You’re an addict, so be addicted. Just be addicted to something else.
T2: Trainspotting
Chicago, The Windy City. Il vento soffia senza sosta a Chicago da un estremo all’altro della città: è aria pulita che spazza via le ceneri del The Beef sulle quali Carmy Berzatto costruisce un locale del tutto nuovo, il The Bear; è tempesta che allontana ogni possibilità di cambiamento quando raggiunge il South Side di Lip Gallagher, spinto indietro da una forza invisibile ogniqualvolta tenti di andare avanti. Legati dalla potenza della burrasca, Carmy e Lip sono figli del vento di Chicago, figli del caos e di Jeremy Allen White.
Tanto per Lip quanto per Carmy il soffio vitale che anima i loro corpi è l’inarrestabile tempesta generata dalla dipendenza. La dipendenza dall’alcol è però solo la facciata esterna di un tormento interiore a cui entrambi sembrano essere condannati per ereditarietà genetica. Come d’altronde ci ha insegnato Shameless, la famiglia è salvezza e condanna, e Lip è condannato alla staticità del caos poiché non può esistere salvezza in assenza di cambiamento. Eppure Lip è intelligente, brillante, è una mosca bianca in quel mondo privo di luce del South Side, è l’unico del quartiere a conoscere le leggi della fisica e i segreti della matematica, l’unico destinato a grandi cose, la prova vivente che può esistere la speranza del cambiamento anche nel peggiore contesto sociale del paese. Lip però è fin troppo intelligente, tanto da sapere che se vieni da Chicago, la città del vento, non basta la speranza per fermare la tempesta, e se non hai mai conosciuto la pace non esiste cura per la tua dipendenza dal caos. L’autosabotaggio diventa dunque l’unica via percorribile tanto per Lip quanto per Carmy, accomunati dalla smania di prevenire il fallimento evitando il successo, diventando artefici di quello stesso destino segnato da cui fuggono poiché pensare di essere totalmente responsabili del proprio fallimento è persino più rassicurante che credere all’assenza di speranze per chi, come loro, ha un guasto nell’anima e nel patrimonio genetico.
Le famiglie disfunzionali da cui provengono Lip e Carmy sono l’origine di quel caos che regna nella vita di entrambi, perfettamente incarnato da Jeremy Allen White.
Jeremy Allen White è il punto di unione tra i due diversi ma identici personaggi, è il luogo preciso in cui le due aree di Chicago si incrociano, è quel vento che unisce due storie opposte e due vite uguali poiché, tra i due caos, quello che prevale in ogni interpretazione è proprio il suo. Jeremy Allen White lotta contro lo stesso demone dei suoi Lip e Carmy, afflitto da quella identica dipendenza che rischia di macchiare la sua carriera, ma che tuttavia non potrà mai oscurare il suo talento. Ogni monologo di Jeremy Allen White porta con sé un piccolo pezzo della sua reale esperienza, tanto quanto è possibile scorgere un po’ di Lip Gallagher in ogni fallimento di Carmy Berzatto, e perfino un po’ di Carmy Berzatto nelle ambizioni di Lip Gallagher, seppur bloccato da una gabbia diversa e dal suo personalissimo orso di nome Frank Gallagher.
Frank Gallagher incarna la connessione diretta tra dipendenza e fuga: la dipendenza (da sostanze, da persone, da situazioni) è di fatto una forma di evasione dalla realtà; Frank Gallagher fugge costantemente dalle responsabilità, dalla stabilità, dai figli e persino da una fissa dimora. Pur avendo una propria casa in cui vivere, Frank fugge dalla società al punto da preferire l’esistenza vuota da senza tetto, essendo quella l’unica via per raggiungere la libertà. Nella visione dionisiaca della vita di Frank Gallagher, la libertà è assenza di freni, e qualsiasi responsabilità è un vincolo. Tutti i modelli di riferimento di Lip Gallagher hanno fatto della fuga uno stile di vita, alimentando in lui la convinzione di dover scappare da quella società che non avrà mai nulla da offrire a una persona della sua estrazione sociale, e accrescendo il suo inevitabile complesso dall’abbandono. Lasciato solo da entrambe le figure genitoriali di riferimento, l’unico punto fermo nella vita di Lip rimane l’alcol, mezzo attraverso il quale raggiungere la staticità (emotiva) e allo stesso tempo la fuga.
Lip lascia (e scappa da) l’università e la possibilità di un futuro diverso allo stesso modo in cui Carmy abbandona la sala gremita del suo ristorante nella serata dell’inaugurazione, finendo intrappolato in una gabbia che prende la forma di una fredda cella frigorifera nella quale entra arbitrariamente. Il caos di Carmy ha le sembianze di una cena di famiglia nel giorno della vigilia di Natale: la sua fuga è però repressione. Fuga dai sentimenti, dalla rabbia, dalla paura, dall’angoscia e persino dall’amore, quello che sua madre non crede di meritare perché “rovinerebbe la festa a tutti” e che, di conseguenza, anche Carmy ha smesso di cercare. L’autosabotaggio di Carmy è nella sua fuga dall’amore e dalla felicità e, di nuovo, nella dipendenza dall’alcol, diversivo per la sua dipendenza dal caos.
Carmy Berzatto appare sempre di più come una naturale evoluzione di Lip Gallagher agli occhi di ogni telespettatore, a sua volta dipendente dal lieto fine; mentre infatti Lip ci ha messi di fronte all’amarissima verità che, talvolta, il Sogno Americano non esiste e chi parte dal niente resta nella maggior parte dei casi in quel niente, la carriera di Carmy è pura potenzialità. In quella progressione riponiamo la nostra stessa speranza nella possibilità di un cambiamento, poiché in questo mondo in cui tutti sono dipendenti da qualcosa, l’unica soluzione possibile è trovare una dipendenza diversa da quella del caos.
Se la ricerca della felicità passa attraverso l’accettazione del caos, Jeremy Allen White è la più grande promessa dell’esistenza di un lieto fine.
Jeremy Allen White è (e probabilmente sarà) l’unico attore a essere riuscito nell’impresa di svestire i panni dell’iconico personaggio che l’ha portato alla fama, interpretandone un altro dalle stesse caratteristiche. Portare in scena due personaggi pressoché identici ma allo stesso tempo così distanti e rispettivamente sedimentati all’interno del proprio contesto culturale e familiare, con una propria riconoscibilissima identità pur condividendo lo stesso volto, è possibile solo se ti chiami Jeremy Allen White e conosci alla perfezione il dramma di entrambi; perché Jeremy Allen White non incarna semplicemente il caos, ne personifica ogni singola sfaccettatura esistente.