ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere informazioni e spoiler sulla prima stagione di Shōgun, la miglior serie drammatica ai Golden Globes!!
Affascinante, misteriosa, seducente, poderosa: Shōgun è la serie tv migliore del 2024. Quella più matura, quella più fedele a se stessa. Una delle poche in grado di trovare la chiave del successo sfruttando il giusto compromesso tra la spettacolarizzazione tanto agognata dal pubblico e un certo standard di qualità. Ha sbancato gli Emmy Awards, portandosene a casa ben diciotto, un record assoluto nella storia degli Emmy. Non solo. Ha ottenuto un Golden Globe per la Miglior Serie Drama dell’anno e ne ha presi altri tre per il Miglior attore protagonista a Hiroyuki Sanada (Yoshi Toranaga, il signore che ascoltava il vento) – anche tra i produttori dello show -, per la Migliore attrice protagonista ad Anna Sawai (Lady Mariko) e per il Migliore attore non protagonista a Tadanobu Asano (Yabushige). Ecco tutti i vincitori del Golden Globe 2025.
Un successo clamoroso, di pubblico e di critica. Ben oltre le aspettative, ben oltre quanto potessimo supporre noi, specialmente qui in Italia. Mentre negli Stati Uniti si era creata infatti una certa attesa attorno alla serie, da noi le aspettative erano molto più modeste. Il romanzo di James Clavell e la successiva miniserie andata in onda nel 1980 hanno contribuito a esaltare la fama del prodotto, che già allora si dimostrò in grado di affascinare il pubblico. Da noi, invece, l’impatto del romanzo di Clavell fu molto più limitato. E, a distanza di mezzo secolo dalla pubblicazione del libro, la stragrande maggioranza del pubblico si è avvicinata alla serie FX senza conoscere le esperienze precedenti.
Per cui, Shōgun è stata davvero una sorpresa.
Ma come ha fatto la serie tv distribuita in Italia da Disney+ a diventare un instant cult? Come si è conquistata tanta fiducia e tanti apprezzamenti pur essendo un materiale quasi sconosciuto? E perché tutti lo considerano un prodotto destinato a fare scuola? Abbiamo già analizzato le chiavi del successo di Shōgun e siamo convinti che se ne parlerà ancora per molto. Nella parossistica ricerca della spettacolarità, le serie tv di oggi si orientano sempre di più su una serialità “generalista”, sfruttando linguaggi e codici già collaudati. Le serie tv d’autore sono sempre più merce rara, mentre i prodotti su cui investono più spesso i network sono quelli ancorati a franchise di successo.
L’esperienza di Shōgun, in questo senso, è invece in controtendenza. Si tratta di una serie tutt’altro che generalista, eppure è riuscita a intercettare i gusti di un pubblico molto variegato. Come ha fatto? A giudicare dalle premesse, avremmo fatto probabilmente l’errore di relegarla a una serie di nicchia, convinti che non ci fossero i presupposti per essere appetibile per un pubblico di massa. Invece Shōgun è piaciuta un po’ a tutti. Il motivo? È stato un prodotto in grado di trovare l’equilibrio tra la propria natura e le aspettative del pubblico.
Ha mantenuto altissima la sua qualità, riuscendo a risultare comunque spettacolare. Senza concedere niente alla fame di intrattenimento, ma guidando lo spettatore verso la propria visione.
Non è una questione solo di standard qualitativi. Ci sono tante serie di ottima qualità che però non hanno la forza necessaria per diventare cult moderni. Perché non sono in grado di parlare a tutti. E perché non sono in grado di trascinarsi dietro il pubblico facendo valere la propria filosofia creativa. Shōgun, invece, ha centrato appieno l’impresa e anche bene. Il linguaggio della serie è universale e moderno. Pur avendo a che fare con una storia scritta quasi cinquant’anni fa, gli autori sono stati in grado di modernizzarla, rendendo il prodotto ancora più allettante per noi spettatori degli anni Venti.
Gli autori della serie hanno praticamente aggiornato un successo letterario degli anni Settanta e Ottanta e lo hanno reso appetibile per il pubblico moderno. Shōgun ha scelto di non essere schiava del giudizio (e dei gusti) degli spettatori. E così facendo, è riuscita a non snaturarsi e a non svilire i propri valori. Ci siamo innamorati di una serie che ha centellinato l’azione, relegandola a sporadiche sequenze. Pur essendo un period drama – e avendo quindi nel DNA un certo tipo di struttura narrativa -, lo show non ci ha fatto vedere grandi battaglie, duelli epici o combattimenti maestosi.
Abbiamo atteso per interi episodi una guerra che non c’è mai stata, convinti che questo show alla fine si sarebbe adagiato sugli standard più in voga in questa fase storica.
Invece, Shōgun ci ha spiazzati, soprattutto col finale. È stato capace di seguire fino in fondo la propria strada, di difendere la propria filosofia e i propri valori, senza accettare compromessi che ne offuscassero l’unicità. Siamo rimasti affascinati dalla poesia di Shōgun, più che dal sangue. Ci ha cullati il ritmo lento della narrazione, più che l’adrenalina delle sue sequenze d’azione. E questo è stato possibile grazie a tutti quegli elementi che fanno di un prodotto televisivo un piccolo scrigno da custodire con dolcezza. I dialoghi di Shōgun sono ponderati, cauti, intensi. L’orecchio presta attenzione alle parole, ma ancor di più ai silenzi, alle allusioni sussurrate, ai sottintesi, alle pause, ai rumori circostanti.
I personaggi sono un mistero: indecifrabili, affascinanti, complessi. Se nei primi episodi tendiamo ad assumere il punto di vista di John Blackthorne – che è l’uomo dell’Occidente che giunge in un Paese sconosciuto -, man mano che si prosegue nella visione riusciamo a calarci nella prospettiva di ogni singolo personaggio. Entriamo in connessione con l’Anjin-san così come con i giapponesi, penetrando la complessità di ciascuno di loro, senza prendere le parti di nessuno. La cura dei dettagli è minuziosa, il tuffo nel Giappone del Seicento è inevitabile. Lo schianto è fragoroso, ma poi l’impatto con una cultura nuova si attenua un passo per volta. Lo stupore prevale sulla diffidenza, non si inciampa mai nei cliché e in modelli ossessivamente ripetuti.
Shōgun procede lenta, è un viaggio in treno che attraversa i continenti e ti sbatte in faccia il panorama. Non è un volo last minute per l’altra parte del mondo. È un’esplorazione scrupolosa, immersiva, totalizzante.
Il che è sempre più raro nel contesto attuale, dominato invece da azione, velocità e intrattenimento ad alta tensione. La bravura degli autori di Shōgun è stata tutta qui: nell’essere stata in grado di puntare tutto su una qualità commestibile, desiderabile e appetibile per tutti i palati. L’opera non è compiuta, non del tutto almeno. Con la notizia – inattesa – di un nuovo ciclo di episodi, Shōgun affronterà il vero test che segnerà il destino dello show. La seconda stagione sarà ispirata ai principi della prima o è già una resa alle logiche del “mercato” seriale? Non ci resta che attendere per scoprirlo. Ma intanto possiamo goderci la lezione che questo show ha dato a tutti e sperare che altre produzioni ne seguano l’esempio.