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Twin Peaks, Lost e Game of Thrones: un confronto tra i 3 fenomeni mediatici degli ultimi tre decenni

twin peaks
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Ormai le serie tv non sono più solo un diversivo di serie B utilizzato per sostituire la sacra settima arte nei tempi morti o per riempire il tempo tra un pasto e l’altro. Questo oggi è un trend più chiaro che mai, non solo grazie allo stanziamento di sempre maggiori tecnologie e denaro, al punto che alcune serie tv sono diventate i prodotti più costosi della storia della televisione, ma anche perché sempre più attori da Oscar si stanno lanciando nella serialità, vedendola non solo come un nuovo trampolino di lancio ma come un’arte di tutto rispetto parallela al cinema. E infatti molte serie tv sono ormai considerate dei veri e propri capolavori, per quanto la definizione di capolavoro sia davvero difficile da circoscrivere, e alcune di quelle storiche, come l’inarrivabile Twin Peaks, condizionano ancora le serie tv di oggi.

Il successo delle serie tv è dovuto anche al suo formato che, seppur cambiato nel corso delle epoche, ha permesso al pubblico di avere più tempo per affezionarsi alle ambientazioni, ai personaggi, alla storia.

Questa sensazione di familiarità, unito alla qualità tecnico-stilistica, al passaparola e anche a una buona dose di fortuna, ha permesso ad alcuni di questi capolavori di diventare dei veri e propri fenomeni mediatici. E vogliamo parlare proprio di questo. Di tre monumentali serie tv che, in tre epoche completamente diverse, hanno dato vita a un fermento rimasto ancora imbattuto e hanno generato veri e propri fenomeni di costume che a ben guardare risultano ancora semi-inspiegabili. Parleremo allora di Twin Peaks, Lost e Game of Thrones, in attesa del prossimo campione di popolarità che possa segnare quest’epoca.

Twin Peaks e gli anni ’90: chi ha ucciso Laura Palmer?

Prima di tutto c’era Twin Peaks e un ritornello martellante: Chi ha ucciso Laura Palmer? Nata dalla mente geniale di David Lynch, Twin Peaks è ancora oggi considerata una delle pietre miliari della televisione, nonché lo spartiacque che divide il “prima” dal “dopo”. A pensarci adesso, sembra quasi assurdo che tutto questo clamore sia nato da una serie che durò l’arco di due stagioni tra il 1990 e il 1991. Sì, perché se Twin Peaks ebbe poi un film prequel intitolato Fire Walk with Me nel 1992, e una nuova serie sequel nel 2017, la verità è che se vogliamo definirne gli aspetti mediatici bisogna soffermarsi sul cuore originale di questo progetto.

Innanzitutto, quando l’episodio pilota apparve in quel lontano 8 aprile del 1990, ben 35 milioni di telespettatori furono rapiti dalle atmosfere misteriose, tenebrose, senza precedenti. Per la prima volta una serie tv non nasceva con l’intento d’intrattenere con racconti autoconclusivi dall’aria semi-improvvisata, ma per raccontare una storia. Una storia che non solo continuava lungo tutto l’arco di una stagione, ma che fioriva, cresceva, si fortificava, si ramificava in intricati percorsi da seguire senza perdere neanche un instante. Per la prima volta milioni di telespettatori si sentivano costretti a non staccare gli occhi dallo schermo, episodio dopo episodio, per tentare di scoprire i misteri di quel mondo affascinante.

Twin Peaks_BOB

David Lynch fu il primo sceneggiatore e regista a mutuare quest’aspetto dal cinema per portarlo su piccolo schermo, attuando quella rivoluzione di cui la serialità è ancora debitrice. A partire da quel momento le serie tv divennero più simili al cinema, raggiungendo il livello a cui oggi siamo avvezzi. Ma a parte gli indubbi meriti tecnici e storici, cosa ha fatto di Twin Peaks il fenomeno mediatico che conosciamo oggi?

