Sherlock Holmes rappresenta una delle colonne portanti della letteratura poliziesca, e inevitabilmente è stata fin dalla nascita della Tv una delle figure maggiormente rappresentate e reinterpretate dai romanzi di Arthur Conan Doyle. Come è noto, è molto complicato trasportare un personaggio di un libro in maniera fedele e identica in un film o in una serie televisiva, quindi siamo preparati a modifiche ed interpretazioni differenti, sempre che lo spirito del personaggio venga mantenuto e tutelato. L’analisi odierna si soffermerà sul personaggio inventato da Conan Doyle e sulle recenti trasposizioni televisive – con la serie Tv “Sherlock”– e cinematografiche – con i due film di Guy Ritchie.
Partendo dallo Sherlock Holmes “originale” dei racconti, indispensabile per parlare poi più approfonditamente degli altri due casi, basterà dire che costui è innanzitutto un gentiluomo, un “Sir”.
Il suo temperamento è estremamente pacato, con un atteggiamento quasi mai scortese anche se decisamente risoluto. Infatti, Sherlock Holmes non può essere descritto come un uomo d’azione: egli non farebbe mai qualcosa che sia fuori dai piani o che non abbia previsto; non a caso, è quasi impossibile trovare nei tanti racconti a lui dedicati un singolo episodio di “combattimento”: lo scontro fisico è decisamente fuori dal suo stile (infatti esso avviene solamente una volta, ma perchè il suo avversario era armato di pistola), come lo è l’usare armi da fuoco (che invece sono elemento caratteristico di Watson). Sherlock è un uomo (di cui Watson fornisce curiose indicazioni sulle sue conoscenze nel libro “Uno studio in rosso”, definendolo di fatto un ignorante in tema di storia politica, astronomia e cultura generale) che ama pensare, fare esperimenti di chimica, inventare droghe o strumenti utili al suo lavoro e, non da ultimo, trovare in maniera sempre più innovativa travestimenti che gli permettano di mimetizzarsi quando necessario. Odia non essere capito (infatti sorprendentemente bassa è la considerazione che ha di Watson quando convivono per i primi tempi) ma poi solo al fidato dottore vorrà  trasmettere nozioni di deduzione che per lui sono naturali. Inoltre merita un cenno la questione del rapporto con le donne: Holmes sembra apatico al proposito. Rimane colpito e affascinato soltanto da una donna, colei che egli definisce “La donna”: Irene Adler. Tuttavia, il suo interesse sembra nascere maggiormente per il fatto che si tratta dell’unico caso che non è riuscito a risolvere (a detta di Watson ce ne sono altri, ma non vengono mai raccontati) invece che per una pura attrazione naturale. La sua nemesi, invece, è senza ombra di dubbio Moriarty: un personaggio che appare solo nel racconto “L’ultima avventura” e che apparentemente provoca la morte di Sherlock Holmes (Conan Doyle aveva deciso di concludere le storie con quel racconto, ma spinto dalla critica decise di continuare riportando in vita Holmes); è descritto da Sherlock come il “Napoleone del crimine” e le sue trame ne danno conferma.
Moriarty fornisce un ottimo collegamento con l’altro Sherlock Holmes oggetto di questo confronto, cioè quello della riuscitissima serie Tv “Sherlock”. Essa ha la caratteristica di collocare il protagonista (Benedict Cumberbatch) e il fidato dottor Watson (Martin Freeman) nella Londra degli anni Duemiladieci, e non nella seconda metà dell’Ottocento. Una scelta innovativa e ben architettata, che comunque non intacca l’essenza del personaggio. Lo Sherlock “contemporaneo” ha dalla sua strumenti tecnologici che lo aiutano in casi anche più complessi di quelli apparsi nei libri, creando una specie di compensazione da questo punto di vista. Anche nella serie, Moriarty è la nemesi di Holmes: anche qui in qualche modo egli è coinvolto nella presunta morte di Holmes (e a quanto pare presunta è anche la sua morte) e il suo genio viene adoperato per il crimine. Tuttavia, il Moriarty della serie Tv, oltre ad essere molto giovane, è completamente folle: più che un “napoleone del crimine” sembra un pazzo con manie di grandezza, in alcuni casi terrificante con la sua frivola ironia. Sembra più interessato al suo duello personale con Sherlock più che alla realizzazione dei suoi affari (in un dualismo simile a quello fra Batman e Joker). D’altra parte, Sherlock è sociopatico, oltre che spesso scorbutico (quindi sicuramente non un gentiluomo) e apparentemente completamente disinteressato alle donne (tranne nei casi in cui esse possano essere