Dieci episodi per arrivare là fuori. Dieci episodi per vedere con i nostri occhi quel mondo che potevamo vedere solo attraverso un vetro appannato, e chissà quanto realistico. Dieci episodi per cominciare a toccare con mano una verità misteriosa, nascosta tra numerosi livelli, almeno tanti quanti quelli presenti nel Silo stesso. Poi, finalmente, abbiamo cominciato a vedere. Tramite gli occhi di Juliette Nichols, una che non si è mai arresa a un’esistenza predeterminata e costretta a sottostare al manipolatorio controllo di chi guarda tutti dall’alto, spiando tutti di nascosto e giocando a fare Dio nel claustrofobico microcosmo di una città sotterranea dalla quale uscire non è strettamente vietato, ma sembra essere strettamente letale. Con Juliette, là fuori, ci siamo arrivati anche noi. Ma appena ci siamo arrivati, appena abbiamo messo piede in quel mondo misterioso che è la distopica eredità del nostro, appena abbiamo avuto la possibilità di volgere il nostro sguardo oltre quella collinetta della morte dove tutti prima di Juliette erano stramazzati al suolo, si è fermata ogni cosa. Boom, fine, arrivederci alla seconda stagione. E siamo certi che l’abbiate pensato tutti: no, non può finire adesso.
Di fatto, quello di Silo è già uno dei cliffhanger di fine stagione meglio scritti nella storia della serialità televisiva. E conferma quanto Apple Tv+ stia lavorando in una direzione precisa che è quella della qualità sopra ogni cosa: poche, ma buone. Come la primissima HBO, che quando si parla di serie tv di qualità è sempre e comunque il riferimento. Tecnicamente, quindi, non possiamo che rimanere estasiati da questo season finale. Da spettatori affamati e ormai abituati alla visione compulsiva di una stagione dietro l’altra, invece, siamo rimasti di sasso, con l’acquolina in bocca, quasi arrabbiati all’idea di non poter continuare la visione. Come se la serie ci avesse fatto un dispetto a lasciarci così, proprio sul più bello. Ma è giusto così, perchè Silo ha creato i presupposti per un prodotto di lunga durata: basata su una trilogia di libri di fantascienza post-apocalittici firmata Hugh Howey, col quarto in fase di stesura, il margine per una narrazione televisiva che si candida per dominare – assieme ad altri prodotti, come ad esempio From – i prossimi anni ci sono tutti. A patto che non si commetta l’errore di altre produzioni (un errore che, appunto, From non ha commesso ed è uno dei motivi per cui sta salendo sempre più nella considerazione di pubblico e critica): quello di metterci troppo tra una stagione e l’altra, specie quando le due stagioni in questione sono la prima e la seconda.
Se i tempi tecnici verranno rispettati, ci sarà da divertirsi. Perchè Silo è prima di tutto una serie immersiva, e ci siamo sentiti veramente lì dentro. A metà tra il rassicurante e il deprimente, il Silo è la metafora di una zona di comfort che si fa via via sempre più scomoda, ma che per paura non riusciamo ad abbandonare. E la paura in questo senso è più che giustificata, visto che là fuori sembra esserci la morte.
Non tutti però ci credono. Non tutti si arrendono a questo destino certo, per certi versi sicuro, ma allo stesso tempo ben poco motivante a lungo termine. Juliette Nichols non si è mai arresa. E prima di lei Allison, Holston e il suo amato George Wilkins. E prima ancora sua madre, e tante altre persone. Tutti morti. Ma questo non ha fermato Juliette, il cui unico obiettivo di vita ormai era diventato quello di uscire da quell’infinito tunnel esteso per vari chilometri di profondità, anche per dare un senso ai sacrifici di chi ci aveva provato prima di lei.
Una volta uscita si è trovata davanti a una realtà a metà: l’aria del mondo là fuori sembra davvero tossica come le era stato raccontato, ma delle forme di vita probabilmente ci sono eccome. Rinchiuse in altri Silo, però. Almeno 18, anche se se dando un’occhiata alla desolante e intrigante visione del finale di stagione, potrebbero essere una quarantina. Solo in quella zona. Una scoperta che piuttosto che ridurre le domande nella sua e nella nostra testa, le amplifica. Scoprire la verità che i gestori del Silo non vogliono rivelare è davvero pericoloso per gli abitanti del Silo, ed è veramente per una forma di tutela nei confronti dei residenti il fatto che molte cose vengano tenute sotto chiave? Oppure la forma di dittatura mascherata presente Silo di nostra conoscenza non esiste negli altri Silo, e la possibilità che qualcuno possa scoprire l’esistenza di altre comunità mette in pericolo la solidità del piano di controllo della popolazione? E ancora: la porta nascosta nell’estrema profondità del Silo è quella che rende tutti i Silo comunicanti?
I misteri sono tanti, e siamo certi che dietro le varie porte che non abbiamo ancora esplorato ce ne siano ancora. Durante la prima stagione Silo si è presa il suo spazio per farsi capire, dandoci la possibilità di immergerci in un contesto complesso grazie a un inizio col piede pigiato sull’acceleratore seguito da un ritmo mediamente veloce ma mai frettoloso nelle successive puntate, per poi accelerare di prepotenza in quelle conclusive. Una costruzione della trama tipica dei prodotti che hanno fiducia nei propri mezzi, e che non puntano a dimostrare tutto e subito per paura che il pubblico scappi. Come succedeva un tempo, come non è successo più negli ultimi anni che sono stati il cuore pulsante dell’era streaming\binge watching forsennato, come ci auguriamo torni a succedere sempre più spesso. Dobbiamo tornare a gustarci le serie tv come se fossero dei piatti prelibati, e non come se fossero junk food da buttare giù una dopo l’altra senza capire nemmeno cosa stiamo mangiando. Solo così, quel “No, non può finire adesso” di cui parlavamo all’inizio tornerà a essere quel che dovrebbe essere: non la pretesa quasi infantile di voler consumare prima possibile tutto il consumabile ma una semplice affermazione istintiva dettata dall’eccitazione del momento, seguita dalla paziente, consapevole ed esaltante attesa del prossimo capitolo da assaporare.