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Sex Education: identità (ir)razionali

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My hands are tied
My body bruised, she got me with
Nothing to win and nothing left to lose, and you give yourself away…
” (With Or Without You degli U2)

L’etimologia della parola identità ci riporta al latino identitas-atis, che a sua volta deriva dal termine filosofico greco ταὐτότης, utilizzato per indicare l’uguaglianza di un oggetto (o di un soggetto) rispetto a se stesso. In Sex Education la parola identità va necessariamente coniugata con la parola ricerca: fin dalla prima stagione, infatti, tutti i protagonisti sono alla costante ricerca del proprio sé, del momento rivelatore in cui potranno davvero riconoscersi allo specchio come identici rispetto a loro stessi. Per farlo, però, devono soffrire, e noi con loro. La nostra (e la loro) fortuna o sfortuna – dipende dai punti di vista – è che la domanda principale attraverso cui veniamo guidati contiene la risposta alla domanda stessa: cos’è l’amore?

L’amore è il cuore pulsante, il nucleo atomico di tutte le vicende raccontate in Sex Education. Proprio per questo, esso assume ogni forma: l’amore romantico, l’amore dell’amicizia, l’amore genitoriale, l’amore negato. È amore una chiamata non fatta alla ragazza che ami. È amore la necessità di essere visti dal proprio padre. È amore, ancora, riconoscere che non ci si può permettere di perdere un amico, neanche per una ragazza o un ragazzo. In tal senso Sex Education non rinuncia ai cliché, anzi ne sfrutta il potenziale per permettere a tutti gli spettatori di riconoscersi almeno in un personaggio: il grande merito, però, della serie di Laurie Nunn è il saper navigare attraverso questi cliché e, anzi, di ribaltarli. Sex Education naviga il conflitto e rende, soprattutto nelle prime due stagioni, appassionanti i capovolgimenti emotivi. Uno su tutti: è interessante che l’inizio del lungo rincorrersi tra Otis e Maeve veda il primo subito cotto, incredulo che possa scaturire in una ragazza così scontrosa dell’interesse. Subito dopo, non appena Otis riesce (apparentemente) a dimenticarsi di lei, è la ragazza a dover soffocare i suoi sentimenti. L’amore tra i due protagonisti è un amore negato: persino dopo il tanto agognato rapporto sessuale, cementificazione dell’amore promesso e sospeso degli anni precedenti, i due sono destinati alla separazione, alla consapevolezza che amarsi è bellissimo, che amarsi è anche e soprattutto conoscersi, ma anche che in fondo, a volte, amarsi non basta.

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Sex Education (640×360)

La ricerca dell’identità, quindi, passa soprattutto attraverso l’amore. Come detto, esso è il fine ma anche il mezzo per conoscere non solo l’altro/a, ma anche se stessi. Identità sessuale, emotiva, professionale, in una parola: totale. È questa che cerca con distratta inconsapevolezza Adam, forse il personaggio meglio scritto dell’intera serie. Ed è l’identità di marito e genitore che cerca suo padre Michael, che ha soffocato il suo cuore per troppi anni per ricordarsi dove cercarlo. Ma il suo cuore è suo figlio: un figlio maltrattato e abusato psicologicamente che nonostante ciò riesce a trovare la sua strada. È catartico, infatti, il primo trotto a cavallo di Adam nella quarta stagione, che gli permette di trovare in una cosa di cui aveva paura una fonte di sicurezza. Ed è proprio in una persona di cui aveva terrore, suo padre, che trova nel finale della serie uno spiraglio di amore genitoriale: quell’abbraccio liberatorio, quelle lacrime di Michael non cancelleranno certo il marcio del passato, ma chiudono le parabole di due personaggi che tantissimo hanno dato e insegnato nel loro percorso.

Adam è il ponte di collegamento con quello che può essere definito il personaggio chiave di tutta Sex Education, soprattutto per ciò che la serie aspira ad essere: Eric.

