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Sex and the City è l’Inferno di Carrie Bradshaw

Sex and the City
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L’Inferno è un luogo simbolico immaginato da quasi ogni cultura e religione. C’è quello cristiano, con le fiamme, e quello dantesco, con i gironi. Nell’induismo antico c’è il regno di Taraka, un demone tentatore che semina dubbio e odio, e l’Ade greco, dove si collocano le ombre dei morti. Qualunque sia l’origine, l’Inferno è un luogo di punizione e di disperazione eterna. E Carrie Bradshaw, la protagonista di Sex and the City, più che nella New York glamour e patinata di fine secolo, sembra trovarsi in un posto angusto per espiare chissà quale peccato. Se avete adorato lo show di culto firmato HBO e creato da Darren Star, e attendete con ansia il reboot And Just Like That…, potreste non essere d’accordo con questo punto di vista. Questo ennesimo approfondimento, infatti, è dedicato a coloro che hanno subito l’influenza negativa di Sex and the City. A coloro che non l’hanno mai vista come una serie trasgressiva, ma come una serie fastidiosamente conservatrice. Il problema non è Sex and The City in sé, ma il fatto che un’intera generazione ne sia rimasta affascinata e che milioni di ragazze hanno tentato di identificarsi con le sue protagoniste. Dei personaggi accurati, scritti e interpretati strepitosamente, ma che non sono affatto dei modelli da emulare. Non sono la voce delle donne né quelle di una nuova generazione di donne. Sono la voce della Generazione X che grida disperatamente ai Millennial cosa fare mentre il mondo intorno a loro sta cambiando. E solo Samantha pare accorgersene. Non sono dei personaggi rivoluzionari. Nemmeno Samantha, per quanto sia meravigliosa, progressista e coerente.

Sex and the City non infrange nessun tabù, semmai li consolida. È più una parabola (discendente) di Carrie Bradshaw verso la conquista del suo principe azzurro. Un’epopea infernale che ha vissuto per sei interminabili gironi (più due film, uno spin-off e il neonato reboot), costellata di imperativi categorici e pregiudizi. Una vicenda segnata dell’incomunicabilità tra uomo e donna. Quella dell’Inferno però non è un’altra stravagante teoria, come quella secondo cui Samantha, Miranda e Charlotte non esisterebbero. È lo sfogo di tante voci – non poi così tanto fuori dal coro – che hanno dovuto fare i conti con l’ingombrante eredità di Sex and The City. Un macigno della cultura pop che (sebbene sia solo una serie tv) continua a pregiudicare il modo in cui la donna viene percepita e percepisce se stessa.

Sex and the City non è una serie femminista

Sex and the City

Era il 1998 quando Carrie e le sue tre amiche irrompevano sul piccolo schermo con i loro discorsi sul sesso. Lo show è intelligente, fresco e divertente, ma non inneggia alla libertà sessuale. Piuttosto parla di donne ossessionate dagli uomini. L’uomo perfetto, ovviamente, quello affascinante, ricco e che non ascolta e non viene ascoltato. Il problema non è la serie in sé, ma il fatto che molti l’hanno osannata a manuale di emancipazione femminile. E così, quattro donne benestanti dell’Upper West Side della Generazione X sono finite per diventare un prototipo femminista per noi Millennial. Essere femministe, e femministi, non è una scelta. Significa volere e volersi bene. Voler abitare in un mondo dove chiunque ha le stesse possibilità, al di là delle distinzioni di genere e di orientamento sessuale. Dove i diritti sono gli stessi, ma anche gli obblighi, i doveri e le responsabilità. Sex and the City parla di donne che odiano stare da sole e di uomini da rincorrere, per questo non è una serie femminista. E a dirlo è la stessa autrice, Candace Bushnell, la quale non voleva che Carrie finisse con Mr. Big. L’autrice ha espresso più volte le sue perplessità, dimostrando i limiti della versione seriale creata da Darren Star.

È un grande show ed è davvero divertente. Ma ci sono troppe fan che… beh è come se si facessero guidare da quello che vedono sullo schermo. Gli uomini possono essere molto pericolosi per le donne in molti modi diversi. Non ne parliamo mai, ma è qualcosa a cui le donne devono pensare: fai molto meno… quando devi fare affidamento su un uomo. Lo show televisivo e il messaggio non erano molto femministi. Ma questo è solo intrattenimento. Ecco perché le persone non dovrebbero basare la propria vita su uno spettacolo televisivo.

