ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler su Shōgun, la serie sul Giappone feudale che ha spopolato a inizio 2024
Il vento soffia e muove ogni cosa. Ha la pazienza di erodere le montagne, di smussare le rocce, di cambiare il paesaggio. Soffia impetuoso, violento, improvviso. Porta la tempesta o scaccia via le nubi. È invisibile, impalpabile, imprevedibile e indomabile. È vecchio quanto il mondo, ne accarezza il profilo da millenni. Custodisce segreti e li sparge dove vuole, in attesa che orecchie attente e sguardi scaltri ne afferrino un pezzettino. Il vento toglie e dà, quel che strappa via lo restituisce alla terra. Aiuta le foglie a staccarsi via dagli alberi. Fa i rami spogli, ma cosparge la terra sottostante di petali. Il vento alimenta il fuoco: da una piccola fiamma può nascere un falò (come ha dimostrato a modo suo il poetico finale di Shōgun).
Il vento sfugge a qualsiasi controllo. O quasi.
Perché ci sono anche persone che, del vento, hanno la consistenza, la pazienza e la forza. E che, al fragore della tempesta, rispondono con il silenzio della bonaccia. Yoshii Toranaga, il daimyo di Edo, ascolta il vento. Qualcuno direbbe che lo possiede, stretto in pugno, obbediente al suo volere soltanto. Ma Toranaga non ne ha il controllo, non potrebbe. Ne ascolta invece il rumore, ne segue la scia. Aspetta con pazienza, gioca a dadi con il tempo. Si mette in ascolto, analizza i silenzi. E il vento gli restituisce indietro sussurri.
Il sogno di diventare shōgun del Giappone, all’inizio, era appunto solo un sussurro. Flebile, evanescente, aleatorio. Consegnato al vento e a lui soltanto.
Il cuore segreto dei Giapponesi è custodito in profondità inaccessibili all’esterno. Quello di Toranaga è incastrato in cavità ancora più sotterranee. Fa parte del sottosuolo, come una falda millenaria, ricoperto da secoli di sommovimenti tellurici. Sepolto, inviolabile, un mistero per il mondo di sopra. Non è un caso che il Consiglio dei Reggenti, nelle primissime battute di Shōgun, gli si sia rivoltato contro. il signore del Kanto, enigmatico e imperscrutabile, ha sempre rappresentato una minaccia per gli altri quattro detentori del potere. Una minaccia per il loro orgoglio barcollante, per il loro potere a scadenza.
In Shōgun i personaggi non parlano molto, ma Toranaga lo fa ancora meno. È in tutto ciò che non dice che riposano sonnecchianti le sue reali intenzioni. Non c’è stato un solo momento, in tutta la durata della serie, in cui Toranaga abbia manifestato l’intenzione di diventare shōgun del Giappone. Lo abbiamo conosciuto come uno sconfitto, un condannato a morte. Un potente accerchiato dai suoi nemici e messo con le spalle al muro. Ishido ha sfruttato la paura e le insicurezze degli altri Reggenti per colpire al fianco il suo avversario più temibile. Accusato di aver tradito il Paese, di tenere in ostaggio Lady Ochiba, madre dell’Erede, e di manovrare in tutta segretezza per impossessarsi del potere, Toranaga sembrava avere i giorni contati.
Il rapporto di forze era di 1:4, l’esercito di Ishido, supportato dalle truppe degli altri tre Reggenti, avrebbe avuto vittoria facile sul nemico, almeno numericamente.
Abbiamo iniziato a guardare Shōgun su Disney+ attendendo l’epica battaglia finale. Non sapevamo quando avrebbe insanguinato il terreno del Giappone, ma sapevamo che prima o poi sarebbe arrivata. La guerra era inevitabile. Per uscire da una situazione così intricata e complessa, il daimyo di Edo poteva solo scendere in campo contro i suoi accusatori e batterli. È solo questione di tempo, ci dicevamo. Il Cielo cremisi si sarebbe abbattuto sul capo dei Reggenti e avrebbe fatto strage dei nemici. Sembrava essere questo il passo obbligato per inaugurare quell’era di pace e prosperità che è sempre stato il sogno di Toranaga.
Eppure, in ogni episodio di Shōgun, dall’inizio alla fine, il personaggio interpretato magnificamente da Hiroyuki Sanada, non ha fatto che sorprenderci.
