Viviamo in un mondo sempre più frenetico e alla deriva, all’interno di una realtà spesso così assurda da sembrare la sceneggiatura di un film di fantascienza. Una realtà vera e tangibile che viene costantemente messa a confronto con una virtuale e fittizia. È un mondo radicalmente diverso rispetto a quello dei nostri genitori, per non parlare dei nostri nonni e, a ben vedere, il mio sguardo da bimba degli anni Novanta deve apparire già abbastanza antiquato per un figlio della Gen Z. Sono i tempi del “tutto e subito”, della bellezza dentro un filtro Instagram, delle etichette sociali imposte come fossimo prodotti al supermercato. È il regno dell’indecisione, dell’alienazione e del bisogno spasmodico di essere visti, pena una solitudine esistenziale che non conosce ne capo ne coda. Forse, come capita spesso nel corso degli anni, allora la tv e il cinema diventano specchio non solo delle mode ma anche dei bisogni del pubblico. Mentre l’era dei supereroi sembra sempre più imboccare il viale del tramonto, un inaspettato filone ha preso piede nelle serie tv degli ultimi tempi: la terapia.
Nel corso degli ultimi due anni, sono state prodotte ben tre serie che cavalcano l’onda della psicoterapia e della salute mentale. Quest’ultima diventata, finalmente, un argomento di discussione seria e approfondita e non più un tabù inconcepibile degna di una caccia alle streghe. La tv, quindi, ancora una volta, come era già stato durante il periodo dei vampiri e delle fiabe, si fa portavoce delle necessità contingenti. In un mondo stressato come quello in cui viviamo, il tempo della fantasia sembra, sempre più, aver lasciato spazio a problematiche decisamente più pratiche e vicine a noi.
The Patient, The Shrink Next Door e Shrinking sono tre portavoce di questi bisogni nonché tre diversi aspetti entro cui la terapia viene affrontata e raccontata.
Tre diversi psicoterapeuti, tre approcci completamente diversi tra loro come, d’altronde, sono tre diversi generi quelli utilizzati per raccontare la terapia. Se The Patient utilizza il thriller, Shrinking opta invece per la comedy mentre al centro tra questi due opposti troviamo l’humor nerissimo del biopic romanzato di The Shrink Next Door. Tre diverse modalità di fare terapia, nel bene e nel male, con le loro ripercussioni decisive sulle vite dei pazienti e non solo. Il risultato non è sempre dei migliori è se, per esempio, The Shrink Next Door può essere considerata davvero una delle migliori miniserie degli ultimi anni, il caso di The Patient è alquanto dimenticabile.
Nonostante la presenza di due attori talentuosi e poliedrici, The Patient è una storia inconcludente, raccontata nell’arco di otto episodi per lo più ripetitivi e inutili. La terapia, qui, acquista una connotazione quasi surreale dal momento che è lo stesso serial killer a chiedere di essere curato, a cercare insomma una cura per il male che lo affligge e che lo porta a compiere atti indicibili. Una premessa estremamente affascinante, acuita dalla decisione di Sam (Domhnall Gleeson) di rapire il proprio terapeuta e rinchiuderlo nella cantinetta di casa. Il dr. Alan Strauss (Steve Carrell) dal canto suo sta vivendo una lotta interiore, scisso tra le sue responsabilità professionali e la paura personale per la propria incolumità. Perché Sam non vuole veramente guarire o, quantomeno, non sembra voler accettare i metodi del suo dottore. La compulsione di Sam non conosce tregua, figlio di quest’epoca da “tutto e subito” di cui parlavamo prima. La terapia ha bisogno di tempo, costanza e volontà, elementi totalmente assenti nella figura capricciosa di questo psicopatico che vorrebbe guarire immediatamente. In quella claustrofobica cantina, le cui pareti si fanno ogni minuto più strette, il tempo sembra distorcersi, trascinando noi e il dottor Strauss in un incubo a occhi aperti da cui non c’è via di scampo.
Questa è l’inevitabile conclusione alla quale arriva, forse troppo tardi, Alan. La terapia non potrà attecchire nell’animo di Sam perché non ci sono appigli per guarire. Non del tutto almeno. Venuto a patti con le sue colpe di padre e terapista, Alan compie un ultimo gesto disperato conscio delle conseguenze. Ma il sacrificio di Strauss, che incarna il popolo ebraico e si immola per morire alle proprie condizioni, non riesce a toccarci come avrebbe dovuto. Troppi passi falsi rallentano la spirale discendente del rapporto morboso e antietico tra Sam e Allan.
