Esiste un prodotto seriale italiano, non posso definirla una Serie Tv, in grado di garantire uno share del 10% e di incollare al televisore, ogni giorno, circa 3 milioni di spettatori. Spettatori variegati ed eterogenei. Con una prevalenza di pubblico femminile, certo, ma non schiacciante. E soprattutto trasversale per fasce d’età. Stiamo parlando di Un posto al sole.
Sento già qualcuno sbuffare e rimbrottare: “quantità non è sinonimo di qualità” (edulcorando di molto i pensieri, ovviamente!). Eppure ne siamo così certi? Ci troviamo di fronte all’eterna battaglia tra il POP(olare) e l’autoriale. Tra il commerciale e il prodotto d’essai. Non esiste una risposta giusta. I Queen negli ’80 venivano accusati di essere commerciali. Di fare musica unicamente per soddisfare i gusti del proprio pubblico. Di fatto accusati di aver inventato la musica commerciale. Ma che musica (ricordate I want to break free in Sherlock?)! È semplicemente una questione di obiettivi, target ed esigenze artistiche.
Un posto al sole non vuole essere una Serie Tv. Non vuole, né deve, essere paragonata a opere che sono altro e pensate per essere altro. Nonostante ciò riesce a essere, nel suo genere, un prodotto molto interessante da analizzare per produzione, temi trattati, longevità e, indubbiamente, per il successo riscontrato.
Esistono dei pregiudizi che ci inducono a essere totalmente acritici verso ciò che non ci piace indipendentemente dalla valutazione obiettiva e contestuale dell’oggetto della nostra critica. Siamo da decenni così abituati a Serie Tv (in questo caso) di altissima qualità contenutistica e produttiva che non siamo più in grado di accettare – metto ovviamente me per primo – che produzioni più semplici e meno “pretestuose” possano essere comunque meritevoli di interesse e degne di giudizi positivi.
E bisogna ammettere che Un posto al sole lo è. Non solo per i risultati che ottiene, che comunque sono uno strumento oggettivo di misurazione del successo, ma soprattutto per due aspetti strettamente legati tra loro. Il primo riguarda i temi trattati. Un posto al sole si discosta dalla pletora di serial televisivi messi in onda da molti anni perché in grado di trattare temi molto rilevanti su diversi piani. Dall’attualità alle crime story passando per i family drama. Ovviamente il tutto trattato con la giusta dose di leggerezza e ironia, ma questo non sminuisce l’impatto del contenuto.
In Un posto al sole negli oltre 22 anni di messa in onda si è parlato di criminalità, prostituzione, alcolismo, mafia, disabilità, immigrazione, omofobia, omicidio, usura, molestie sessuali, transessualità, doping e l’elenco potrebbe durare ancora per parecchio. Questi temi sono sì narrati con leggerezza ma, per citare l’inflazionato Calvino:
“…leggerezza non è superficialità
ma planare sulle cose dall’alto
non avere macigni sul cuore”
La semplicità senza banalità con la quale vengono affrontate queste dinamiche reali della vita quotidiana ha permesso a Un posto al sole di raggiungere e consolidare un rapporto molto stretto con un pubblico molto ampio. Questo ci permette di arrivare al secondo aspetto.
L’eterogeneità di pubblico. Come nel caso delle più apprezzate Serie Tv bisogna ammettere, dati alla mano, che Un posto al sole arriva a tutti. Il suo pubblico è variegato sia per genere che per età. Anche questo aspetto non è scontato. Resistere in un mercato così concorrenziale per oltre due decenni contro prodotti di lingua anglofona o spagnola, restando su numeri così impressionanti d’ascolto è incredibile.
Possiamo criticarla, ovviamente. Possiamo decidere di non vederla. E possiamo anche dire che la sua qualità, rispetto ad altri prodotti, sia scarsa. Siamo certamente liberi di farlo. Resta però il fatto che quegli ascolti e quella longevità non riescono a farla tutti. Anzi, praticamente nessuno. La nostra libertà di critica equivale, facendo un ulteriore parallelo musicale, a criticare Vasco Rossi perché canta solo con la “E”. O contestare Jovanotti perché non sa cantare. O ancora Ligabue perché usa solo due accordi. Ma la nostra critica non cambia il fatto che loro (ahimé!) gli stadi li riempiono e altri, no. O comunque molto meno.
Questo non vuol dire che non siano esenti da critiche o che non si possa valutare, sulla base di giudizi tecnici o di gusto, che la qualità maggiore sia altrove. Ma resta il fatto che l’ultimo appello per le produzioni di intrattenimento, e lo sono anche le più superbe Serie Tv degli ultimi anni, è dato unicamente dal successo di pubblico che riescono a generare.
Con buona pace di tutti quindi dobbiamo riconoscere – con un minimo di onestà intellettuale – che il serial televisivo ambientato a Napoli da oltre vent’anni ha conquistato, con merito, il pubblico italiano. Lo fa presentando un prodotto semplice ma accattivante. Lo fa avendo il coraggio di parlare di argomenti scomodi. Giusto di alcuni giorni fa la polemica sul web dopo una puntata a tema immigrazione. E il pubblico risponde.
Ed è un pubblico composto in maniera consistente da giovani. Adolescenti, post-adolescenti e trentenni che in famiglia o per conto proprio guardano con piacere questo prodotto. Giovani che poi sono gli stessi che compongono quell’altrettanto vasto pubblico che si dedica a prodotti come: Westworld, Twin Peaks, La casa di carta, True detective e via discorrendo.
Un posto al sole ha la capacità di coniugare e condensare in una puntata breve un ottimo prodotto di intrattenimento. Con uno stile ben delineato e riconoscibile tratta temi che normalmente non sono appannaggio di questo formato televisivo. E riesce a farlo da oltre vent’anni. Ha un cast ben strutturato con un nucleo storico che ormai risulta affiatato e ben oliato. Ha saputo inserire e ruotare personaggi principali, secondari e guest star per mantenere alta l’attenzione narrativa e il legame con il pubblico. In ultimo riesce a mantenere l’interesse in una fascia oraria particolarmente competitiva.
Se vogliamo prenderci una pausa da un’intensa giornata di studio o lavoro e goderci una ventina di minuti di svago e relax, magari in famiglia, senza rinunciare a un tocco di qualità made in Italy, Un posto al sole è decisamente una valida opzione. Non richiede di arrovellarci il cervello come Twin Peaks. Né dovremo allontanare i minori per preservarli da linguaggi a volte non troppo adatti a loro di molte comedy e potremo staccare il cervello mettendoci sul divano, a tavola, a stirare o pulire casa regalandoci una mezz’ora scarsa d’intrattenimento e svago delicato e, quel tanto che basta, impegnato senza timori. Cosa chiedere di più?