Quando mi chiedono di spiegare in poche parole di cosa parla Six Feet Under non so mai cosa dire. Non è una di quelle serie di cui puoi facilmente spiegare la trama, questo perchè non c’è una trama vera e propria, e dire che Six Feet Under parla della famiglia Fisher e della loro azienda di onoranze funebri è fin troppo riduttivo.
Six Feet Under non ci racconta di supereroi, supercattivi o di strabilianti avventure. Six Feet Under parla della vita e della quotidianità. Un prodotto straordinario che tratta l’ordinario.
Siamo tutti parte della famiglia Fisher, con le sue particolarità, le piccole gioie e i grandi timori. Perché è la morte a dare senso alla vita, a instillare il dolore e il terribile senso di impotenza che ne deriva. Eppure talvolta è la morte stessa ad avvicinare le persone e ricordare l’importanza della vita. Proprio come accade nella prima puntata della serie con la morte di Nathaniel Sanuel Fisher Sr., personaggio che impareremo a conoscere solo tramite le proiezioni mentali degli altri membri della famiglia.
Our love is six feet under
I can’t help but wonder
If our grave was watered by the rain
Would roses bloom?
Could roses bloom
Again?Il nostro amore è sei piedi sotto terra
Non posso fare altro che chiedermi
Se la pioggia bagnasse la nostra tomba
Fiorirebbero le rose?
Fiorirebbero le rose
di nuovo?
Canta Billie Eilish nella sua personale Six Feet Under. Cosa succede dopo la morte? Fioriranno ancora le rose quando i nostri corpi giaceranno nel loro cumulo di terra? Continuerà la vita?
Nel corso delle cinque stagioni della serie capolavoro di Alan Ball impariamo a fare i conti con la morte, ma impariamo anche che la morte è solo l’inizio. Oltre la morte c’è la vita. Una vita che trascende l’aspetto meramente spirituale e si abbassa a fare i conti con il terreno. Al di là tutto la vita continua.
Perché per affrontare la morte, gestirla e farne tesoro, la cosa più importante è provare a imparare a vivere, nonostante non si impari mai davvero a farlo. Ma non possiamo permettere che il lutto ci sovrasti, le persone che vanno via in qualche modo lasciano sempre una traccia e la loro vita si aggrappa a queste tracce. Si aggrappa ai ricordi che lasciamo nelle persone che amiamo, si aggrappa ai figli, agli amori o all’arte.
Attraverso il filtro ovattato della morte comprendiamo quanto conti la vita, in una serie in cui nessun personaggio è perfetto, così come nessuna storia d’amore sembra romanzata o tratta da un libro di fiabe. L’amore è complesso proprio come la vita, eppure vale la pena viverlo.
L’arte rispecchia lo spettatore, non la vita.
Scriveva Oscar Wilde nella sua Prefazione a Il Ritratto di Dorian Gray. E l’arte di Six Feet Under si esplica proprio in questo. È come uno specchio in cui vediamo riflessi i nostri timori, le persone che abbiamo perso e quelle che abbiamo una paura matta di perdere.
Ball disegna con crudezza un capolavoro di realismo e ci rende, in maniera indissolubile, parte di quella famiglia così ordinaria ma, a suo modo, così speciale.
Perché in fondo siamo tutti un po’ come David che nasconde le sue paure dietro una maschera di perbenismo e presunzione. Siamo Ruth e il suo timore della solitudine travestito con i tratti fiabeschi delle sue maniere. Siamo Nate e la sua fobia di legarsi stabilmente a qualcuno. Siamo Brenda con la paura di affrontare se stessa e piacersi una volta per tutte. Siamo Claire e il suo terrore di affrontare il futuro e di crescere, lasciando crescere i suoi sogni con lei.
Ma Six Feet Under ci insegna che, proprio come Claire, non possiamo vivere con le nostre paure o moriremo con loro.
E anche se non esiste nessun “e vissero felici e contenti” come nelle fiabe, anche se spesso ci perderemo, ci distruggeremo con le nostre mani e continueremo a dare la colpa a qualcun altro, anche in quel caso ci rialzeremo e continueremo a vivere. Perché ogni giorno è un regalo e ogni giorno dobbiamo alzarci dal letto e affrontare quello che la vita ci propone, farlo nostro e prendere la nostra strada con la stessa decisione di Claire. Poco importa se oltre l’orizzonte ci aspetta il bilico dell’incertezza, almeno vivremo.