L’attesa è finalmente giunta al termine. Shrinking torna a regalarci sorrisi e riflessioni con la seconda stagione della serie targata Apple TV+. Non sorprende affatto che questa commedia (o meglio, dramedy) sia così amata e che non abbia tardato nel guadagnarsi il rinnovo: il mix irresistibile di un cast stellare e le menti brillanti che hanno dato vita a questo progetto ne fanno un successo a prescindere.
Dietro le quinte troviamo Bill Lawrence (che ha già affermato che Shrinking dovrebbe comporsi di tre stagioni), il genio creativo dietro titoli cult come Scrubs (che ha molto in comune con Shrinking), Ted Lasso e Cougar Town, solo per citarne alcuni. Al suo fianco, Brett Goldstein (Ted Lasso) e Jason Segel, che molti ricorderanno nei panni di Marshall in How I Met Your Mother. Segel non solo firma la serie, ma ne è anche il co-protagonista, vestendo i panni dello psicologo Jimmy, alle prese con i suoi dilemmi personali e professionali. Accanto a lui, un’icona del cinema: Harrison Ford, che veste i panni del burbero e geniale Dr. Paul.
I primi due episodi della seconda stagione di Shrinking saranno disponibili a partire da domani su Apple TV+, ma noi di Hall of Series abbiamo avuto l’oppotunità di guardare la serie tv in anteprima, oltre che intervistare quasi l’intero cast (trovate le nostre interviste a Jason Segel, Bill Lawrence, Krista Miller e buona parte del resto del cast sui nostri social) e siamo qui per farvi una piccola recensione ovviamente senza spoiler dei primi due episodi. Se, invece, non avete ancora guardato la prima stagione di Shrinking, vi consigliamo vivamente di recuperare.
Il tema centrale della prima stagione è stato il lutto, mentre ora è tempo di fare un passo avanti. Perdonare e perdonarsi diventano la vera chiave di lettura della seconda stagione di Shrinking.
Qual è la linea di confine che segna la distanza tra la professione e l’uomo? Qual è la linea di confine che traccia la differenza tra la razionalità e le emozioni che ci scompigliano l’anima? Perché ogni emozione, in fin dei conti, è sfaccettata e multiforme proprio come la natura umana. Così, la felicità non è solo felice e il dolore non è solo doloroso. Lontani dal dualismo infantile, la crescita, il lutto e le relazioni umane fanno sì che nella felicità si instilli la paura di soffrire di nuovo. Così come nella profondità del dolore, a volte, è possibile trovare una scintilla di gioia ostinata, che ci dà la determinazione di andare avanti, cambiare e migliorare. Proprio come accade a Jimmy in Shrinking.
Lo stesso dinamismo complesso si applica anche alle relazioni interpersonali, rendendole intricate. Ciò accade soprattutto quando i legami assumono il filtro dell’incomunicabilità e dell’orgoglio. In questi casi è ancora più evidente il contrasto tra il desiderio egoistico e l’amore per il prossimo. Eppure spesso siamo noi i primi a non saper distinguere l’uno dall’altro. Questo lo impariamo dalla giovane Alice (Lukita Maxwell) e dal suo rapporto con il padre, ma anche dalla solare e sorridente Gaby (Jessica Williams). Due personaggi che iniziano a prendersi il loro spazio già dai primi episodi di questa entusiasmante seconda stagione di Shrinking.
Leggerezza, introspezione e un invito alla riflessione. Tutto questo è Shrinking 2.
Le penne di Bill Lawrence e Brett Goldstein sono inconfondibili, così come quella di Jason Segel, che si allinea perfettamente anche alle straordinarie capacità attoriali di Harrison Ford. Tuttavia, la grandezza dei protagonisti non va mai ad oscurare gli altri attori. Non c’è traccia di narcisismo in una serie tv che lascia respirare tutti i personaggi, e questo è evidente ancora di più nei primi episodi della seconda stagione di Shrinking. Sin dal principio, è chiara l’intenzione degli autori di puntare su due protagonisti dal carisma indiscusso, ma al contempo di rendere la serie Tv corale, aperta all’esplorazione anche dei personaggi che finora ci sono sembrati più marginali.
Così, questo prisma complesso di emozioni, sentimenti e umanità viene compendiato, riassunto e condensato nei trenta minuti che compongono ogni episodio di Shrinking. Ma l’operazione non appare mai forzata, anche quando il surrealismo sembra prendersi la scena.
Nessuno resta in secondo piano in Shrinking: la complessità viene incanalata attraverso il riso. Per noi spettatori diventa naturale immedesimarci nelle situazioni ed empatizzare con i personaggi, anche quando le esigenze della commedia li portano a essere esagerati, grotteschi e talvolta persino un po’ antipatici. Ci ritroviamo nella voglia di sentirci amati, e nella paura di lasciarci andare all’amore. Un sentimento che, più di ogni altro, ci rende tutti uguali, indipendentemente dall’esperienza, dall’età o dalla professione. Questo perché l’amore ci rende vulnerabili, nudi.
Si tratta di un concetto che Shrinking ha già affrontato nella prima stagione, ma che ora compie un passo ulteriore.
Dal lutto, che incarna in modo diretto la perdita, si passa al processo di innamoramento, una condizione ancora più complessa quando si è già vissuto l’amore e le conseguenze di amare tanto, fino a star male.
Ancora una volta, la complessità dell’essere umano è al centro, filtrata attraverso la leggerezza del formato e una scrittura impeccabile. D’altronde, la commedia moderna ha superato i personaggi statici e le battute fini a sé stesse. Oggi lo spettatore vuole ridere, ma anche riflettere e ritrovarsi in ciò che guarda. Un’esigenza che, in realtà, accomuna gli esseri umani di ogni epoca. Lucrezio sosteneva che la poesia fosse come il miele sul bordo del bicchiere, usato per addolcire l’amarezza della medicina. La medicina, ossia la realtà. Nonostante gli anni che passano, i mezzi di comunicazione che cambiano e le modalità di fare arte che si evolvono, l’uomo resta sempre lo stesso.
L’uomo è lo stesso che agisce d’impulso, per poi rimanere intrappolato per ore nella massa appiccicosa dei suoi pensieri. Lo stesso che cerca di liberarsi dalle proprie catene e si perde nei meandri ovattati di un bicchiere di troppo o di un silenzio ostinato. È un padre che si ritrova solo con sua figlia e non sa cosa fare. Ha paura, ed è paralizzato. Ed è anche uno psicologo che non riesce a frenare né la lingua né i sentimenti. In questi casi, cos’è una linea di demarcazione se non una colata di miele appiccicosa che ci consente di ridere mentre assaporiamo la realtà, amara e inesorabile?