È bene ricordare che la serie rimane ancora, a distanza di ben 31 anni, un mistero. E questo non è una cosa casuale, perché il mistero è senza dubbio il trait d’union che unisce queste serie. La famosa domanda che richiamava l’omicidio di Laura Palmer non fu solo un efficacissimo teaser ma un vero e proprio tormentone che rimase incastrato nella mente dei telespettatori. Leggende narrano che illustri fan di Twin Peaks passassero il tempo, e facessero pesare il proprio potere, per conoscere la risposta. Dalla regina Elisabetta II che interruppe un concerto privato dei The Beatles per vedersi una puntata, a Michail Gorbačëv che in piena Guerra Fredda chiamò Bush per sapere la verità, è innegabile che Twin Peaks divenne un fenomeno che trascendeva la serie stessa.

Il mistero permeava tutto al punto che gli attori stessi non conoscevano la risposta alla domanda e seguivano la loro serie con passione nella speranza di non essere loro gli assassini. Quando il segreto fu rivelato la serie subì un tracollo dalla quale non si riprese. Se oggi alcuni misteri di Twin Peaks sono stati risolti, moltissimi altri rimangono in attesa, baluardi di un mondo onirico e imperscrutabile che ancora resiste alla frenetica, brutale, troppo didascalica vita moderna. Proprio come è successo a un’altra pietra miliare, nata esattamente quattordici anni dopo.

Lost e gli anni ‘00: che cos’è l’isola?

The End

Cambia il decennio, cambiano le tecniche narrative e cambiano i mezzi con i quali il fenomeno mediatico si esplica, ma al centro di tutto c’è sempre quell’impulso irrefrenabile a sapere che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi. È il 22 settembre 2004 e Lost entra per la prima volta nelle nostre case, lasciandoci solo nel 2010. Come Twin Peaks, Lost non è solo una serie tv ma una vera e propria esperienza che trascende se stessa. Oltre ad aver inglobato e fatto sue tutte le istanze di rottura portate da Twin Peaks, e ormai diventate consuetudine, Lost aggiunge un altro tassello. Non solo si parla di cast, location e trama cinematografici, ma anche di budget da settima arte. Lost è ancora oggi uno dei pilot più costosi della storia e il dispendio economico che le nuove produzioni sembrano voler sostenere per le serie tv non fa altro che consacrarne lo status.

Ancora una volta abbiamo al centro un mistero, ancora una volta abbiamo al centro il dualismo viscerale e intrinseco della natura umana: dove abbiamo BOB e MIKE, abbiamo Jacob e il Fumo Nero. Ancora una volta due entità senza tempo destinate a contendersi l’animo dell’uomo. Una lotta metafisica che si perde nelle nostre radici più ancestrali, che ancora ci affascina e terrorizza al contempo. Così come la forza di Twin Peaks era stata quella di mantenere il mistero il più a lungo possibile, lasciando ai suoi spettatori l’arduo compito di scavare dentro la storia e se stessi per tirarne fuori anche cose spiacevoli, così la forza di Lost è stata quella di scandagliare le tortuosità umane senza dare mai una risoluzione precisa e netta delle vicende e, dopotutto, della vita.

lost_Twin Peaks

Lost ha creato attorno a sé un fenomeno quasi irripetibile, che si è alimentato degli strumenti contemporanei che Twin Peaks non poteva utilizzare. Dalla nascita di Lostpedia e altri siti di informazione che svisceravano l’infinita mitologia di un capolavoro, alla formazione di community spontanee che discutevano non solo della trama, ma di metafisica, matematica, fantascienza.

Lost non è stato solo un fenomeno seriale ma un fenomeno di costume, ha contribuito a forgiare il modello per i prodotti successivi, a modellare le menti degli spettatori che ne hanno fatto un metro di paragone, una linea guida per il futuro.