Ha ribaltato costantemente le nostre aspettative e ci ha costretto a considerare sempre una via alternativa. Non è facile stare accanto a un uomo di potere così oscuro come Toranaga. I suoi vassalli lo rispettano, ma il più delle volte non lo capiscono. Per la maggior parte del tempo si fidano e, anche quando non hanno la più pallida idea di dove stiano andando, lo seguono. Perché sono queste le regole del gioco e perché sanno che, tra tutti i giocatori in campo, lui è quello più bravo di tutti. Fine stratega, prodigio della guerra, uomo di grande valore, Yoshii Toranaga conosce la battaglia e per questo ha cercato in tutti modi di evitarla.
Nessuno era a conoscenza delle sue reali intenzioni, forse neppure quella Lady Mariko che ha mandato a morire ad Osaka, in nome della Causa. Non ha creduto nelle morti inutili, Toranaga. Ogni vita, ogni sacrificio, è stato un granello in più appoggiato sulla bilancia che avrebbe decretato l’accesso allo shogunato. La pazienza è stata la sua più grande virtù. Il signore del Kanto (raccontato bene nel settimo episodio, quello più oscuro, fosco ed enigmatico) è uno stoico della pazienza, l’espressione più autentica dell’imperturbabilità dell’animo umano difronte alle avversità della vita. La pazienza è un’arma e, proprio come ogni arma, va affilata a dovere per poter penetrare la carne e arrivare dove deve. Yoshii Toranaga è altrettanto aguzzo e tagliente.
Ha affondato la lama con la leggerezza di un ninja, senza lasciare tracce.
Il piano per conquistare Osaka è rimasto custodito nel suo cuore segreto per tutta la durata di Shogun. Ci aspettavamo un assalto intelligente, una strategia di logoramento del nemico. Invece non è successo nulla. Toranaga si è arreso a suo fratello Saeki e ha dato inizio alla marcia per consegnarsi nelle mani di Ishido. Ha convinto i suoi vassalli a sostenerlo nella sconfitta, sacrificando i suoi uomini più fidati e mettendo alla prova quelli della cui fedeltà non era ancora certo. Ha sventolato la bandiera bianca, Toranaga, e ha consegnato al nemico parole di resa. Ma, mentre il Consiglio dei Reggenti era in tumulto, l’unico a rimanere padrone della propria lucidità è stato lui.
Toranaga non ha affrontato il nemico, ha aspettato che fosse lui a compiere un passo falso. Non ha mandato assassini a uccidere Ishido, né ha mobilitato gli eserciti per portargli la guerra dentro casa. Ha atteso con pazienza che fosse lui a scivolare. A Osaka ha spedito Lady Mariko, a fare quello che nessun esercito avrebbe mai potuto fare: creare scompiglio, insinuare il dubbio, gettare il seme della discordia. Per giocare d’astuzia con il tempo e con la vita dei suoi uomini, c’è bisogno di un’intelligenza fuori dal comune. La scaltrezza dello stratega non basta. Le capacità manipolatorie di un uomo carismatico non sono sufficienti.
Ci vuole la costanza dell’imperturbabilità, l’arte di controllare il vento.
Toranaga è stato in grado di farlo. O almeno è quello che hanno creduto gli altri e questo è stato sufficiente. Perché non serve controllare davvero il vento se tutti sono già convinti che tu lo faccia. L’importante è sapere da che parte soffia e che notizie porta. Annusarne le tracce per sapere quali semi gettare. Così, soli contro il mondo, si può assumere il comando e gettare le basi per costruire il Sogno. “La solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno”, disse una volta Jim Morrison, morto qualche anno prima che Shōgun diventasse un meraviglioso romanzo. E sarebbe il caso di strappare questa frase dalla polvere delle citazioni dimenticate e consegnarla alla didascalia del ritratto di Yoshii Toranaga, un uomo che si è mosso da solo e che da solo ha pianificato la sua ascesa al potere.
Shōgun ci ha regalato uno straordinario viaggio in una terra lontana e misteriosa. Ci ha dato le chiavi per accedere a un mondo fatto di rituali antichi, pratiche inumane, cerimoniali incomprensibili. Ci ha consegnato la poesia, ha sciolto l’epica in versi ed è stata in grado di sbalordirci anche senza giocarsi tutto nella battaglia finale. Ma, tra le tante cose splendide che questa serie ha fatto – e qui c’è un’analisi in 7 punti del suo fragoroso successo -, farci dono del mistero di Toranaga è stata una delle migliori. Un mistero che non si esaurisce con la fine della serie e che neppure le pagine del romanzo possono chiarire del tutto. Un arcano che è destinato a rimanere tale, disegnato con le punte affilate dell’ironia e dell’intelligenza. Sempre un passo avanti, sempre intento ad ascoltare il vento e a consegnargli il sogno di un’era di pace.