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Siamo proprio sicuri di non aver più bisogno di Serie Tv da 15-20 puntate a stagione?

The Big Bang Theory
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La durata non è un parametro determinante per valutare la qualità di una serie tv. Esistono storie brevissime, ma intensissime, come Fleabag o The Office UK, che con poche stagioni composte da qualche manciata di episodi ci hanno sciolto il cuore. Ed esistono serie tv da 24 episodi a stagione che hanno fatto altrettanto accompagnandoci per mano dal pannolino alla patente: pensiamo ai classici seriali, da Happy Days, Friends fino a The Big Bang Theory. Non esiste una regola universale, è chiaro. Eppure se volessimo trovare un andamento generale, è facile intravedere una tendenza predominante. Le serie tv più impegnative, ad esempio quelle di genere drammatico o i thriller, hanno sempre puntato a un intrattenimento più corposo: meno puntate sì, ma della durata di circa un’ora. Nel panorama comico, invece, negli ultimi anni è lampante un’inversione di rotta rispetto al passato. Se negli anni ’70, ’80, ’90 e primi 2000 le sit-com e le comedy made in USA – eccezioni a parte – erano caratterizzate dalla produzione di tante stagioni da 20-24 episodi ciascuna, negli ultimi anni, invece, ci ritroviamo con stagioni sempre più brevi. Meno chiacchiere, più sostanza, dunque. Così sono arrivate comedy come Ted Lasso di Apple TV o sit-com come Mr. Mayor della NBC a inaugurare una nuova tendenza al grido di the shorter, the better. Basta guardare i numeri per renderci conto che la comicità seriale è entrata in una nuova era dominata dalla brevità. Diamo un’occhiata.

Un intrattenimento lento e dolce, come un amico di famiglia

Happy Days

Come un amico di famiglia che ci viene a trovare senza impegno per scambiare due chiacchiere in allegria, le sit-com e le comedy del passato ci hanno viziati con un lento e dolce rilascio. La tendenza predominante negli anni ’70, ’80 e ’90, per ovvie ragioni di palinsesto, era quella di puntare sul cavallo vincente e farlo correre fino a quando non si reggeva più in piedi. Ogni serie viaggiava sul lungo raggio, con 20-27 puntate a stagione. C’erano Happy Days (1974 – 1984), I Robinson (1984 – 1992), Frasier (1993-2004), Pappa e ciccia (1988 – 2018) o Seinfeld che esordiva nel 1989 con 5 episodi per arrivare a 24 episodi con la nona e ultima stagione del 1997. Relazioni seriali stabili e longeve che sono andate avanti per un decennio rallegrando le nostre giornate con 20-27 episodi a stagione.

Pappa e ciccia, ad esempio, è tornata nel 2018 con l’ultimo capitolo, il decimo (ancora inedito in Italia), che insospettabilmente si è presentato alla nostra porta con una cabaret di solo 9 pasticcini. Una scelta isolata? Assolutamente no! Ma ci arriviamo tra poco. Anche a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000, la tendenza più diffusa era la stessa. Impossibile non essersi imbattuti almeno una volta in That ’70s Show (1998-2006), con i sui 22-27 episodi a stagione. The Office US (2005 – 2013) è partita con 6, come l’originale, e si è accodata alla tendenza degli USA producendo sempre più puntante: fino alla nona (2012-2013) che si è conclusa con 27 episodi. How I Met Your Mother (2005 – 2014): ben 9 stagioni da 20-24 episodi. E The Big Bang Theory (2007- 2019): 12 stagioni con una media di 22 episodi ciascuna.

Insomma: the longer, the better. Un’altra abitudine comune – negli anni ’70 quanto nei primi 2000 – era quella di esordire con una stagione leggera con meno episodi, cioè una mossa cauta e “paracadute”. Poi, se la nuova avventura seriale otteneva un riscontro positivo, ci attaccavano con l’artiglieria pesante in stile Guerra dei cent’anni: tante stagioni con tantissime puntate. L’effetto, non serve dirlo, era quello di renderci dipendenti dai personaggi. Fonzie, Sheldon, Ted Mosby e Rachel Green sono diventati così dei vicini di casa affidabili, con cui scambiare regolarmente due chiacchiere a fine giornata. Ogni settimana ci raccontavano una storia diversa; ogni tanto ci facevano ridere, qualche volta abbiamo pianto per loro o con loro. Ci rendevano partecipi dei momenti più importanti della loro vita. Ci hanno invitato ai loro matrimoni, compleanni, nascite di bambini e in cambio non volevano neppure il regalo. La nostra breve, ma continuativa attenzione e il nostro affetto incondizionato erano più che sufficienti. Una strategia emotiva, che fa del tempo il suo miglior alleato, complice anche la modalità di distribuzione: il rilascio settimanale.

