Negli ultimi anni il mondo delle serie tv è diventato sempre più vario, oltre che popolare. Che sia su una piattaforma streaming o su un network televisivo, ormai è impossibile non trovare qualcosa che vada incontro ai nostri gusti: show originali, revival, reboot, così come adattamenti di romanzi, videogiochi e film. Basti pensare a Shadow and Bone (qui le differenze fra serie tv e libri), uno degli ultimi fantasy Netflix tratto dai romanzi di Leigh Bardugo. Oppure ancora a The Witcher (qui la recensione del film prequel The Witcher: Nightmare of the Wolf), una serie che ha attratto non solo spettatori curiosi ma anche i fan dei libri di Andrzej Sapkowski e della saga videoludica. Con l’aumento della richiesta di prodotti, il salto cross-mediale fra i diversi settori dell’intrattenimento era inevitabile, e il più delle volte ha dimostrato di poter avere successo. Purtroppo però, non è sempre così. Ci sono casi in cui gli adattamenti di un romanzo non vanno a buon fine, o in cui le serie tratte da un film non riescono ad essere all’altezza della pellicola. E poi ci sono quei casi in cui invece ci troviamo nella situazione opposta: film brutti, o comunque ricchi di difetti e incongruenze, che finiscono per essere tradotti in ottime serie tv, riscattando così un prodotto problematico. Ed è proprio di questo che vi vogliamo parlare nel nostro articolo.
Vediamo dunque insieme i 5 peggiori film che hanno ispirato serie tv di successo, fra The Witcher, Buffy e altro ancora.
Buffy l’ammazzavampiri (1992)
Molti di voi avranno visto Buffy, la serie cult di Joss Whedon che per sette stagioni ci ha raccontato le avventure di Buffy Summers e la Scooby Gang (qui la classifica dei migliori personaggi). Ma forse non tutti sapranno che prima di diventare una delle eroine più amate del piccolo schermo, il personaggio aveva fatto il suo debutto nell’omonimo film del 1992. Una pellicola che si è rivelata un vero e proprio flop commerciale, nonostante l’attesa che si era venuta a creare intorno a essa. Oltre a una produzione non all’altezza ed elementi al limite del demenziale, uno dei più grandi problemi del film è stato sicuramente la mancanza di approfondimento della protagonista, così come dell’universo in cui si sviluppa la storia. La Buffy di Kristy Swanson non ha mai avuto la profondità emotiva che Sarah Michelle Gellar è riuscita a dare al suo personaggio. Nonostante volesse distruggere gli stereotipi del tempo, ponendo al centro un’eroina capace di lottare da sola contro le forze del male, la trasformazione della protagonista da cheerleader bella e popolare a Cacciatrice risulta incompleta, tant’è che il personaggio ha finito per essere superficiale e immaturo.
Avendo a disposizione più di 86 minuti per raccontare una storia, la serie tv è riuscita invece ad approfondire la caratterizzazione di Buffy, così come quella di coloro che la circondano (così come è successo in The Witcher). Al contrario, nel film i personaggi secondari non hanno un ruolo determinante: il misterioso signor Merrick, l’osservatore che si reincarna nel tempo per addestrare le prescelte, non diventa una figura paterna per la protagonista come nella serie. E Oliver Pike, un ragazzo a cui la cacciatrice si affeziona nel corso della pellicola, non è niente più se non una spalla. Nello show abbiamo invece potuto conoscere meglio sia la famiglia che gli amici di Buffy, relazioni che sono sempre state fondamentali per raccontare la storia immaginata da Whedon. Dall’amicizia con Willow e Xander all’amore tormentato con Angel, lo show ha saputo esplorare ciò che il film non era riuscito a fare. Sicuramente, anche il mancato approfondimento del mondo oscuro contro cui Buffy deve lottare ha influito sull’insuccesso del film. I vampiri hanno sì un ruolo centrale, ma non viene mai spiegata né la loro storia né le loro motivazioni più profonde. Al contrario, lo show ha saputo usare i mostri (vampiri, demoni e molto di più) non solo come antagonisti, ma come vere e proprie metafore per le difficoltà affrontate da tutti noi nel mondo reale.
Daredevil (2003)
Prima che si riscattasse grazie alla collaborazione Marvel/Netflix, il personaggio di Daredevil era stato portato alla vita da Ben Affleck nel film del 2003. Diretta da Mark Steven Johnson, la pellicola è ricordata ancora oggi come uno dei peggiori cinecomic in assoluto. Nonostante potesse contare sul vasto materiale originale, il regista infatti non è riuscito a raccontare con efficacia la storia del cammino impervio del protagonista. Pur agendo nell’ombra a fin di bene utilizzando mezzi poco ortodossi come nei fumetti, l’eroe manca del carattere necessario per imporsi sulla scena. Inoltre, perdendosi in diversi flashback sull’infanzia di Matt Murdock e scene d’azione dimenticabili, il film non è riuscito a trovare la coerenza narrativa che necessitava. Allo stesso modo, anche i personaggi secondari non hanno avuto lo spazio necessario per essere esplorati. Elektra, Kingpin, lo spietato Bullseye: nessuno di loro è stato davvero valorizzato, ritrovandosi solo al centro di combattimenti appesantiti dalla CGI. Prendendo questa strada, il film ha finito così per essere piuttosto confusionario, non riuscendo mai a dare spazio all’empatia, o alla riflessione sulla moralità e volontà del protagonista.
