A proposito di Susan Lucci e dei primi tra gli ultimi.
“Eterno secondo”. Mai definizione fu più mesta per definire una qualche carriera, in qualunque ambito. Spesso ingenerosamente, visto che secondo devi comunque saperci arrivare. Nello sport, in primis, dove verrebbero in mente tanti spunti in tal senso. Pensate per esempio all‘Olanda del calcio, sconfitta per tre volte in finale ai Mondiali con una delle nazionali più forti di tutti i tempi, all’allenatore Hector Cuper o al ciclista Raymond Poulidor, sul podio del Tour de France per la bellezza di otto volte senza mai vincere una sola volta – né indossare la maglia gialla per un singolo giorno – nell’arco di quattordici partecipazioni. Fu soprannominato in Francia “L’Éternel Second”, e in fondo fu amatissimo anche per questo.
Anche nel mondo della musica ci sono dei nomi interessantissimi in tal senso. Uno, su tutti: Toto Cutugno. Il cantautore, infatti, si distinse nel corso della sua lunga carriera sanremese per un poco invidiabile primato, piazzandosi al secondo posto per addirittura sei volte (quattro delle quali consecutive). L’artista fu un “perdente di successo”, aggiungerebbe qualcuno, ma tralascerebbe dei dettagli non da poco: Sanremo, tutto sommato, lo vinse in un’occasione, trionfò all’Eurovision – l’ultimo italiano prima dei Maneskin – e ha venduto qualcosa come cento milioni di copie. Perdente a chi, allora?
Ci torneremo, ma ora vi raccontiamo la storia di una donna che ha offerto una dimensione completamente diversa alla definizione. C’è un’attrice che ha ottenuto la bellezza di ventuno candidature agli Emmy, vincendolo solo una volta. Dopo vent’anni e diciotto candidature da miglior attrice protagonista nel daytime, segnate da clamorose sconfitte e da un percorso verso il successo che si è tramutato in una vera propria odissea.
Oggi, allora, vi raccontiamo la storia dell’eterna seconda tra gli eterni secondi, la dominatrice indiscussa di una categoria in cui nessuno ambisce a entrare: Susan Lucci.
Susan Lucci? Susan Lucci chi, si domanderà qualcuno.
Sì ok, il nome potrebbe non dire niente al pubblico più giovane, ma dirà tantissimo a tante vostre nonne: questa è una vera e propria leggenda del panorama televisivo statunitense. Susan Lucci, infatti, è stata protagonista per decenni di una soap opera iconica, All My Children (conosciuta in Italia col titolo La valle dei pini), andata in onda sulla ABC dal 1970 al 2011: quarantuno anni, ininterrotti. E Susan Luci è sempre stata là, dall’inizio alla fine. Immutabile e implacabile, eterea ed eterna. Nei panni dell’indistruttibile Erica Kane, personaggio che incarna un manifesto onestissimo della resilienza (almeno quanto la sua interprete): sposatasi undici volte con otto uomini diversi, ha avuto una vagonata di figli e nipoti, è sopravvissuta a un incidente aereo e a uno stradale, ha combattuto contro il fantasma della droga ed è diventata proprietaria di un’azienda di cosmetici dopo aver iniziato da zero. Wow.
Nel 1991, Erica Kane era, secondo TV Guide, “il personaggio delle soap opera più famoso nella storia della tv”. Se la soap opera fosse andata avanti ancora un po’, sarebbe diventata pure la prima Presidente donna degli Stati Uniti e sarebbe arrivata a piedi su Giove nel corso di una diretta su TikTok, ma a un certo punto si è deciso di staccare la spina. Perché tutto ha una fine, persino le soap opera.
Bene, quanti premi avrà mai vinto una così? Tantissimi, no? Beh… no.
Qualcosa qua e là, ma mai un Emmy per decenni. Mai uno straccio di statuetta dal 1978 – anno della prima famigerata candidatura – al 1999, momento in cui la sua avventura surreale culminò nell’agognata conquista del premio. Diciotto candidature da miglior attrice protagonista, zero premi. E visto che le parole non rendono mai l’idea quanto certe immagini, quello che segue è il resoconto che potete trovare su Wikipedia.
Basta questo per prendere coscienza dell’incubo vissuto dalla povera Susan Lucci. Altro che DiCaprio agli Oscar.
L’attrice, dal canto suo, visse con particolare frustrazione gli eterni secondi posti per diversi anni, caratterizzati peraltro da alcuni passaggi che sembrano quasi una presa per i fondelli. Per dire: Susan Lucci fu protagonista de La valle dei pini per 41 anni e 10.755 episodi – sì, 10.755 – senza mai vincere un Emmy che fosse uno, ma in compenso Sarah Michelle Gellar – sì, Buffy l’ammazzavampiri – lo vinse nel 1994, prima di lei, dopo aver recitato nella medesima soap opera per “soli” ventotto episodi. Come avrà mai reagito, la nostra eroina? A quanto pare, non benissimo. Ma a un certo punto qualcosa cambiò: Susan Lucci iniziò a vivere la “maledizione degli Emmy” con autoironia, arrivando a mettere insieme spot pubblicitari e partecipazioni al Saturday Night Live in cui trasformò se stessa in una sorta di meme ante litteram, scherzando a lungo sull’infinita lista di insuccessi.