L’eccezione che conferma la regola

Dereck

Non mancano le eccezioni e le mine vaganti. Dalle sit-com animate, come American Dad, I Griffin e I Simpson con i loro 20-24 episodi a stagione fino al caso opposto, come It’s Always Sunny in Philadelphia, una serie uscita nel 2005 che andava in controtendenza, tenendosi sempre al disotto dei 15 episodi. Ci sono gli unicum come Curb Your Enthusiasm, poi, che dal 2000 a oggi sfoggia la stessa caparbietà del suo ideatore: 10 episodi a stagione, cascasse il mondo. E infine c’è Disney+ che ha tagliato la testa al toro puntando su un formato di successo, la miniserie. Poche puntate, ma dense e lunghe. Da WandaVision, The Mandalorian a Only Murders in the Building, la piattaforma di Topolino ha chiarito la sua posizione sin da subito: rubare ogni primato a Netflix combattendo ogni battaglia con una strategia diametralmente opposta.

Su questa scia in controtendenza, gli inglesi si affermano come dei maestri della “guida contro mano”. Il formato “short” è comune alle comedy britanniche. Una comicità unica e particolare che ha saputo fare della brevità il proprio tratto distintivo. Una scelta creativa e stilistica, non certo dettata da strategie commerciali. Come se gli inglesi avessero mai seguito una moda in vita loro! Da The Office UK a IT Crowd, Fleabag, Misfits a My Mad Fat Diary ognuna è un distillato, in pillole, di genialità. In fondo Ricky Gervais – sia con Derek, sia con After Life – è il re della guerra lampo: ci attacca a sorpresa, ci distrugge emotivamente e ci lascia là, a guarire da soli dalle ferite che ha aperto. La durata, infatti, dovrebbe essere una scelta creativa e non una tendenza alla quale sottostare perché in un certo momento storico si è dimostrata la più valida. Ed è qui che arriva il sospetto che l’accorciamento delle stagioni delle comedy più recenti, come Ted Lasso, sia una mossa spinta solo da esigenze di mercato.

Dal 2013 qualcosa è cambiato

Brooklyn Nine-Nine

A un certo punto, eccezioni a parte, le serie tv – in particolar modo le comedy e le sit-com – hanno iniziato ad accorciarsi. The longer, the better ha lasciato il posto a tanti contenuti in formato tascabile. Persino le serie tv che partivano da una struttura classica, come Modern Family, con le sue gustose 22-24 puntate a stagione, ha iniziato una lenta e progressiva discesa fino ad arrivare all’11° stagione del 2019 con “soli” 18 episodi. Stesso atteggiamento di Brooklyn Nine-Nine. Arrivata nel 2013, ha resistito con il classico schema da 22 episodi lasciandoci nel 2021 con un’ultima stagione di soli 10 episodi. Two and a Half Men, partita nel 2003 con 24 episodi, nel 2015 ci ha detto addio con 16 puntate. Will & Grace: 22-27 episodi dei primi anni 2000 contro i 16-18 delle ultime 3 stagioni. Parks and Recreation, contro una media di una ventina di puntate a stagione, è terminata nel 2015 con soli 13 incontri. E ancora, da 30 Rock (da 22 a 13 nel 2013) a New Girl (da 24 a 8 episodi del series finale). Community? Idem: da 25 episodi ai 13 delle ultime tre stagioni. Perfino South Park, sempre refrattaria alle mode del momento, è passata da una media di 18 puntate a stagione alle 4-6 delle ultime uscite.

Il metodo Kominsky

Insomma, pare che intorno al 2013 quasi tutti i network abbiano iniziato a tagliuzzare. Tant’è che le sit-com e le comedy più recenti sono arrivate nei nostri salotti già in formato mini. Ad esempio, The Good Place (2016- 2020): quattro stagioni con 12-13 episodi, certo meravigliosi, ma chi non avrebbe barattato un episodio bottiglia di una serie a caso degli anni ’90 per vedere Janet, Michael o Jeson ancora all’opera? Sex and the City, serie di culto HBO con i suoi 18 episodi, è tornata con un sequel, And Just Like That…, con sole 10 puntate (sebbene abbiano una durata maggiore). Il metodo Kominsky (2018 – 2021), una brevissima e intensissima vicenda che con 6-8 episodi di massimo 34 minuti ci ha deliziato, lasciandoci però affamati. Grace and Frankie ci ha graziato con 13 episodi delle prime stagioni e ci ha detto addio regalarcene addirittura 16.

