Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Silo.
Il mondo è una landa desolata, apparentemente. Una mesta radura domina gli ambienti conosciuti nel silenzio. Un silenzio tombale, mentre il lezzo della morte si disperde nell’aria irrespirabile. Sono passati anni, chissà quanti. Quel che rimane dei più audaci è un monito ai pochi sopravvissuti. Oltre il confine, c’è la soglia che scinde un frammento di speranza dalla certezza della fine. Oltre il cancello dell’ultima casa, il cimitero dell’umanità. Ma è davvero così? Dove si va, dalla Caverna di Platone? L’unico destino è la sentenza estrema? Oppure c’è qualcos’altro? Una verità non detta, un’ombra distorta da chissà chi? Quanto è vasto, davvero, il mondo nel quale la vita è ancora possibile? Il silo, quel maledetto silo, è la sola fonte di rinascita?
Ormai lo sappiamo: niente è come sembra, quando si parla di Silo. E quando lo è, interviene sempre una mano invisibile, pronta a scrivere e riscrivere le narrazioni per ristabilire i paradigmi e asservirli alla volontà di un sistema misterioso.
La storia non esiste più: è un vago ricordo tra le righe confuse di un racconto frammentato, tramandato ai posteri con la spregiudicata assertività di un algoritmo votato alla conservazione. Non la scienza, non il progresso: la fede è la sola via per la salvezza collettiva. Una fede laica, più proiettata sulla speranza che su un bene superiore. Il Patto, la loro Bibbia. Una Costituzione sì, ma non solo: la linea di demarcazione tra l’illusione, la disillusione e l’ignoto.
Al centro, un’eroina sui generis: donna di fede, nell’umanità. E di scienza, finché dove possano arrivare i confini della sua conoscenza. In alto, un’oligarchia che a un certo punto si renderà conto di aver barattato il libero arbitrio con una farsa. In fondo alle scale, il popolo. Trascinato dalle onde, da una parte all’altra. In attesa di un messia, e di un miracolo che possa restituire al mondo la luce. Affranto, ma combattivo.
Si conceda, allora, una licenza poetica allo scenario inquieto di Silo. Quel particolare racconto nel quale la bellezza esiste, ma bisogna scovarla con cura. Una di quelle storie che parlano soprattutto di noi e del nostro mondo, arrivando da lontano: come si evidenzia nella recensione senza spoiler, d’altronde, la fantascienza è la chiave ideale per riportarci alla nostra realtà attraverso una soluzione distopica, non per questo meno realistica.
La recensione che segue si ripropone di rendere omaggio a una delle migliori serie tv degli ultimi anni.
Uno dei fiori all’occhio di Apple Tv+, nonché una delle massime espressioni televisive della fantascienza contemporanea. Prima di procedere, diamo un’occhiata alla trama: se siete qui e non nell’articolo parallelo, è molto probabile che abbiate visto la serie, ma è sempre bene fare il punto della situazione.
La trama di Silo
Credits: Apple Tv+
La serie, disponibile su Apple Tv+, è ambientata in futuro imprecisato, distante centinaia d’anni rispetto alla nostra realtà, nel quale una comunità di 10.000 sopravvive come può all’interno di un silo sotterraneo, una mastodontica costruzione sviluppata su 144 piani. Secondo le fragili informazioni a disposizione, infatti, il mondo esterno sarebbe ormai invivibile. Informazioni parziali, dettati da un’esperienza incerta: i pochi fuoriusciti dalla struttura, visibili dall’interno attraverso una camera esterna, sarebbero morti pochi minuti dopo aver abbandonato il silo. C’è chi ha scelto volontariamente di andarsene, e chi invece è stato espulso: le uniche due costanti sono le presunti morti e la richiesta a ognuno di pulire il vetro esterno una volta usciti. Richiesta assecondata, in gran parte dei casi.
Una lunghissima scala attraversa l’intera struttura e rappresenta, metaforicamente, la rigida organizzazione sociale del popolo di sopravvissuti.
Al vertice ci sono i personaggi con più potere all’interno della comunità, guidati dal cosiddetto “sindaco”. In fondo, le personalità più umili, altrettanto importanti per garantire il corretto funzionamento della struttura. La vita è regolata essenzialmente da un testo tramandato dagli avi, il Patto, e da un inflessibile codice regolamentare. Tutto si regge su un presupposto chiave: “Non sappiamo perché siamo qui, non sappiamo chi ha costruito il Silo, non sappiamo perché tutto fuori dal Silo è come è. Non sappiamo quando sarà sicuro uscire. Sappiamo solo che quel giorno non è oggi”.
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