Il realismo ci piace sempre di più. Questo è chiaro dal cinema – dove fior fiore di registi fanno a gara per mettere in scena l’opera più verosimile, onesta e viscerale possibile – ed è chiaro dalle serie tv, dove si va alla ricerca di personaggi realmente esistiti e storie vere sempre più controverse, peculiari, sconosciute al grande pubblico. Le docuserie di vario tipo impazzano, i rockumentaries sono ormai una stabile emozionante realtà, alcune serie come The Wire diventano dei cult proprio perché fanno del cinico realismo la propria bandiera.
Nonostante sia infatti semi-sconosciuta al grande pubblico, The Wire mantiene una valutazione record su IMDb, venendo osannata soprattutto per lo spaccato assolutamente reale della società americana. Come dimenticare poi un altro cult assoluto, quella Skins che ha saputo raccontare l’adolescenza come nessun’altra. Il realismo è sempre stato uno dei grandi generi dell’audiovisivo, ma è fuori discussione che oggi sia un vero e proprio trend di successo.
Ma bando alla ciance, quale potrebbero essere le ottime serie tv che hanno fatto del realismo un vero e proprio marchio di fabbrica? Ne abbiamo selezionate nove per voi.
1) The Wire
Ovviamente la regina incontrastata di tutte le serie realistiche non poteva che essere The Wire. Creata da David Simon andò in onda nei mitici primi 2000, gli anni in cui bazzicavano anche I Soprano e in cui si era appena conclusa la sconvolgente OZ. E non abbiamo scelto due serie a caso, perché questa triade di ottimi prodotti televisivi hanno molte cose in comune: un crudo realismo pessimista di fondo, che non cede poco o quasi nulla alle “romanticizzazioni” da serialità televisiva; una regia senza filtri, che non ti permette di mettere neanche un fragile schermo simbolico tra te e ciò che accade; una recitazione invisibile, che da una parte (come con la regia) ti disarma di fronte alla scena per la quale sei impreparato e dall’altra ti porta a vedere i personaggi come persone reali e non come attori che recitano.
The Wire è un “finto poliziesco”, nel senso che con la scusa di parlare delle indagini della polizia di Baltimora attraverso le intercettazioni (da cui il titolo) racconta invece la società americana nel suo lato più oscuro e marcio, quello delle strette connessioni con l’illegalità e della povertà di una classe operaia al collasso; quello della manipolazione mediale e delle istituzioni disfunzionali. E lo fa con uno stile tagliente e onesto, che va dall’suo del dialetto baltimorese alla descrizione minuziosa dell’indagine poliziesca. A oggi The Wire è al 9° posto della lista delle serie meglio scritte di tutti i tempi della WGA e a ben 19 anni dalla prima uscita detiene uno dei punteggio più alti su IMDb.
2) Band of Brothers
Altra serie degli anni 2000, un’epoca che ha indubbiamente sfornato miriadi di capolavori. Come The Wire e I Soprano ancora una volta sull’HBO, altra garanzia di qualità. Come se non bastasse, Band of Brothers fu scritta da Stephen Ambrose – già consulente per Salvate il soldato Ryan – ma fu prodotta dall’accoppiata magica Tom Hanks/Steven Spielberg. Ancora oggi Band of Brothers è una delle serie più costose della storia, ma anche una delle più amate nonostante non sia una delle più ricordate, a causa del tema ostico.
Band of Brothers è ambientata nella seconda guerra mondiale e racconta la guerra attraverso la vita della cosiddetta Compagnia Easy (2° Battaglione della 101esima Divisione Aviotrasportata dell’esercito americano). La serie è crudelmente realistica per quanto riguarda la guerra, ma anche dell’ambiente militare che viene ritratto nel bene, attraverso soprattutto il cameratismo speciale che si stringe tra i soldati, e in male. La serie è però molto realistica anche per quanto riguarda il comparto tecnico, con un grande sforzo del reparto effetti speciali nel tentativo di convertire strumenti militari (veri!) odierni in quelli usati durante la guerra.
Il realismo di Band of Brothers si spinge al punto da inserire un extra speciale all’inizio di ogni episodio intitolato We Stand Alone Together, in cui i veri veterani della Compagnia Easy vengono intervistati.