utili, anche se si nota una certa debolezza nei loro confronti, come un complesso difficile da nascondere che rende il personaggio impacciato), su cui però esercita un certo fascino che non riesce a gestire. Se quindi viene condiviso con i libri questo ultimo aspetto del carattere di Holmes mentre viene ignorata la sua descrizione di gentiluomo, d’altra parte va sottolineato come sia fedele la trasposizione degli esperimenti (a volte anche macabri) e della poca attitudine allo scontro fisico (con invece nella serie una preferenza per le armi). Viene estremizzato il non sopportare coloro che non lo capiscono (sfociando spesso nella maleducazione, che non appartiene invece allo Sherlock dei libri), mentre è decisamente interessante il modo con cui viene resa la capacità deduttiva (con le parole che scorrono sullo schermo mentre egli pensa) attraverso la quale lascia a bocca aperta gli altri personaggi e gli spettatori: molto rispettosa della versione cartacea. Purtroppo è invece totalmente assente il tema del travestimento. Inoltre un accenno al rapporto con il fratello Mycroft: definito nei libri come più intelligente di Sherlock ma più pigro, in questa serie sembra esistere un dissidio psicologico fra i due fratelli, quasi di amore-odio e di profonda rivalità ; egli ha un ruolo molto importante nella serie, mentre nei libri compare solo due volte, dando sfoggio alla sua mal sopportazione degli esseri umani diversi da lui e dal fratello.
Infine è doveroso parlare dell’interpretazione di Robert Downey Jr. (e Jude Law nelle vesti di Watson) nei due film chiamati “Sherlock Holmes” e “Sherlock Holmes: gioco di ombre”. Questo Sherlock presenta caratteristiche atipiche: non si può definire un gentiluomo, ma non sembra scortese a tal punto da far pesare agli altri la loro minore intelligenza. Riflette molto, ma meno dei due casi precedenti: questo lo porta ad essere un personaggio votato all‘azione, al continuo scontro fisico, oltre che all’utilizzo delle armi (soprattutto nel secondo film). Egli non sembra affatto indifferente alle donne: ha una storia con la ladra Irene Adler (con cui sembra esserci stato un passato, considerata la fotografia sul suo tavolino nel primo film), cosa che lo rende più disinvolto sia rispetto alla versione cartacea che rispetto a Cumberbatch; sempre diversamente da loro, questo Holmes è divertente: fa battute, crea e si trova in situazioni assurde che strappano più di un sorriso allo spettatore (Downey Jr. recita spesso in questo modo). L’aspetto deduttivo è molto ben reso, ma spoglio e diretto (come quello dei libri), senza l’originale invenzione già citata della serie Tv. Nei film è fortemente rispettato il tema degli esperimenti (in particolare sul cane di Watson, trattato come nei libri) ma soprattutto quello del travestimento, assente invece, come detto, nella serie Tv (anche qui forse è dovuto alle caratteristiche dell’attore). Inevitabile è l’importanza della figura di Moriarty: in questo caso, molto fedelmente ai libri, il napoleone del crimine è un uomo di mezza età professore di matematica (come nei libri), perfido, che ha contatti importanti nell’azienda bellica e che ha come unico interesse quello di speculare sulla e attraverso la guerra; è fortemente infastidito dal lavoro di Holmes che spesso gli mette il bastone fra le ruote, fino allo scontro finale (anche in questo caso, sembra scontata la morte di entrambi e solo il terzo capitolo dei film ci svelerà di più, sapendo che Sherlock è in realtà sopravvissuto) in cui la sua genialità viene un po’ meno vedendo come l’investigatore riesce ad incastrarlo. Tuttavia, egli non è pazzo, e la sua vita si basa sugli affari, non sul dualismo con Holmes: personalmente, è questo il Moriarty descritto nei libri, non quello della serie Tv. Inoltre Mycroft è descritto fedelmente in relazione ai libri, visto il suo ruolo non fondamentale e soprattutto il modo di vivere il rapporto con il fratello: competizione nella deduzione ma nulla di più che sfoci in scontri o dinamiche psicologiche familiari.
Con uno sguardo ampio e avvolgente, ci si rende conto che lo Sherlock di B. Cumberbatch e quello di R. Downey Jr. si completano, creando, insieme e uniti, quasi completamente lo Sherlock Holmes creato da A. Conan Doyle. Questo vuol dire che il personaggio non è stato in nessun caso del tutto denaturalizzato o smembrato, ma ha mantenuto nella singole interpretazioni quel fascino e quella suggestione legata al gentiluomo Sherlock Holmes.