Apparentemente, si era arresa all’idea di essere un’eterna seconda. Ma spesso le apparenze ingannano: come ha avuto modo di dichiarare in tempi recenti, “sono sempre stata una persona che non accetta mai un no come risposta. Non alzerò mai le mani per dire: ‘Questo è tutto'”.
Non a caso, la sua è una storia a lieto fine. Nel 1999, infatti, Susan Lucci, ormai icona indiscussa dei Daytime Emmy, riuscì finalmente a vincere un premio che per molti versi era già stato suo di diritto nei vent’anni precedenti. Anche in questo caso ci sono delle immagini che parlano molto più delle parole: il video che segue immortala il momento in cui conquistò l’agognato Emmy, dando vita a uno dei momenti più emozionanti e intensi nella storia della cerimonia.
Un boato accolse il suo nome al momento dell’annuncio dei candidati, e un altro ancora più fragoroso celebrò l’annuncio del suo trionfo, portandola sul palco in lacrime. Susan Lucci non riuscì a parlare per oltre un minuto: troppo forti le emozioni provate, troppo coinvolgente il calore dei presenti e del pubblico a casa, testimoni di una storia meravigliosa. Il resto sono dati per gli annali: giusto per non perdere le vecchie abitudini, l’attrice perse poi altre due volte nella medesima categoria, portando il numero complessivo di candidature a ventuno (un record difficilmente superabile), ma in compenso ha ottenuto anche un Emmy alla carriera – sacrosanto – e ha condotto la cerimonia in quattro occasioni differenti, conquistando inoltre una stella nella Hollywood Walk of Fame e una statua nel celebre museo delle cere Madame Tussauds, a New York.
La sua carriera, peraltro, non si ferma certo ad All the Children: Susan Lucci è stata grande protagonista di Dallas e ha recitato in decine di altri film e serie tv, mostrando di essere tutto meno che una perdente. Tantomeno, “la prima degli ultimi”.
L’espressione che utilizziamo non è casuale: arriva dritta dal quinto episodio della seconda stagione di Welcome to Wrexham, una docuserie che in teoria dovrebbe parlare solo di sport ma ne parla talmente tanto da affrontare pure tutto il resto.
I secondi sono i primi tra gli ultimi, a parer loro. E loro, di secondi posti, ne sanno qualcosa. Abbastanza da aver dedicato un intero episodio al tema. Il Wrexham, infatti, ha popolato mestamente la “non-league” britannica per oltre quindici anni, inanellando nel tempo una lunga sequenza di risultati ingloriosi avessero abbiano alle spalle una storia d’altissimo profilo. Tra gli altri, detengono persino il primato destinato alla squadra non promossa col numero maggiore di punti fatti in una stagione, ma pensate davvero che qualcuno abbia mai avuto voglia di festeggiare?
Con ogni probabilità, no. Così come non hanno festeggiato l’Olanda o Poulidor negli anni più bui, Toto Cutugno per quasi un decennio o la nostra Susan Lucci, protagonista di una storia che abbiamo conosciuto grazie alla docuserie con protagonisti Rob McElhenney e Ryan Reynolds, un altro esperto del tema grazie ai numerosi secondi posti ottenuti al botteghino.
Dove vogliamo andare a parare con questa storia? In fondo, da nessuna parte: vi risparmiamo la solita retorica incentrata sulla funzione formativa delle sconfitte.
Al di là di come la si veda e dalla ragione che ci possa essere in tali considerazioni, occupare il gradino intermedio del podio non piace a nessuno. Fa schifo, e il resto sono argomentazioni destinate alla metabolizzazione della sconfitta. Ma in compenso si può fare quello che ha fatto Susan Lucci nel momento in cui ha ritirato il suo bellissimo Emmy: invece di concentrare l’attenzione sull’infinita lista di sconfitte, si è focalizzata sull’importante numero di volte in cui le sue interpretazioni hanno meritato una candidatura.
Così fa meno male, se si considera il fattore dopo aver subito una delusione? No, ma emerge una realtà che consolerà gli eterni secondi giunti fin qui: se si arriva a essere secondi talmente tante volte da esser passati alla storia per questo, si finisce per ottenere una qualche vittoria di rilievo pure da ciò. Perché è vero: i secondi sono i primi tra gli ultimi, ma sono pur sempre primi. E non corrono manco il rischio di stare antipatici ai più invidiosi: al contrario, si verrà amati un po’ da tutti.
Come è successo a Susan Lucci, la perdente di maggior successo nella storia della televisione americana: chi non avrebbe voluto abbracciarla dopo l’ennesima sconfitta? Chi non avrebbe voluto farlo dopo il trionfo? Chiunque, ne siamo certi. L’avete sentito il boato che l’ha accompagnata sul palco quando si è realizzato il sogno di una vita, arrivato dopo una vita dalle troppe sconfitte? Chi non vorrebbe viverne uno da protagonista? Allora, nel dubbio, non smettiamo di crederci anche quando il destino sembra aver scritto un finale indigesto: non si sa mai. Il successo potrebbe essere dietro l’angolo, anche se quell’angolo è su Marte.
Antonio Casu