Ma sono ancora troppo poche per delle comedy così brillanti. Ci fanno innamorare, poi ci lasciano in lacrime, troncando la relazione con un frettoloso “sono io, non sei tu”. The Politician, la comedy del 2019 di Ryan Murphy, ci ha onorato della sua presenza con soli 7-8 episodi a stagione, anche se qualcuno di loro sfiora la durata di un mini-film. Young Sheldon della CBS ha iniziato a togliere un episodio a stagione. Ted Lasso di Apple TV+ si è presentata alla nostra porta con soli 10 e 12 episodi. Barry, la geniale dark-comedy dell’HBO del 2018 o Veep (2012 – 2019) che ci tengono incollati allo schermo con una manciata di episodi che però non fanno in tempo ad avvicinarsi che sono già scappati via. E la tendenza the shorter, the better sembra arrivare soprattutto da Netflix. Oltre a quelle già citate, troviamo Emily in Paris, Russian Doll o The Chair. Quest’ultima conta solo 6 episodi da 30 minuti: una durata imbarazzante. La storia, infatti, è molto interessante, apre centinaia di spunti che poi non fa in tempo a sviluppare, lasciandoci confusi e insoddisfatti.

Arrested Development : un caso interessante

Arrested Development

A dimostrazione che avremmo ancora bisogno di serie tv di 15-20 episodi, arriva lo strano caso di Arrested Development. La comedy di Mitchell Hurwitz esordisce nel 2003 con una stagione di 22 episodi; la seconda scende a 18 mentre la terza arriva a 13 puntate. Dopo un momento di stop, la comedy con Jason Bateman torna nel 2013 con 15 puntate criticate duramente per la narrazione troppo complessa. Con il passaggio a Netflix, il suo creatore ha deciso di rimediare, montando di nuovo la quarta con il titolo “Remix della stagione 4: Conseguenze disastrose”. Lo scopo era quello di rendere più lineare la trama, riabbracciando così il formato classico dei 22 episodi da 20 minuti circa. È bello rompere gli schemi e trovare nuovi formati narrativi. Va bene abbracciare nuove soluzioni creative, eppure ci sono generi, come la commedia, che sembrano essere fatti per vivere in formule dal respiro più ampio. La struttura tradizionale in voga per oltre 40 anni funzionava perché lasciava sia il tempo di affezionarsi ai personaggi, sia il tempo per sviluppare a dovere ogni arco narrativo.

Perché le serie tv si accorciano sempre di più?

Ted Lasso

Bill Lawrence è un autore apprezzato e amato, padre di tantissime figlie fortunate, come Scrubs, Cougar Town e Ted Lasso. Oltre alla sensibilità comune a ogni sua creatura, la tendenza ad accorciare sempre di più la storia è una caratteristica che contraddistingue il suo operato. Fino ad arrivare all’esagerazione con Ted Lasso, dove la nostra amatissima struttura di 22 episodi svanisce. Il risultato è pazzesco, ma produrre delle stagioni di una decina di episodi da 30 minuti dovrebbe essere un reato perseguibile per legge. Infatti se proprio volessimo trovarne uno, la durata delle stagioni di Ted Lasso è un difetto fastidioso. Come uno spuntino succulento che fa venire l’acquolina in bocca per poi lasciarci con la fame. Così come fa l’ultima fatica seriale di Robert Carlock & Tina Fey: Mr. Mayor con Ted Danson del 2021. Una storia piccante, esilarante e politicamente scorretta somministrata in 9 episodi tanto brevi quanto divertenti. Per non parlare di How I Met Your Father, lo spin-off sequel di How I Met Your Mother che è tornato con soli 10 episodi, smontando la fortunatissima formula originale. Tutto ciò è crudele.