Tutt’altra faccenda per quanto riguarda le tribolazioni del protagonista di The Shrink Next Door. Se The Patient è una caccia del gatto con il topo priva, però, di qualsiasi mordente, la serie targata Apple TV+ riesce tenerci costantemente sulle spine e in balia dei giochetti mentali del dottor Isaac Herschkopf (Paul Rudd). Stavolta i ruoli si invertono ed è il povero Martin Markowitz (Will Ferrell) a subire gli abusi psicologici di colui che, teoricamente, dovrebbe invece aiutarlo a guarire. Incatenata nella stretta del dottor Ike, la volontà di Martin soccombe pian piano, seduta dopo seduta, annullandosi nei desideri e nei ricatti morali del suo terapeuta. Isolato dagli amici, dai colleghi e persino dalla sua famiglia, Martin è il topolino di questa storia ma di fronte a lui non troviamo un gatto piuttosto una serpe velenosissima. La serie tv mostra con crudissima ironia cosa significhi affidarsi allo psicoterapeuta sbagliato. La terapia è potere e nelle mani inadatte può condizionare molto negativamente la vita di una persona.
Così Martin Markowitz inizia delle sessioni di terapia per migliorare sé stesso e uscire da alcuni pattern mentali che stanno limitando la sua vita. Il dottor Ike, però, non è affatto una brava persona e, conscio della fragilità mentale del suo paziente oltre che del suo benessere economico, decide di approfittarne per trarne vantaggi personali. Incapace di riconoscere l’abuso, Martin si ritrova all’interno di una relazione tossica in cui ogni confine terapista-paziente viene vergognosamente superato. Dalla trappola di Ike, Martin riuscirà a liberarsi con enorme fatica e solo dopo moltissimi anni. In questa storia che sembra un po’ lo specchio di quella raccontata in The Patient, il terapeuta si fa carnefice e la prigione, stavolta, è silenziosa e invisibile ma non per questo meno terrificante.
Ultima ma non per importanza ecco a voi Shrinking, altra serie tv targata Apple TV+ che vira, però, in direzione della comedy pura. Sulla scia di prodotti come Scrubs e Ted Lasso (d’altronde il creatore è lo stesso) anche Shrinking analizza le paure e le speranze dell’animo umano all’interno di un contesto lavorativo ben preciso. Il nostro protagonista, Jimmy Laird (Jason Segel) ha perso la moglie un anno prima. Da quel momento si è chiuso in sé stesso tagliando fuori qualsiasi tipo di rapporto con amici e parenti, trascurando persino i suoi doveri di terapeuta. In questo amareggiato rifiuto, però, Jimmy ha fatto degli sbagli, escludendo da proprio dolore la figlia adolescente Alice che si è, come prevedibile, allontanata da lui. Risvegliatosi da una sorta di letargo dei sensi, Jimmy decide di ridare un valore alla propria vita, ricucendo il rapporto con la figlia e con i vicini di casa ma soprattutto dando il massimo nell’aiutare gli altri. Nei modi anticonvenzionali e in quell’impulso autodistruttivo troviamo le tracce di un personaggio completamente alla deriva. Un terapeuta che ha bisogno lui stesso di fare terapia ed è qui che entra in gioco Paul (Harrison Ford), mentore e guida di Jimmy in questo viaggio di trasformazione e rinascita.
Il protagonista, quindi, non solo è messaggero della terapia e del suo potenziale ma è lui stesso a riceverne i benefici. Sempre più rimpicciolito, come lascia intendere il titolo di Shrinking, Jimmy si preclude la possibilità di un nuovo inizio, lasciandosi completamente prosciugare dal lutto. Proprio in questa serie tv, dunque, la terapia diventa lo strumento essenziale della guarigione, la presenza liberatoria e genuina che sa tenerci per mano e accompagnarci senza mai spingerci verso l’una o l’altra direzione. Shrinking è una comedy pura, semplice e vera che, seppur con un umorismo sagace e irriverente, è stata in grado di affrontare argomenti molto delicati. Il dolore, molto spesso, ci impedisce di aprire determinate porte anche se abbiamo tutte le chiavi, come se semplicemente non fossimo in grado di vedere la serratura. Al buio, la terapia rappresenta la luce guida che ci permette di inserire la chiave nella toppa giusta.