3) OZ
E per tornare al nostro trittico delle meraviglie, I Soprano non può stare in questa lista per ovvi motivi, però c’è OZ. Altro colpaccio dell’HBO della fine degli anni ’90, OZ non è stata solo la serie più realistica sull’ambiente carcerario ma è stata anche la prima serie lunga del canale, consacrando HBO per quello che è oggi. Nata dalla magica penna di Tom Fontana, OZ è una serie cupa, violenta, cruda e pessimista, condita di dark humor e occasionalmente qualche sentimento, che racconta il carcere in una maniera che a oggi è ancora quasi del tutto inedita. Altre serie hanno provato a parlare di carcere, ma nessuno l’ha fatto con tale realismo, riuscendo a raccontare la società americana attraverso il filtro limitato e rinchiuso dei carcerati.
Un po’ come The Wire, infatti, OZ prende spunto dal carcere per parlare però di un’infinita varietà di argomenti: dal rapporto tra etnie negli Stati Uniti, al quello tra differenti confessioni religiose; dalla malattia mentale alla pena di morte; dalle dipendenze al percorso di ricostruzione di se stessi. OZ è stata una delle prime serie a parlare di omosessualità senza filtri né tematici né fisici, con un realismo a volte toccante a volte distruttivo e tossico, proprio com’è la vita.
4) Maid
Spostandoci in tempi più recenti, Maid senza dubbio merita di stare in questa lista. Uscita quest’anno su Netflix, è stata scritta da Molly Smith Metzer ma deriva dal memoir di Stephanie Land intitolato “Domestica: Lavoro duro, Paga Bassa, e la voglia di sopravvivere di una Madre“. A differenza di The Wire, Oz e Band of Brothers non si tratta quindi di un caso di verosimiglianza, ma dell’altra faccia del realismo nella serialità televisiva: quello del semi-biografico. Faremo altri esempi interessanti in questa lista, sperando possa essere un modo per far riconoscere questi piccoli gioellini di coraggio.
Nel suo memoir, e quindi nella serie, Stephanie Land parla della sua vita come di madre single e abusata dall’ex marito. Finalmente decisa a cambiare vita, la protagonista trova lavoro come domestica presso un’agenzia e cerca di trovare un equilibrio tra la disfunzionalità della sua vita (ex marito e famiglia), i suoi desideri e la crescita di sua figlia. La storia non è realistica solo perché è tratta da una storia vera, ma perché è simile a molte altre che conosciamo. Un racconto drammatico, profondo, difficile ma vero e onesto che non può mancare nella watchlist degli amanti delle serie tv realistiche.
5) When they see us
When they see us è una serie che non è possibile vedere senza soffrire. Siete avvisati. Scritta da Ada DuVernay e uscita su Netflix nel 2019, come Maid è basata su una storia vera. Il caso nello specifico è quello dei “Cinque di Central Park”, cinque ragazzi di colore e ispanici arrestati il 19 aprile 1989 con l’accusa di aver stuprato Trisha Meili. È l’inizio di un calvario che vedrà i cinque condannati senza prove né una confessione che possa dirsi fondata, su basi quasi esclusivamente razziste. Anche dopo la scarcerazione (avvenuta per la confessione del vero stupratore, Matias Reyes), i cinque continueranno a vivere con le conseguenze di un’adolescenza perduta e dell’incarceramento.
La cosa sconvolgente di When they see us è che racconta qualcosa di purtroppo ancora estremamente familiare a certe etnie. Il caso della jogger di Central Park fu uno dei casi mediatici più importanti degli anni ’80, ma da allora ce ne sono stati moltissimi altri. La serie è stata anche la prima volta in assoluto che ogni vittima degli Exonerated 5 (come verranno chiamati) vedranno cosa hanno davvero subito gli altri 4, in quanto nessuno di loro è mai stato pronto per raccontarlo. Tutti sono stati bollati come criminali, non hanno potuto continuare gli studi o raggiungere i propri sogni; alcuni di loro sono stati seviziati e torturati in carcere, altri sono entrati nel tunnel della droga.
E noi spettatori subiamo, impotenti, lo schifo e la crudeltà di un sistema malato, più interessato a giocare di politica che fare giustizia. Ricordare in ogni istante che ognuno di loro era innocente fa ancora più male.
6) Narcos
Ritorniamo al nostro realismo verosimile con una delle serie rivelazione del 2015: Narcos. Ideata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro si incentra sulla storia vera dei traffici di droga intercorsi tra il Messico e gli Stati Uniti negli anni ’80. Al centro c’è ovviamente la figura quasi leggendaria di Pablo Escobar, nella sua lotta contro gli altri cartelli messicani e la DEA statunitense. Il realismo non c’è solo negli spunti autobiografici e cronachistici della storia, ma nel DNA stesso della serie che è profondamente sudamericana.