Se non altro, Daredevil ha saputo riscattarsi grazie alla sua fotografia, cupa ed enigmatica. Ma anche se l’atmosfera tetra ha fornito un ottimo contesto per la storia di un eroe in conflitto, di sicuro non è bastata per salvare la pellicola, che risulta comunque banale e trascurata. Al contrario, Marvel’s Daredevil si è dimostrata avvincente, così come è successo con The Witcher. Già dalla sequenza di apertura è chiaro quanto siamo di fronte a un prodotto più maturo, tanto nelle tematiche quanto nella narrazione. Charlie Cox è stato infatti capace di mostrare sia lo charme di Matt Murdock che la brutalità di Daredevil. Allo stesso tempo, è stato dato lo spazio necessario per far brillare gli alleati del protagonista: Foggy Nelson, Karen Page, così come il villain Wilson Fisk. Tutti personaggi interessanti che si muovono in un universo dark e affascinante, in cui le tematiche più serie si alternano con lo spirito più leggero che si addice alle storie di supereroi. Anche le scene di combattimento hanno bisogno di una menzione d’onore: dure e ben coreografate, hanno saputo sottolineare la brutalità del mondo in cui vivono i personaggi.
Wiedźmin (2001)
Ormai The Witcher è un titolo noto a molti.
Grazie a Netflix, Geralt di Rivia si è infatti fatto conoscere da un pubblico più ampio, attraendo sia i curiosi che coloro che già conoscevano i romanzi di Andrzej Sapkowski o i videogiochi di CD Projekt Red. Nonostante la lunga attesa e i dubbi che aleggiavano intorno allo show (soprattutto riguardo la scelta del cast), The Witcher si è rivelato un prodotto intrigante, che ha saputo alternare azione, avventura, colpi di scena e momenti più intimi. Dunque, nonostante i suoi difetti, la prima stagione ha saputo catturare l’attenzione del pubblico, che presto potrà scoprire quali saranno le nuove avventure di Geralt, Yennefer e Ciri. Ma prima che arrivasse sul piccolo schermo, lo strigo aveva fatto il suo debutto cinematografico in Wiedźmin, film uscito nel 2001 e ribattezzato The Hexer per la sua versione internazionale. La pellicola purtroppo si rivelò un fallimento: nel tentativo di raccontare la complessa storia dello strigo, il regista Marek Brodzki ha finito per creare un prodotto superficiale, contraddistinto da buchi di trama e una sceneggiatura piuttosto inconsistente.
Distrutto dalla critica, il film non ebbe successo anche perché non si trattava di un vero e proprio film, quanto più di una storia suddivisa in più capitoli slegati fra loro. Dunque, per cercare di riscattarsi, Brodzki ripropose il tutto sul piccolo schermo nel 2002, creando una serie tv composta da 13 episodi che potessero raccontare parte della storia dello strigo. Nonostante la presenza di errori temporali e gli effetti speciali di scarsa qualità , lo show si è dimostrato migliore rispetto al film, riacquistando coerenza grazie al maggior tempo a disposizione. Tuttavia, nonostante fosse più interessante della pellicola, la serie tv non fu comunque accolta con calore dal pubblico, ancora amareggiato dalla trasposizione precedente delle vicende di Geralt (interpretato da MichaÅ‚ Å»ebrowski). Durante un’intervista in Russia nel 2003, a Sapkowski venne chiesto cosa ne pensasse del film e della serie tv, al che lo scrittore diede una risposta piuttosto diretta:
Mi basta una sola parola per rispondere alla sua domanda. È una parola volgare ma molto breve…
Shadowhunters – Città di ossa (2013)
Con Shadowhunters ci troviamo di fronte a un caso particolare.