Se capolavoro è qualcosa che resiste al tempo, allora dobbiamo ammettere che Lost forse lo è, dal momento che ancora se ne parla con fervore, disquisendo sui suoi massimi sistemi come si disquisirebbe di un trattato filosofico. Lost ha ormai già 17 anni e presenta tutte le caratteristiche del cult, tra le quali la capacità di intercettare le domande di un pubblico sempre nuovo. Un fenomeno mediatico figlio del suo tempo, sì, ma capace di parlare a ogni epoca esattamente come Twin Peaks perché, ancora una volta, al centro di tutto c’è l’uomo. E d’altronde l’essere umano è sempre uguale a se stesso e tra le sue eterne domande ce n’è sempre una: chi sono?

Game of Thrones e gli anni ‘10: chi è John Snow?

Glee

E la natura umana è al centro di un altro grande fenomeno mediatico, quel Game of Thrones che ci ha accompagnato dal 2011 al 2019 in un crescendo di misteri sempre più fitto, sempre più incalzante. Si riducono gli anni tra un fenomeno e l’altro, ma Game of Thrones e Lost non potrebbero essere così diversi pur essendo intrinsecamente uguali. Ancora una volta la battaglia metafisica eterna tra bene e male, che qui si esplica in un’ambientazione real fantasy che nulla toglie alla veridicità degli eventi. Esattamente come Lost e Twin Peaks, la battaglia si fa duale (BOB e MIKE, Jacob e Fumo Nero, White Walkers e Umani) ma molteplice, perché il Bene e il Male sono anche due parti interconnesse all’interno dello stesso essere umano.

Anche Game of Thrones deve il suo status di fenomeno mediatico in parte all’impianto di mistero che è il cuore dell’intera storia. Spogliata dalle ambientazioni, dalle armature, dai personaggi ben delineati e persino dalla trama, il core è avere risposta alla domanda che ci assilla. Anzi, alle domande che ci assillano, perché ancora una volta è un proliferare di questioni che si aggrappano agli episodi e ci assetano, portandoci al desiderio di vederne un altro solo ancora per sapere.

Questo è il significato più puro e popolare della serialità, il motivo più intrinseco del perché ha così successo.

Games of Thrones è figlia del suo tempo proprio come le altre due e se il fenomeno Twin Peaks viaggiava sul filo del telefono e Lost sulle community online, Game of Thrones era tutto sui canali YouTube nati apposta per condividere le reaction all’episodio successivo e sui meme di Instagram e sui commenti di Facebook. Come Lost, Game of Thrones è diventato un fenomeno sociale e di costume, come anche le fiere cosplay e le nuove uscite in libreria di fantasy à la Game of Thrones hanno dimostrato. Poco importa se la sua stella sia stata oscurata da un’ultima stagione deludente, quello che la serie ha evidenziato è un trend specifico che noi spettatori ci portiamo avanti da sempre.

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Un altro parallelo banale tanto è cristallino è la presenza, in tutte le tre serie, di un cast molto numeroso che ne ha favorito la popolarità. Numerosi personaggi, ben scritti e scandagliati, raccolgono le esistenze variegate di un’intera popolazione e permettono un’immedesimazione completa nonché un dibattito senza fine. E proprio questa possibilità di empatizzare ogni volta con personaggi diversi, a seconda delle epoche e della nostra età anagrafica o mentale o sociale, che permette a queste serie di esssere senza tempo.

Nonostante sia figlia della velocità e del social, Game of Thrones è stata comunque favorita dal rilascio lento dell’epoca precedente, segno che l’unico modo per permettere al mistero di fare presa è alimentarlo nel tempo. Perché esso vive di immaginazione e tempo per alimentarla e non è un caso che i tre più grandi fenomeni mediatici degli ultimi trent’anni siano serie fortemente oniriche o immaginifiche e a lento rilascio.

Forse è proprio questo che manca alle serie di oggi per diventare il prossimo fenomeno mediatico: il brivido che ci riporti all’ancestrale timore umano per ciò che non conosce e i tempi giusti per nutrirlo. O forse è semplicemente ancora troppo presto.

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