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Utopia: una piccola grande serie

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Oggi parliamo di una serie Tv poco conosciuta in Italia (infatti la sua trasmissione è inedita), Utopia; e questo è decisamente un peccato. La serie, di produzione anglosassone (con attori principalmente inglesi, scozzesi e irlandesi), ha infatti una grande originalità non solo nel nascere, ma anche nello svilupparsi. Utopia parla di un gruppo di ragazzi “normali” (anche se non troppo) che si trova coinvolto in una ampissima cospirazione internazionale, chiamata Network, che ha intenzione di rilasciare un virus che compia uno sterminio di massa per evitare il crescente sovraffollamento del nostro pianeta; apparentemente la formula di questo virus si trova nelle pagine di un manoscritto, chiamato appunto Utopia e posseduto dal gruppo prima citato, che deve cercare di impedire la realizzazioni di tale progetto. La serie è purtroppo stata cancellata dopo le prime due stagioni, composte entrambe da 6 puntate. Innanzitutto il fatto che la serie sia stata sospesa non deve far pensare che sia di bassa qualità, anzi. Quello che invece va specificato è che parlare della prima stagione e della seconda non è oggettivamente la stessa cosa: la prima spicca per lo sviluppo rapido della trama (solo 6 puntate!) e non si “perde” quasi mai. Nella seconda ci sono delle scelte di trama difficili da condividere a pieno, anche se non sapremo mai se fatte in funzione di una terza stagione. Ad ogni modo, soprattutto alla fine della prima stagione, uno spettatore attento sosterrà: “Utopia è una serie ben fatta”. E i motivi per vederla sono numerosi.

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La trama è molto coinvolgente: come un vero e proprio thriller, che alterna la violenza fisica (a tratti cruda) con quella verbale, ogni minuto è pieno di suspense e lo spettatore deve cercare di capire cosa stia succedendo e quanto ampio sia il progetto di questo Network; quest’ultimo, per chi ha un po’ di confidenza con la letteratura inglese, ricorda da vicino il “Big Brother” del romanzo “1984” di G. Orwell: sa tutto, vede tutto, gestisce tutto. Lo scopo, tuttavia, è ben diverso: il Network non vuole de-umanizzare gli esseri umani, ma vuole, secondo una teoria che è considerata nobile dai suoi sostenitori, ridurre il numero degli umani sulla Terra perchè il nostro pianeta nell’arco di qualche decennio non sarà più in grado di sostenere il crescente numero di necessità che miliardi di uomini e donne hanno. Ad un primo impatto non è del tutto falso che le risorse della Terra iniziano a scarseggiare già da ora, mentre la popolazione mondiale continua a crescere: certo, questo non vuol dire ridurre la popolazione con uno sterminio, ma forse fra 50 o 100 anni i nostri capi di Governo si interrogheranno a lungo sul da farsi. La soluzione fornita dalla serie è senza dubbio un’utopia: non a caso, considerato il titolo.

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Considerando invece i personaggi, si è accennato che almeno quelli presentati all’inizio all’apparenza sono “persone normali”. La situazione inizia a cambiare con l’entrata in scena di Jessica Hyde (“Where is Jessica Hyde” è un tormentone e tagline della prima stagione), una donna che sembra sapere sempre cosa fare e come farlo: senza regole. È lei a guidare il gruppo di ragazzi (ognuno dei quali in realtà nasconde qualcosa) lontano dai sicari del Network,: la coppia di sicari forma un’antitesi di caratteri (personaggi che impareremo ad apprezzare, al di là del cinismo e della mal celata pazzia, solo nella seconda stagione) e una complementarietà di colori nei vestiti (come vedremo fra poco). Accanto alla complessità dei personaggi principali, sviluppata ognuna attraverso l’analisi e la sottolineatura dei difetti e dei problemi e quasi mai dei pregi (si pensi all’impiegato del Ministero della Salute, che da comune cittadino si trova ricattato e risucchiato nel vortice di morte del Network), spicca una delle “non presenze” più inquietanti apparse in una serie Tv: Mr. Rabbit, la cui identità verrà svelata solo negli ultimi minuti della prima stagione e vedrà il suo sviluppo nella seconda; Mr. Rabbit è a capo del Network, è creatore di quello che potremmo definire “il progetto Utopia” e, visto che l’obiettivo dei ragazzi e di Jessica Hyde è di impedire la realizzazione del progetto, è senza dubbio l’antagonista della storia.

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Aspetto di Utopia che fa centro è senza dubbio l’ambientazione, e quindi l’uso dei colori.

Si tratta di un intenzionale utilizzo di colori forti nella loro singolarità: il giallo (soprattutto nei vestiti), l’arancione (pareti di edifici e alcune automobili), il blu-azzurro (del cielo, spesso in contrasto con il grigio della strada o con il marrone della terra) e infine il verde (distese naturali sono all’ordine del giorno in ogni puntata). Come si può notare, si tratta di colori che in generale fanno pensare istintivamente alla positività, alla bellezza, in netto contrasto con la tragicità della storia e spesso con i caratteri dei personaggi (ritorno sul giallo dei killer). Scelta originale e davvero ben fatta.
Strettamente collegata alla questione dei colori è quella della musica: chi ha guardato serie Tv di grande livello capirà subito come la scelta del montaggio sonoro sia superba, non solo per l’abbinamento alle scene di cartello, ma perchè nei momenti di stasi riempie la scena in un tripudio di coralità di musica e colore. Il discorso vale anche per la meno riuscita seconda stagione che, come detto, ha delle pecche di trama e non tecniche.
In definitiva è un peccato vedere solo 12 puntate di una serie davvero ben strutturata, con una trama avvincente (che fa anche riflettere) e che vanta un montaggio sonoro e di selezione dei colori decisamente superiore alla media. Una serie piccola nella quantità, ma tendente al grande per la qualità.

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