ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Shōgun 1×10, il finale della serie FX disponibile su Disney+!!
Shōgun riesce ad essere una sorpresa. Fino al suo ultimo sussulto di vita. Fedele a ciò che è la sua natura, la serie FX è in grado di rovesciare le nostre aspettative e portarci altrove. Non dove vogliamo noi, dove vuole lei. Shōgun 1×10 è il finale che non ci aspettavamo, quello che tradisce le attese di noi comuni spettatori occidentali, che abbiamo scelto di non cogliere i segnali dissipati ovunque nel corso degli episodi precedenti. Il nostro sguardo era puntato sull’orizzonte, convinti di vedere il Cielo farsi cremisi e dare il via alla resa dei conti finale. Aspettavamo il sangue, la battaglia, il clangore delle spade, i duelli in mezzo al fango, l’azione nuda e cruda.
Shōgun 1×10 non ci ha mostrato niente di tutto questo. Ed è straordinaria così.
Perché non era al nostro compiacimento di spettatori che la serie mirava. Ma alla sua armonia generale. Un’armonia per la quale non ha sacrificato nulla di sé, neppure un pezzettino. Niente fanservice, nessuna scena data in pasto al pubblico col solo scopo di dargli soddisfazione. Shōgun ha scelto di essere quello che abbiamo visto nei dieci episodi disponibili su Disney+. Ecco perché sfugge a qualsiasi paragone con altri cult del genere: perché Shōgun è paragonabile solo a Shōgun. E tra l’andare incontro alle esigenze dei fan o proseguire orgogliosamente sulla propria strada, la serie FX ha scelto la seconda opzione.
Nella recensione al nono episodio, avevamo immaginato che passato, vendetta e morte avrebbero immancabilmente condotto ad una battaglia finale. La guerra è inevitabile, ripetono anche i personaggi della serie in Shōgun 1×10. Ed in effetti è così. Ma il Cielo cremisi che ci aspettavamo di vedere nel season final non ha la forza della battaglia, non si trascina morti nel fango, non fa rumore e non riempie lo schermo con sequenze d’azione epocali. Il Cielo cremisi immaginato da Toranaga, al contrario, è tutto ciò che fa una sola donna e che un intero esercito non avrebbe mai potuto fare. La missione di Lady Mariko, la stessa che l’ha condotta poi alla morte, ha avuto due grandi conseguenze nella storia. Innanzitutto, la sua morte – a cui si era già preparata, così come Toranaga – ha creato scompiglio nel Consiglio dei Reggenti, indebolendo Ishido.
Le famiglie nobiliari hanno avuto il permesso di lasciare Osaka e, riacquistata la propria libertà, hanno tolto l’appoggio al Consiglio.
Un Consiglio sempre più litigioso e meno compatto. L’obiettivo di Toranaga, dopotutto, era sempre stato quello di dividere i reggenti per minare la sicurezza dei suoi nemici. Compatti si vince, divisi ci si arrangia. La seconda conseguenza immediata innescata dal sacrificio di Mariko è il cedimento emotivo di Ochiba, la Madre dell’Erede. Amica d’infanzia di Lady Mariko, Ochiba resta colpita dalla sua morte al punto da veder vacillare il proprio odio e la propria sete di vendetta contro Toranaga e contro il mondo. Avevamo già visto nella scorsa puntata come il personaggio di Ochiba abbia subito una trasformazione positiva, ma è in Shōgun 1×10 che la Madre dell’Erede sceglie di togliere il proprio appoggio a Ishido e di tendere una mano a Toranaga.
Se l’esercito dell’Erede non appoggerà quello di Ishido, il suo vantaggio numerico e psicologico verrà meno.
Toranaga ottiene la promessa di Ochiba di restare fuori dalla guerra con i vessilli dell’Erede e questo permette allo scaltro signore di Edo di aggiudicarsi la vittoria con uno sforzo minimo. Della Battaglia di Sekigahara, però, quella decisiva per il trionfo di Toranaga, non vediamo nulla, se non qualche breve lampo in un flashforward verso la fine di Shōgun 1×10. La serie sceglie di privarci della guerra vera e propria. Ci aspettavamo tutti una resa dei conti finale? Aspettative deluse. Shōgun va avanti per la sua strada. Il finale ha fatto storcere il naso a qualcuno proprio per l’assenza di una battaglia finale. I period drama ne sono strapieni, i capisaldi del genere hanno tracciato la strada mostrandoci quasi sempre un’epica battaglia finale. Shōgun non lo fa e questa decisione, se da un lato scontenta qualcuno, dall’altro eleva il coraggio dei suoi creatori.
La serie ha scelto di rinunciare all’azione per la poesia.
Anche Shōgun 1×10, come i precedenti, è un episodio molto poetico. Che ci regala, inevitabilmente, un finale molto poetico. La poesia è ravvisabile nelle scelte di scrittura, nelle allegorie dei dialoghi, ma anche nella scenografia, nella fotografia e nella regia. Le sempre più frequenti inquadrature di spalle ci consegnano attimi di riflessione che ci permettono di assumere il punto di vista dei personaggi. Di rubare il loro campo visivo, di appropriarci di ciò che vedono e sentono e di percepire la vastità di tutto ciò che li circonda.