Il film, tratto dalla serie di libri di Cassandra Clare, è uscito nel 2013. Nonostante potesse contare sul supporto dei fan dei romanzi, la pellicola è risultata un flop, costando molto alla Costantin Film. Mentre i libri erano riusciti ad ammaliare i lettori con il misterioso mondo degli Shadowhunters, una razza ibrida per metà umana e per metà angelo, la trasposizione cinematografica ha mostrato lacune che hanno fatto storcere il naso ai più. Prima che debuttasse al cinema, la paura più grande era quella di vedere la storia distrutta da un adattamento poco fedele, in cui l’elemento sovrannaturale avrebbe potuto sovrastare l’approfondimento dei personaggi. Un timore che poi si è rivelato essere fondato: nonostante Cassandra Clare abbia collaborato con la produzione, il progetto di Harold Zwart ha finito per rovinarsi a causa di una struttura narrativa completamente stravolta. La storia di Clary è infatti dominata dal caos: gli eventi dei libri vengono rimescolati, incastrandosi fra loro in maniera complicata e ricorrendo a tempi e luoghi differenti rispetto a quelli originali.
Anche se la trama principale rimane più o meno la stessa dei romanzi, nel film si sono perse tutte quelle sfumature che avevano reso i personaggi dei libri così affascinanti. Dunque fra dinamiche piatte e relazioni mai davvero approfondite, la pellicola del 2013 si è rivelata banale e complessivamente insoddisfacente, esattamente come era successo con il film su The Witcher. Dopo questo insuccesso, si sperava di poter iniziare le riprese del seguito, Città di Cenere, il quale avrebbe potuto riscattare il primo capitolo. Tuttavia, alla fine è stata intrapresa una strada diversa, ovvero quella di trasformare la saga in una serie tv. Nonostante non sia un prodotto eccellente, quest’ultima è riuscita a rimediare ad alcuni degli errori commessi dal film. Fra i suoi più grandi pregi, bisogna sicuramente citare la capacità di introdurre nel genere fantasy temi importanti come l’omosessualità e il rispetto per ogni forma d’amore. Avendo un budget basso a disposizione, la prima stagione ha mostrato delle inevitabili pecche: attori ancora acerbi, effetti speciali di basso livello e una storia che si discostava da quella originale. Tuttavia, con la seconda stagione le cose si sono fatte interessanti, soprattutto grazie a un cambiamento e approfondimento dei personaggi, che hanno saputo conquistare l’affetto degli spettatori. Dunque, nonostante un inizio zoppicante e momenti decisamente trash, la serie alla fine ha saputo trovare il suo posto, almeno fino a che non è stata cancellata dopo la terza stagione.
Westworld (1973)
Facciamo chiarezza: Westworld (Il mondo di robot nella versione italiana) non è di per sé un brutto film. Quando uscì nel 1973 ebbe un discreto successo, soprattutto grazie al suo concept interessante e l’atmosfera thriller/horror che lo contraddistingueva.
Tuttavia, se si mette a confronto con la serie HBO di Jonathan Nolan e Lisa Joy, è chiaro quanto quest’ultima sia riuscita a fare un salto di qualità su più livelli, così come è successo con The Witcher.
La premessa iniziale è essenzialmente la stessa: entrambi presentano elementi fantascientifici, e sono ambientati in parchi a tema popolati da androidi. Inoltre, anche la location principale è quella di Westworld, nonostante sia nel film che nella serie esistano anche altri parchi . Ma al di là di questo, le due opere sono molto diverse fra loro. Mentre l’intenzione del film è sempre stata quella di proporre un thriller con sfumature horror, la serie si è invece concentrata sulla condizione e coscienza umana, messa a confronto con quella degli androidi del parco. Inoltre, avendo a disposizione più tempo, lo show ha potuto mostrarci la storia di molteplici personaggi: non solo gli ospiti e lo staff del parco, ma gli stessi androidi, che hanno un ruolo essenziale nelle vicende raccontate. Al contrario la pellicola degli anni 70 ha voluto concentrarsi solo su pochi personaggi, limitando i punti di vista attraverso i quali osservare la storia.
Allo stesso tempo, anche la ribellione dei robot ha un significato diverso. Nel film il Gunslinger (personaggio al quale la serie tv si è ispirata per creare il complesso William/L’Uomo in Nero) si ribella agli esseri umani a causa di un malfunzionamento, proponendosi come un villain senza alcuna motivazione profonda. Nello show gli androidi hanno invece un vero e proprio risveglio. Il loro non è un glitch, ma un percorso verso la presa di coscienza e il libero arbitrio, che ci ha mostrato quanto fossero capaci della stessa umanità dei loro creatori. Un’altra grande differenza, e punto a favore per la creazione di Nolan/Joy, è la diversità del cast. Da questo punto di vista, il film di Michael Crichton non è affatto innovativo, dando spazio solo a personaggi maschili e caucasici mentre le donne presenti sono perlopiù androidi usati per il sesso. Una situazione che ritroviamo anche nella serie, che però ha dato la possibilità di brillare a personaggi di sesso ed etnie diverse.
Dunque, nonostante il film originale intrattenga con una storia ricca di tensione, la serie ha saputo sfruttare il suo potenziale mancato, esplorandolo e proponendo al pubblico una storia sulle infinite sfumature dell’umanità .