Non dimentichiamoci che l’adattamento televisivo è stato fatto pur sempre da soli uomini. Questo basta affinché la serie non venga considerata come un baluardo dell’emancipazione femminile. Sex and the City è più vicina alla commedia degli equivoci oppure al genere storico. Assume tutto un altro sapore quando la gustiamo come se fosse il racconto di un’epoca al tramonto, come ha fatto Mad Men. Sia nel 1998, sia nel 2021, la comedy dovrebbe essere vista come il racconto onesto e divertente della Generazione X e di come una trentenne degli anni ’90 viene percepita dalla società di fine millennio. La serie saluta un’era con eleganza, ironia e spregiudicatezza, ma non dà il benvenuto a un nuovo capitolo. Non è il manifesto del nuovo millennio, dove la donna è finalmente libera dalle costrizioni sociali. Senz’altro lo show ha il merito di aver affrontato dei tabu in televisione. In un precedente articolo avevamo evidenziato tanti suoi meriti, come quello di aver contribuito a normalizzare l’idea del sesso. Ma invece di infrangere i tabù, ha verbalizzato una legge non scritta, consolidando i cliché sulle donne.

L’incomunicabilità tra uomo e donna

Mr. Big

Sex and the City conferma lo stereotipo, di cui ancora non riusciamo a liberarci, che l’uomo e la donna parlano due lingue diverse e hanno interessi diversi. Agli uomini i fumetti, alle donne le scarpe! L’unica interazione possibile tra i due generi è quella sentimentale. L’unica possibilità di avere un amico, per una donna, è quella di trovare uno Stanford o un Anthony, che purtroppo incarnano il luogo comune più ovvio dell’omosessuale. Pur vivendo nello stesso mondo, l’uomo e la donna dello show HBO agiscono su piani distinti, che non si incontrano mai. Per questo faticano a capirsi. E invece di decodificare il loro linguaggio creando una Stele di Rosetta 2.0, Sex and the City crea nuovi presupposti di incomunicabilità.

L’appuntamento galante, e catastrofico, è il campo dove si conduce una battaglia a colpi di fraintendimenti. Ma tant’è. Ogni personaggio si tuffa a testa bassa nella lotta, consapevole che un appuntamento svilente alla volta, prima o poi, lo condurrà all’anima gemella. Eppure i personaggi maschili non incarnano mai lo stereotipo dell’uomo machista e s****o. Neanche Mr. Big. La serie pullula di esempi positivi di uomini (e di donne) che vengono raccontati in tutte le sfumature e complessità. Le interazioni sono l’Inferno perché nessuno sembra essere in grado di ascoltare, ascoltarsi e di comunicare. Anche gli uomini, proprio come le donne, sono intrappolati in una dimensione invivibile. Anch’essi sono vittime di un mondo dove ci si fa la guerra oppure ci si rincorre in una babele di messaggi confusi e fraintendibili.

Gli uomini sono solo donne con le palle?

04×10

Ogni episodio inizia con una domanda intelligente. Peccato che Carrie, alla fine della puntata, riesca sempre a dare delle risposte sbagliate. Fastidiosamente concentrata su se stessa e costantemente preoccupata di apparire per quello che “dovrebbe” essere. Carrie però non è una donna emancipata. È schiava delle sue pulsioni, dallo shopping al sesso. In Sex and the City, infatti, il sesso è percepito più come un impedimento, un impulso irrefrenabile i cui estremi vanno dalla pudicizia di Charlotte York all’insaziabilità di Samantha Jones. Ma la libertà sessuale non significa avere tanti partner sessuali. Significa poter scegliere, senza condizionamenti, come vivere la propria dimensione intima, dall’astinenza al poliamore. Le quattro protagoniste subiscono il sesso e giudicano chi non la vede come loro. Ed ecco che una serie tv che prende vita da un libro carico di ottimi spunti, diventa l’affermazione della donna in una società patriarcale. Una storia che parla di donne che mettono l’uomo al centro. Nessuna sceglie davvero se stessa, ma dimostra di aver bisogno dell’altro per affermarsi, come un’amica, un marito o il nuovo modello di scarpe firmate Manolo Blahnik.

