Presentata con trombe e fanfare come l’erede di Twin Peaks su questa serie pesa pesantemente un’eredità che non aveva alcun titolo per assumere. L’errore di marketing ha provocato una spasmodica attesa drammaticamente tradita dal risultato. Ingarbugliata, poco coinvolgente e piatta soprattutto per interpreti, Wayward Pines rappresenta comunque un discreto intrattenimento.
Il grande merito della serie sta soprattutto nell’abilità innata del suo produttore esecutivo (e regista del primo episodio) di sorprendere con articolati colpi di scena. La svolta più evidente avviene a metà della prima stagione quando l’insegnante Megan Fisher rivela il folle piano di David Pilcher. Le parole della Fisher si sovrappongono – con una tecnica registica studiatissima – a Ethan che corre nei boschi inseguito dagli Abbies. “Questo è l’anno 4028”.
La nostra mente vaga spaesata mentre proviamo a ricostruire le vicende passate, a ritessere in un filo unitario gli indizi lasciati alle nostre spalle. Dubitiamo ancora ma già in noi si accende la luce di quella candela che ormai illumina il giovane Ben. Le parole di Pilcher si sovrappongono al ritorno a casa del figlio di Ethan, segno di un’assimilazione interiore e una devozione alla causa che ha ormai coinvolto il ragazzo.
