3) Maniac
Maniac è una di quelle serie che, nonostante l’alto potenziale, è stata parcheggiata in un angolo della memoria. Un racconto a metà strada tra il fantascientifico e l’onirico, in cui le storie di Owen e Annie si intrecciano in una follia lucida. Perché questa serie sarebbe claustrofobica? Innanzitutto per il sapiente uso dell’estetica retro-futuristica: i laboratori della Neberdine Pharmaceutical sono costituiti da ambienti ristretti, resi ancora più angoscianti dalle luci al neon e dalle misteriose eminenze grigie che comunicano tramite i televisori. Owen e Annie sono solo due delle tante cavie volontarie disposte a sottoporsi alla cura sperimentale che dovrebbe “risolvere ogni trauma”. La coesistenza di più soggetti in un ambiente ridotto, inoltre, contribuisce a fomentare una certa ansia nello spettatore.
Quasi tutti i personaggi di Maniac sono in qualche modo oppressi dai loro pensieri e dalla società che li circonda, costretti a interpretare un ruolo che permetta di essere “normali”. Persino il dottor James Mantleray, responsabile dell’esperimento, dà segni di instabilità sin dal primo momento, quando lo incontriamo alle prese con un’intensa masturbazione virtuale. Tutti paiono essere sull’orlo di una crisi di nervi, piegati dai fardelli della vita. A un certo punto anche GRTA, l’intelligenza artificiale, spiega di sentirsi come se provasse tutte le emozioni possibili contemporaneamente. Cos’è, dunque, Maniac? La goccia che fa traboccare il vaso. L’incontenibile quando cerca di essere contenuto. Il momento in cui un uomo cerca l’aria prima di morire soffocato. Un’esperienza catartica.