Le imperfezioni vanno nascoste

Sex and the City

Carrie è imperfetta, e questo è un bene. Il problema è che lei se ne vergogna. Cerca di nascondere le sue imperfezioni sotto a cumoli di lustrini, invece di accettarle. Subisce il peso della solitudine e vive come uno stigma l’essere una 35enne single. È questo il suo Inferno. E la situazione non fa che peggiorare. La conosciamo come una donna alla ricerca di se stessa, ma la salutiamo come una donna che si realizza solo con un uomo al suo fianco. Di stagione in stagione, la discesa agli inferi rende la protagonista ancora più disperata. Come nella 05×01, dove Carrie si mette in ridicolo, cercando spasmodicamente ogni tipo di attenzione tra urla isteriche e gaffe improbabili. Importuna perfino un passante, dei marinai e tocca il fondo del girone più oscuro dell’Inferno: quello popolato delle sue insicurezze. Invece di accettarle per superarle, alla fine della storia, le rafforza. Anzi le sposa: è Mr. Big il suo demone. Quello che le fa lo sgambetto ogni volta che sta per trovare la sua dimensione esistenziale. Ma non è lui, il problema è Carrie.

Sex and the City: un modello perfetto da non emulare

Sex and the City

Gli stereotipi che avrebbe dovuto abbattere vengono così consolidati e interiorizzati da milioni di ragazzine che invidiano Carrie e le sue amiche. Quelle che ancora oggi continuano il pellegrinaggio sotto la casa newyorkese del personaggio più iconico della serie. Eppure Sex and the City sembra essere piuttosto una dimensione infernale fatta di aspettative irrealistiche, di abnegazione di sé e di preconcetti pericolosi. Dove le donne non sanno cosa sia l’amor proprio (ma lo scambiano per la capacità di rientrare nei propri jeans) e sono vittime dei racconti delle fiabe, perennemente alla ricerca della scarpetta che calzi a pennello e del principe azzurro. Lo show è ben fatto, ma forse non lo abbiamo capito. E se fosse il decalogo delle regole da non seguire? Una serie che mostra vividamente l’Inferno in cui siamo intrappolati, rappresentato da due modelli da cui stare lontani: le Carrie Bradshaw e i Mr. Big? Forse lo show vorrebbe dirci: ehi, ecco cosa non dovete fare se volete essere davvero felici e indipendenti. Questo è l’Inferno di Carrie Bradshaw: un luogo fatto di tormenti, illusioni, dettami, egocentrismo, consumismo sfrenato e preconcetti.

Carrie Bradshaw

Sex and the City non è mai superficiale frivola, anzi, inquadra bene il problema: le strette sovrastrutture culturali che ci impediscono di essere chi vogliamo. Sex and the City è una storia che parla di una ragazza – che non rappresenta tutte le donne – che fa dell’amore l’architrave su cui poggia la sua esistenza. Una storia che parla di come lei ha trovato il suo Mr. Big. È anche una storia d’amicizia, molto intensa, e ha avuto il coraggio di affrontare delle tematiche controverse. Ma non è una storia rivoluzionaria, tantomeno una che insegna alle donne come emanciparsi. Semmai è la guida delle cose da non fare per essere emancipate. Sotto alle parolacce, alle scene di sesso esplicite e ai discorsi vietati ai minori, c’è la tradizione e una visione conservatrice della donna. Una favola moderna con tanto di ranocchi da baciare e principesse fragili, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, che non sanno stare al mondo da sole. Sex and the City non è la voce delle donne. Racconta in modo piacevole la storia di una donna troppo preoccupata a inseguire l‘illusione di una vita “perfetta”, che ha scelto di vivere secondo uno standard irrealistico. Una sua scelta che, come ogni scelta individuale, va rispettata. Ma non per questo dobbiamo emularla. Ora è tutto nelle mani del reboot: And Just Like That… confermerà o ribalterà quella visione favolistica e piena di cliché che hanno influenzato intere generazioni?

Ah, e per inciso: no, non tutte le donne sognano il suo guardaroba o di finire con Mr. Big. E la scelta da fare tra compare l’ennesimo e superfluo paio di scarpe e mangiare è mangiare! Sempre.

L’avvocato del Diavolo: Mr. Big di Sex and the City non è un mostro