Eric, come tutti i protagonisti (adulti ed adolescenti) è in un continuo errare: questo errare va inteso nel suo doppio significato di “andare qua e là senza direzione o meta certa” e di “commettere un errore. Tutti in Sex Education vagano confusamente vero e attraverso la ricerca della propria identità e, nel farlo, commettono molti errori. Eric, in un certo senso, è sempre stato una guida, a differenza degli altri (ed è calzante, al netto dell’interesse religioso alla questione, il futuro di pastore che scegli per sé): è l’unico personaggio che ci viene presentato come già autore del tanto difficile coming out. Eric è molto consapevole della sua identità, sa cosa vuole ed è, in un certo senso, avanti. Eppure sbaglia. Ferisce e si ferisce, ma chi non ama non sbaglia mai. Chi non si ferisce è perché non è davvero “dentro” se stesso.

Ho perso molto quest’anno e non potevo permettermi di perdere anche te” gli dice Otis nel finale dell’ultima stagione. Il rapporto di amicizia tra i due, forse tra i picchi narrativi più alti di tutta la serie, è in realtà maturo fin dal principio. Anche quando più ragazzini, infatti, i due sapevano parlarsi, sapevano capirsi. Non avevano risolto la questione delle loro differenze, ma non perché destinata a dividerli, ma perché giustamente troppo impegnati a concentrarsi su ciò che li accomunava. Inoltre, i due protagonisti maschili sono al contempo concentrati sulla propria ricerca, ed Eric si mette a confronto con le proprie radici, prima in Nigeria e poi con la Chiesa: il discorso prima del suo (non) battesimo è, infatti, il manifesto di Sex Education: se volete amarmi, se sapete amarmi, amatemi per come sono. Tristemente, ma realisticamente, solo la madre si alzerà per dire “I love you as you are, my son.

Le madri, appunto. L’orgoglio di Jean che vede il figlio in grado di far aprire, nel finale della terza stagione, uno dei personaggi peggiori della serie, la preside Hope. Spesso essere genitori in Sex Education significa riconoscere: Michael riconoscerà che Adam non è il fallimento che ha sempre voluto raccontarsi. Jean riconosce in Otis il suo stesso (se non addirittura migliore) talento nell’ascoltare gli altri. Ed Erin, la madre di Maeve, cosa riconosce nella figlia?

Maeve è per Erin tutto ciò che lei non è mai stata in grado di essere. Maeve è la speranza della fuga non perché si deve, ma perché si può. Il rapporto tra le due donne è, in questo senso, devastante: lo è per i tratti positivi che riesce a raccontare – come le palline di cioccolato a forma di sorriso sui pancakes – nonché per quelli negativi che sbattono in faccia la realtà, fin quando non arriva il quadro peggiore, quello della morte di Erin. Si soffre per una madre che viene a mancare prematuramente, anche se pessima: perché, come dice la stessa Maeve, non era solo “bad“.

Maeve è un fiore a cui strappano i petali non appena comincia a sbocciare. In Sex Education, la giovane e talentuosa ragazza è il simbolo delle ali tarpate: ha la stoffa, ma viene da una famiglia che non può supportarla.

Si innamora di Otis, ma il ragazzo è nella sua prima vera relazione con Ola. Ma soprattutto, è negli Stati Uniti per provare a realizzare i propri sogni di scrittrice e le viene negato l’internship e, infine, sua madre muore di overdose. La forza di Maeve è, per questo, quella di credere di non essere meno di nessuno, quella di sapere che gli ostacoli la renderanno più forte di tutto. È questo il senso del suo ritorno negli Stati Uniti: la ricerca del sé, della propria identità può portare lontani. A qualsiasi costo, anche se dolorosissimo. Anche se il tanto atteso “I love you” è chiuso in un fiore che non germoglierà mai, incatenato da quei petali che rimarranno chiusi nel momento più bello.

Sex Education è tutto lì. È un insegnamento sull’identità, di ogni genere. È un errante ed irrazionale vagare alla ricerca del sé, che tu sia un adulto o un adolescente. È un crescere “fuori da se stessi”, per superare e vincere il trauma (come Aimee e Ruby). È un “ti amo” che forse non basterà, ma che è bastato. È un

Thanks for everything, dickhead“.

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