Il realismo magico è definito come ciò che accade quando una situazione realistica e molto dettagliata è sconvolta da qualcosa impossibile da credere. C’è un motivo se il realismo magico è nato in Colombia.
Queste sono le prime parole con cui si apre Narcos, che già dalle prime battute parla di “realismo magico” – una corrente letteraria e artistica che, sebbene non sia nata davvero in Sud America, ne rappresenta il corredo genetico più profondo. Già da qui si vede l’aspirazione di Narcos alla fedeltà storica, culturale ma anche linguistica (la serie è parlata anche in spagnolo, per veridicità di contesto) che ne fa un progetto unico e veramente interessante da vedere.
7) The Act
Altra storia devastante (il realismo è molto spesso sofferenza, le storie più forti sono spesso quelle più dolorose) basata sul caso vero dell’omicidio di Dee Dee Blanchard. Scritta da Nick Antosca e Michelle Dean per Hulu, la storia segue le vicende reali del rapporto tossico tra Gypsy e sua madre Dee Dee Blanchard, affetta da Sindrome di Münchhausen per procura. Un disturbo mentale che porta i genitori a far del male ai propri figli o a renderli malati al solo scopo di attirare attenzione su di sé e la propria condizione di vittima.
La serie è un pugno nello stomaco e parla di una relazione abusiva fatta di violenza psicologica e manipolazione. Dee Dee teneva segregata la figlia e la teneva sotto controllo grazie all’uso di psicofarmaci con lo scopo di manipolare i media e la comunità alla sua causa di mamma coraggio. Fece passare la figlia per una disabile con numerose malattie croniche oltre che con un ritardo mentale grave. In questo modo non solo Dee Dee si assicurò aiuti e fondi di tutti i tipi, ma anche il sostegno emozionale che sentiva di meritarsi. Una storia da brividi che fece scalpore nel 2015. Non vogliamo spoilerarvi nulla di più, perché è assolutamente da vedere!
8) Unorthodox
Miniserie tedesco-americana distribuita da Netflix nel 2020 e scritta da Anna Winger e Alexa Karolinski sulla base della biografia di Deborah Feldman intitolata “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche“. Sebbene la serie sia vagamente ispirata alla biografia, sceglie un taglio piuttosto realistico per narrare della comunità chassidica di New York – un movimento ebraico di inclinazione piuttosto ortodossa – anche attraverso l’suo della lingua yiddish. Tutti i dettagli della vita della comunità ultraortodossa e la lingua sono infatti tratti quasi del tutto fedelmente dal libro. Si dice che l’attore Eli Rose (il rabbino) fosse sempre presente sul set per tradurre propriamente la sceneggiatura e aiutare gli attori con la pronuncia.
La storia di Unhortodox è una storia di gioventù e ribellione, ma anche di ricerca della felicità e costruzione dell’identità. Una storia vecchia come il mondo è per questo sempre verosimile, capace di parlare con chiunque anche prendendo spunto dal particolare punto di vista limitato e preciso di una comunità specifica.
9) Chernobyl
Probabilmente chiunque fosse già adolescente negli anni ’90 ricorderà l’infamante Disastro di Černobyl’ avvenuto il 26 aprile 1986, ancora oggi considerato il più grande disastro nucleare della storia umana. La miniserie scritta da Craig Mazin per HBO e Sky Atlantic si propone di ripercorrere l’intero evento, mostrandone i motivi, le colpe, gli aspetti tecnici ma anche e soprattutto il lavoro e il sacrificio di tutte le persone che hanno cercato di limitarne i danni. Gran parte delle vicende si basano sui resoconti degli abitanti di Pryp”jat’ – ossia della città a cui faceva capo l’impianto – raccolti dalla scrittrice bielorussa Svjatlana Aleksjevič, Premio Nobel per la letteratura.
Durante le riprese, il regista Johan Renck si è preoccupato di mantenere più verosimiglianza possibile a livello di ambientazioni. Poiché non è stato possibile girare a Pryp”jat’, ancora oggi rimasta città fantasma a causa delle radiazioni, la maggior parte delle riprese si sono svolte in Lituania, in luoghi che ancora mantengono l’architettura sovietica dell’epoca, e nella centrale nucleare dismessa di Ingalina – sorella gemella di quella di Chernobyl. Un’altra opera della nostra storia recente da vedere.