Shōgun 1×10 è l’episodio che mostra il crollo emotivo di due personaggi: John Blackthorne e Yabushige. Entrambi, come tutti, sono giunti alla fine del proprio arco narrativo. Entrambi sono psicologicamente devastati dalla morte di Mariko, chi per un motivo e chi per un altro. L’Anjin ha visto morire Lady Mariko tra le sue braccia, rassegnato a non poterla riportare indietro. Il suo sacrificio rappresenta una perdita incalcolabile. Blackthorne vede scomparire dalla sua vita una donna che ha teneramente amato e questo evento lo corrode nel profondo.
Yabushige, al contrario, è logorato dai sensi di colpa. Al punto da mostrare i primi segni della follia.
Il tradimento del suo clan, del suo signore e del suo stesso onore sono per Yabushige un peso troppo ingombrante da sopportare. Sappiamo che il suo personaggio è destinato alla morte, in Giappone si muore per molto meno. Toranaga gli ordina di squarciarsi il ventre al tramonto e gli offre anche l’occasione di liberarsi dai rimorsi di coscienza. I due momenti di maggiore impatto di Shōgun 1×10 sono il confronto tra Blackthorne e Toranaga e la conversazione finale tra quest’ultimo e Yabushige.
L’Anjin ha avuto sin dall’inizio un ruolo importante nella storia. Toranaga lo ha voluto al suo cospetto, lo ha nominato hatamoto, gli ha affidato il comando delle sue truppe, gli ha concesso onori e privilegi. E noi ci siamo sempre chiesti: sì, ma perché? Shōgun 1×10 ci chiarisce definitivamente la ragione per cui l’Anjin fosse tanto rilevante: nessuna. Proprio così: Toranaga ha tenuto con sé Blackthorne “non perché fosse importante, ma perché mi faceva ridere”. L’Anjin doveva essere semplicemente una distrazione, un diversivo con cui sviare i nemici dalle reali intenzioni e offrire loro un pupazzo innocuo su cui concentrare le proprie attenzioni.
A Blackthorne non spettava nessun compito particolare nelle sorti della guerra. Ma la sua presenza ha arricchito la serie per altri motivi.
Lo sguardo dell’Anjin sul Giappone è stato anche il nostro sguardo. Da straniero, Blackthorne ha percepito tutta la distanza possibile con quella terra e con le consuetudini dei suoi abitanti. Ne è stato affascinato, ma anche spaventato. Ha cercato di prenderne le distanze, di scappare, di mandare tutti al diavolo. Alla fine, però, ne è rimasto irretito. La sua libertà, John Blackthorne l’ha trovata nel legame che ha instaurato con quella terra. Un legame assurdo, eppure profondo. È diventato come quelle enormi pietre piantate nei giardini delle case dei giapponesi: è rimasto immobile, saldo, resistente, anche quando la sua moralità è stata messa alla prova. Forse, alla fine, l’Anjin non tornerà più a casa.
Yabushige invece va incontro alla morte come a una liberazione. Prima di togliersi la vita, chiede al suo signore di far luce sui punti oscuri del suo piano segreto. Le domande di Yabu sono quelle di ogni spettatore che resta interdetto davanti al finale di Shōgun 1×10. Toranaga aveva previsto tutto, sin dall’inizio. È un signore che domina il vento e lo muove a suo piacimento. Aveva messo tutto in conto: le liti interne al Consiglio, la strategia di logoramento, il Cielo cremisi, il sacrificio di Mariko, la morte di tante vittime innocenti. Ricordate i tre cuori di cui abbiamo parlato nella recensione ai primi episodi della serie? Il cuore segreto di Toranaga era quello che custodiva le sue intenzioni di diventare Shōgun. Era sempre stato quello il suo scopo, il sogno per il quale ha sacrificato tutto.
Non siete migliore di noi dopotutto.
Yabushige a Toranaga
Shōgun 1×10 è il capitolo finale di una delle migliori serie dell’anno. Il finale dividerà il pubblico e non è esente da imperfezioni (non ci convince del tutto l’espediente dei flashforwards per raccontare il futuro di Blackthorne e la fine della guerra).
Non ci regala un epico scontro finale, come ci saremmo aspettati. Ci lascia confusi (specie se non abbiamo letto il romanzo di James Clavell) e non pienamente appagati. Le attese sono rimaste deluse, l’azione vera e propria non è mai arrivata. Ma la serie ha scelto di affidarci come lascito la poesia piuttosto che la sanguinosa battaglia finale. E non perché non sia capace di maneggiare crudezza e violenza (il finale scioccante del quarto episodio dovrebbe averlo dimostrato). Ma perché preferisce le parole ai duelli, i significati nascosti all’ incontrovertibilità di una lama che squarcia un corpo sul campo di battaglia, il fascino del simbolismo al realismo dello scontro. Shōgun è una serie che ha trasgredito le regole del genere per essere, semplicemente, se stessa. E per questo, così come del viaggio che ci ha consentito di fare nel Giappone feudale, dovremmo esserle grati.