È successo: Sex Education è ufficialmente terminata. Uno dei teen drama più irriverenti degli ultimi anni – basta dare un’occhiata al titolo per rendersi conto di quanto questa serie sia stata poco disposta a farsi incasellare da ciò che si può dire o si può mostrare – ha chiuso i battenti il 21 settembre con la diffusione su Netflix della quarta e ultima stagione. Una stagione che non soltanto ha messo fine a una storia che ha conquistato e appassionato il suo pubblico alla velocità della luce, ma che ha anche messo al riparo la serie da quella tendenza (forse finalmente in discesa?!) a continuare a oltranza fino a perdere totalmente di senso rispetto a quelle che erano le sue premesse iniziali. Insomma, Sex Education è per fortuna finita prima che fosse troppo tardi, ma ha anche lasciato un’eredità di un certo spessore per i prodotti del suo genere, che con questa serie marca un prima e un dopo relativo sia a ciò che si dice, sia a come lo si dice.
Lo spazio necessario per un messaggio nuovo
Da una serie con questo titolo e la cui prima scena si apre con un lampadario che oscilla a causa del movimento che sta avvenendo al piano di sopra (un movimento che, scusate lo spoiler, proviene da una coppia che una volta arrivati alla quarta stagione ha dell’assurdo), non potevamo che aspettarci che fosse il sesso il vero protagonista, ben più di quanto lo sia stato Otis Milburn. Se è vero infatti che è Otis a prendere fin da subito in mano le redini di Sex Education, presentandosi sia come il protagonista della narrazione sia come il fautore della clinica di consulenza sessuale scolastica che ci permette di conoscere meglio tutti gli altri personaggi, è altrettanto vero che ciò attorno al quale tutto ruota è proprio il sesso. Nel corso delle quattro stagioni della serie di sesso si è parlato tanto – mai troppo – e il più delle volte bene, dando spazio a tutto ciò che vi ruota attorno, compresi temi dei quali poco o niente si era detto prima. Insicurezze, particolarità, ossessioni e timori legati alla sessualità, o più banalmente la volontà e la necessità dei personaggi di vivere il piacere, sono stati il pane quotidiano di un prodotto che non si è mai sottratto – soprattutto nell’ultima stagione – alla necessità di collegare questa tematica con tante altre, ma che forse per primo e per adesso unico vi si è concentrato in maniera così profonda.
Lo spazio dato al sesso, in particolar modo a quello adolescenziale, è di una portata ben lontana dalla semplice volontà di ricordare al pubblico che anche gli adolescenti lo praticano, finalità che aveva caratterizzato buona parte delle serie tv precedenti. Il messaggio principale promosso da Sex Education è stato invece un altro: non esiste un’unica e sola concezione del sesso al di fuori della quale le persone sono da considerare anormali; esiste invece la volontà di perseguire il piacere a modo proprio, nel rispetto di se stessi e della persona con la quale lo si condivide. E questo riguarda tanto gli adolescenti quanto gli adulti. Parlare dello spettro della sessualità in tutta la sua ampiezza, della bellezza del sesso ma anche delle difficoltà connesse al praticarlo – io stessa ho sentito parlare per la prima volta nella mia vita di vaginismo proprio guardando la serie -, dell’autoerotismo, dell’emotività, dell’amore e di più o meno qualsiasi cosa esistente sia collegata alla sfera sessuale, facendolo inoltre con cognizione di causa, è stato un obiettivo che questa serie è riuscita a raggiungere non senza qualche critica. Ma facendolo, nel momento e nel modo in cui ci è riuscita, si è rivelata essere la fine di un’era e l’inizio di una nuova più diretta, più esplicita, più vera.
Sex Education saluta la tradizione
Dire che Sex Education sia stato il primo teen drama rivoluzionario nella trattazione delle tematiche legate al mondo adolescenziale sarebbe certamente riduttivo e toglierebbe a molte serie precedenti il ruolo pionieristico che invece hanno avuto e meritano di vedersi riconosciuto. Rivoluzionaria è stata Beverly Hills 90210, così come qualche anno più tardi lo sono state Dawson’s Creek o The O.C., serie che in modo diverso hanno forse anche contribuito a spianare la strada a un linguaggio e a un racconto più palesi. Ma mentre queste serie hanno messo al centro della narrazione adolescenziale una complessità che prima sembrava inesistente nel racconto seriale, mettendo sul piatto tematiche quali la droga, la sessualità o la violenza domestica, Sex Education ha deciso di concentrarsi su una sola di queste tematiche e di sviscerarla entrando in profondità che in tv non erano mai state esplorate.
Mai sul piccolo schermo avevamo visto così tante scene di masturbazione, immagini di genitali maschili e femminili, mai così tanto sesso e così tanto dialogo sul sesso. Un argomento interessante quest’ultimo, perché se questa serie ci ha insegnato qualcosa non è stato soltanto quanto sia importante vivere nella maniera più soddisfacente la propria sessualità, ma anche quanto sia importante parlarne – con il/la partner e all’occorrenza con una persona specializzata sul tema – nel caso in cui qualcosa non vada. Lo ha insegnato ai più giovani, a coloro che la fase adolescenziale la stanno vivendo e magari non sanno come affrontare i normali cambiamenti che questa comporta, ma anche agli adulti, a quella generazione che forse non è mai stata abituata a parlarne abbastanza e apertamente.
Certo, lo sviluppo di Sex Education ha fatto sì che, soprattutto nel corso dell’ultima stagione, si toccassero anche tanti argomenti nuovi. Una scelta molto sensata in alcuni momenti – molto bella è stata a mio avviso la storyline legata alla depressione post-partum di Jean, così come quella del lutto di Maeve -, molto meno in altri, ma forse anche funzionale a una narrazione che stava arrivando al suo capolinea e aveva bisogno di ampliare il suo discorso. Ma la serie, nata con il palese intento di educare non i protagonisti ma gli spettatori a parlare di sesso in modo aperto e consapevole, il suo obiettivo educativo non lo ha mai perso, dal primo all’ultimo episodio.
Ma, per l’appunto, l’ultimo episodio è arrivato.
E adesso cosa resta? E soprattutto, cosa lascia questa serie in eredità a quelle che verranno dopo? Come era stato per i prodotti anni Novanta e Duemila di cui abbiamo parlato qualche paragrafo fa, anche Sex Education ha aperto una nuova via. È la strada dell’ironia che si mescola all’irriverenza, la strada dell’assenza dei limiti sociali che il bigottismo interiorizzato a volte ci impone, la strada di un linguaggio che non è volgare solo perché è diretto. Sex Education non è stato un porno ma un insegnamento e, in un mondo in cui siamo continuamente assuefatti dalla visione di immagini, video, serie e film, essere diretti è l’unica scelta da fare per portare il pubblico ad ascoltare davvero ciò che si ha da dire. Una nuova strada è dunque percorribile: ora non ci resta che aspettare per vedere chi sarà il primo a farlo.