veep

Dalla CBS, HBO a Netflix, il genere comico ormai è confinato in una struttura composta da poche stagioni di una decina di episodi. Tra tutte però, la piattaforma che ha reso il binge-watching uno sport agonistico, sembra quella più interessata al formato short. A quelle già citate, aggiungiamo anche Atypical, Unbreakable Kimmy Schmidt o Murderville fino BoJack Horseman (2014 – 2020). Sebbene quest’ultima sia perfetta così com’è, avrebbe potuto regalarci qualche episodio in più. I creatori hanno optato per stagioni più brevi, ma almeno sono arrivati a 6. La dramedy animata ha avuto tutto il tempo di raccontare la sua storia, ma sembra assecondare la tendenza, ormai consolidata, di Netflix di puntare tutto sui frullati multivitaminici take away che danno assuefazione e finiscono in fretta. Come se sapessero che 20-25 minuti è la soglia di attenzione ideale da spacciare in una decina di pillole. Dietro questa tendenza, infatti, non sembra nascondersi una scelta creativa, come nel caso delle serie tv britanniche. Potrebbe nascondersi invece una riflessione nata da un’attenta analisi statistica. Come riporta Variety in questo articolo, è dal 2014 che le piattaforme, e in particolare Netflix, starebbero sperimentando dei contenuti sempre più brevi, per assecondare la tendenza degli utenti a guardare serie, film, spettacoli e programmi tv prevalentemente sul proprio smartphone. Netflix, tra tutte, sta sfornando sempre più contenuti ottimizzati per gli schermi mobili:

le sessioni di visualizzazione mobile tendono a essere più brevi: la visualizzazione a lungo termine sui dispositivi mobili sta aumentando man mano che gli schermi dei telefoni diventano più grandi, ma il 47% di tutto il tempo di visualizzazione di video mobili viene ancora speso per clip di durata inferiore a 20 minuti, secondo dati recenti dal fornitore di piattaforme video Ooyala. Inoltre, il 39% del tempo di visualizzazione è attribuibile a clip di cinque minuti o meno.

Più breve, ma intenso è meglio?

Ted Lasso

Nella brevità spariscono tanti espedienti narrativi che ci permettevano di godere di un’esperienza narrativa immersiva. Come gli episodi bottiglia, ad esempio, quelli in cui non succede nulla, ma che regalano l’opportunità di conoscere meglio i protagonisti. Friends, ad esempio, ne ha fatto un tratto distintivo assicurando una media di 24 episodi a stagione. Negli anni ’90 avevamo meno serie tv e meno dispositivi su cui vederle, è vero. Ma in un mondo veloce come il nostro, dove stare dietro a tutti i cambiamenti diventa sempre più difficile, rimpiangiamo la buona e vecchia struttura che ci accompagnava per diversi anni offrendoci delle storie intense, ma diluite in più incontri. Un modo per staccare la spina ed esorcizzare il tempo che passa. Un episodio bottiglia in Ted Lasso, ad esempio, sarebbe un’occasione per conoscerlo sotto una nuova luce. Soprattutto nelle comedy e nelle sit-com la quantità ha una funzione creativa. Permette agli sceneggiatori di esplorare nuovi orizzonti narrativi e di raccontare dei dettagli apparentemente superflui, che invece ci legano indissolubilmente ai personaggi. È il motivo per cui Fonzie, J.D., Pam Beesly, Joey Tribbiani, Sheldon Cooper o Robin Scherbatsky vivono ancora nei nostri cuori. Chissà se sarà così anche dopo anni di distanza dalla fine di Ted Lasso?

La differenza tra struttura tradizionale e versione short è la stessa che c’è tra il ristorante gourmet e la trattoria.

Mr. Mayor e ted lasso

Nel primo si servono pietanze ricercate, che però finiamo in un sol boccone. Nella seconda, invece, sappiamo che ci aspetta un piattone delizioso, ricolmo di fettuccine fumanti che ci sazierà fino alla domenica successiva per anni e anni. È una questione di gusti, certo. Eppure mentre per le comedy inglesi citate o per il formato miniserie (un film più lungo), la brevità è una scelta narrativa consapevole e coerente, per le comedy statunitensi più recenti la motivazione sembra essere di natura commerciale. Che non sempre funziona. Una strategia che punta a stordire lo spettatore, dandogli sempre nuove storie, ma sempre più brevi per poi farlo saltare sul prossimo treno in corsa.

La tendenza delle serie tv di genere comico – soprattutto d’oltreoceano – sembra essere quella di restringere la sostanza. Strizzare la struttura classica della sit-com e della comedy tradizionali in un vestito più corto. Un’operazione a singhiozzo, con storie che ci seducono ma che ci lasciano affamati. Ted Lasso, Mr. Mayor e le comedy citate sono prodotti eccellenti, ma vorremmo qualche puntata in più. Non siamo ancora pronti ad abbandonare la formula classica “tante stagioni-tante puntate”. Abbiamo ancora bisogno di sit-com e comedy, come quelle del passato, in cui potevamo chiacchierare, ridere e piangere con i personaggi, i quali diventavano degli amici di famiglia, fidati alleati di cui sapevamo tutto.

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