandone la canonicità. Così possono permettersi uno spazio più ampio di azione, per rinnovare la narrazione o inserire messaggi per il pubblico.

Crime drama: Cold Case (850×638)

Il primo è Cold Case, andato spesso in onda su Rai 4 e adesso presente con tutte le sue sette stagioni su Amazon Prime Video. Nella serie, la squadra capitanata da Lilly Rush (una algida Kathryn Morris) si occupa dei delitti irrisolti nella città di Philadelphia; ciò che rende questa serie speciale è il montaggio, che alterna con bravura le fasi legate all’indagine, svolte nel presente, e quelle legate al momento dell’omicidio, spesso avvenuto decenni prima. Spesso, nell’arco di un secondo, lo stesso personaggio si trasforma da vecchio a giovane (ovviamente con l’interpretazione di due attori diversi) e viceversa; inoltre, la stessa natura della serie porta il “morto” a ritornare in vita e agire nei ricordi dei sopravvissuti.

Mentre con la squadra lentamente veniamo a capo del caso di puntata, poi, davanti a noi si dipana la storia degli ultimi decenni degli Stati Uniti. La storia sociale, legata ad abitudini, vizi, prevaricazioni, modi di pensare che sembrano passati ma che tornano purtroppo quanto mai attuali: molti omicidi della serie potrebbero essere classificati come femminicidi o omicidi a sfondo razziale.

Ma di certo, nonostante una struttura forse più rigida anche di molti crime drama, la parte più importante è il finale di ogni puntata, in cui l’assassino viene arrestato e tutti i protagonisti possono finalmente lasciar andare il ricordo di quanto successo, col montaggio che alterna le immagini delle loro diverse età e riporta il vita il morto, per l’ultima volta, prima di lasciarlo sparire definitivamente in dissolvenza. Mentre la squadra chiude definitivamente il caso, archiviandolo come risolto, ogni personaggio chiude i conti a modo suo, liberandosi di ingiustizie lunghe decenni. A parlare è soltanto la musica di sottofondo, il resto è lasciato agli sguardi, alle azioni e alle espressioni del cast. Eccone qui due esempi:

Crime drama: il finale di Cold Case 3×20, giudicato tra i migliori della serie
Crime drama: il finale di Cold Case 3×09

Il secondo crime drama interessante è Motive, molto diverso dal precedente, ma che va premiato per la sua audacia. Partiamo da una domanda: qual è la parte più bella generalmente in un crime? Ma è ovvio, scoprire chi è il colpevole! Ecco, in Motive colpevole e vittima noi li scopriamo prima dei titoli di testa! Quello che ci interessa davvero sapere è il perché dell’omicidio, che viene pian piano scoperto attraverso il rapporto tra il colpevole e la vittima, inizialmente presentati come dei perfetti estranei.

Se l’indagine della Detective Angela Flynn della squadra omicidi di Vancouver segue fondamentalmente un ritmo abbastanza classico, l’idea di portare al centro il movente dell’omicidio rende Motive un misto tra Il Tenente Colombo (dove tutto l’omicidio veniva mostrato all’inizio) e La Signora in Giallo dove invece, se pure il morto è all’inizio, il suo omicidio viene rappresentato solo alla fine, quando il colpevole confessa e parte il flashback.

Ciò che rende interessante la serie è che, anche in un crime fondamentalmente leggero, in cui la protagonista non risparmia battute sferzanti, tutto ruoti intorno alla componente psicologica del caso. E quindi abbiamo un misto, a livello di tono, tra Rizzoli & Isles (o The Mysteries of Laura o simili) da una parte e The Mentalist dall’altra. E non è affatto strano, infatti, che Motive condivida con The Mentalist e Dexter il produttore esecutivo, Daniel Cerone.

Motive resta un crime ben fatto, che sa appassionare, e che mostra come spesso basti pochissimo per scatenare anche il crimine più efferato. Le sue quattro stagioni sono state spesso su Top Crime, adesso invece si ritrovano su Mediaset Infinity e Sky.

E prima che passino anche queste esclusivamente sulle piattaforme streaming, vi indico un paio di serie crime drama che potete vedere gratuitamente e che meritano almeno uno sguardo.

Entrambe sono accomunate dall’avere come singole puntate dei veri e propri film (vi ricordate Sherlock? O, per restare in Italia, I delitti del Barlume? Ecco, il concetto è quello) e quindi dall’essere caratterizzate, per via del loro successo, da tante stagioni da poche puntate l’una. Entrambe poi non devono per forza essere viste dalla prima all’ultima puntata, perché hanno una struttura che permette a ogni puntata di essere “indipendente”.

Partiamo da una serie presente su Giallo che si chiama Vera. La serie inglese è arrivata alla sua dodicesima stagione, sulla tv pubblica le puntate sono in pari mentre su Amazon Prime sono presenti nel catalogo italiano solo le prime due stagioni.

Cos’ha Vera di particolare? Oltre a una fotografia piuttosto interessante (splendidi gli esterni), a rendere particolare la serie è la protagonista, l’ispettore capo Vera Stanhope (interpretata da Brenda Blethyn), che ha una caratteristica che non troviamo spesso nei crime: è una donna anziana.

Lo so, lo so, già siete pronti a dire “E Jessica Fletcher, allora?” “E Miss Marple?”. Sì, ma loro erano delle “civili” che giocavano a fare le investigatrici, mettendo tutto il carico di ironia derivante da questi equivoci. Qui invece il crime è piuttosto serio e mostra la difficoltà di una rappresentante delle istituzioni a gestire i casi ma allo stesso tempo le condizioni fisiche e caratteriali derivanti dalla sua età. Ne risulta un modo “nuovo” di condurre le indagini che potrebbe piacere a chi cerca una via diversa dai crime drama tradizionali.

L’altro prodotto che merita la vostra attenzione è invece una serie di film di produzione franco-belga che iniziano tutti, nella traduzione italiana, con “Delitto a…“. Finora sono andate in onda dieci stagioni con circa un centinaio di film in totale (compresi diversi speciali). Ogni film presenta una squadra investigativa diversa (alle prese con casi apparentemente irrisolvibili e spesso con l’ombra del paranormale) senza alcun collegamento con le altre, quindi possono essere visti nell’ordine che si preferisce.

Ma perché questa serie meriterebbe una visione tra tante altre? Perché sembra essere stata scritta di concerto con il ministero del turismo francese, visto che è ambientata nei posti più belli mondo che hanno a che fare con i nostri cugini d’oltralpe! I panorami sono spesso spettacolari, non mancano riprese in campo aperto e anche solo leggere i titoli è una lezione di geografia (e di storia del colonialismo…). Si passa dalla Bretagna, del primo episodio, alla Loira, a Cognac, Champagne (e non vuoi metterci i prodotti tipici?) fino ad andare a decine di migliaia di chilometri dal vecchio continente, toccando la Polinesia Francese, con Tahiti, ma anche i Caraibi. E se vi mancassero le mete montane, ecco il Giura e i Pirenei tutti per voi.

“Delitto a…” è una vacanza a costo zero nell’ambito delle indagini su un omicidio. Al momento la si trova su Top Crime e non sulle piattaforme.

Perché il crime è come un armadio pieno di vestiti (ovviamente tutti gialli!): la disponibilità è enorme ma bisogna saper scegliere i preferiti. Noi, in questo articolo, siamo stati un po’ i vostri personal stylist: fateci sapere se ci abbiamo azzeccato.