Graffi nelle pareti. Forse, se pensassimo a un gesto che riuscisse a esprimere il sentimento dell’esasperazione, quello che verrebbe fuori sarebbe questo: dei graffi nella parete dati per scaricare, per fare uscire fuori tutta quella opprimente rete di sensazioni che ti stanno pian piano uccidendo. Allora graffi. Sfoghi. La tua rabbia, prima depositata dentro al tuo stomaco, inizia un percorso che raggiunge le tue unghie per poi depositarsi nella parete in cui sfreghi con irrazionalità tutto quello che avevi dentro. Non starai meglio dopo, ma sarai più libera. Questo è probabilmente ciò che succede ai personaggi di Skins, questo è probabilmente quello che succede a tutti noi. Il potente rumore della rabbia è uno degli elementi più forti che lega noi, la nostra realtà, al mondo di Skins, un mondo in cui tutti cercano di sopravvivere nonostante i dolori, le sofferenze, le indelicatezze che collezionano giorno dopo giorno. Graffiano delle pareti così grandi, loro che sono così piccoli.
In qualsiasi parte del mondo alla voce Skins si accompagna la descrizione di teen drama, una descrizione – certo – reale, ma troppo approssimativa per un prodotto così esasperante. Non sono solo degli adolescenti che collezionano fallimenti romantici o difficoltà nei rapporti come nella maggior parte delle serie che fanno parte di questo genere. Skins li costringe a venire a patti con se stessi, a crescere senza mai crescere davvero, Gli impone di cadere sulla corda che loro stessi hanno scelto per saltare. Gli impone di non rialzarsi da terra, ma di guardarsi mentre sono annientati sul pavimento. Non gli chiede di tornare a galla dopo essere annegati. Li fa stare lì senza promettergli che a un certo punto impareranno dai loro errori. Ecco qual è la base su cui Skins cammina, ed ecco qual è la realtà che condividiamo con loro: dagli errori, purtroppo, a volte non si impara. Si perde e basta, fine dei giochi.
Sarebbe tutto molto più semplice se bastassero degli errori per imparare qualcosa, se fossero loro gli eroi che ci vengono a salvare. Almeno avrebbero un senso, riuscirebbero a piacerci anche una volta commessi, anche quando ci ritroviamo in una strada senza ritorno. Skins questa favola ce la distrugge, e ne costruisce una totalmente nuova che non ci idealizza ma che anzi, ci fa vedere esattamente come davvero siamo: un po’ meno di quello che crediamo.
I personaggi di Skins sono tutti uguali, l’unica nota differente tra loro sono i drammi: ognuno ha il proprio diverso nemico, ma uguale è il loro sentimento. Sono tutti arrabbiati, folli, a un passo da quel dirupo che promette solo una lunga caduta verso il nulla, un devastante salto nel vuoto che forse, una parte dentro di te, voleva anche fare.
Gli errori che fanno, i drammi che si auto creano o quelli che gli cadono dal cielo, non sono un modo per far sì che loro crescano e capiscano. Sono delle tappe esistenziali a cui nessuno può sottrarsi che, contrariamente a quello che pensiamo, non hanno sempre un epilogo dignitoso. Gli errori sono errori, lo schifo di essere noi stessi è lo schifo di essere noi stessi, e la crescita, la maturità per non cadere più nelle stesse trappole non sempre è disponibile per venire a raccoglierci da terra. Questa è un’idea decisamente troppo ottimista per loro che, invece, sono così pessimisti e privi di prospettive future. Non puoi rassicurarli dicendogli che domani andrà meglio perché per loro il domani non esiste. La loro vita è in quel momento, e non gli importa cosa accadrà nell’ora successiva perché potrebbero anche non esserci più. Si sentono come dei pendolari in questo flusso infinito di vita, vanno e vengono, non stanziano da nessuna parte. Vogliono essere ciò che già sono, e dopo tutto questo tanti saluti.
I personaggi di Skins continuano a essere come noi in altri aspetti, uno dei peggiori – purtroppo per loro, e purtroppo per noi – è che le loro lacrime, anche se provocati da altri individui, sono sempre indirizzate a loro stessi. Ecco qual è una delle verità più logoranti dell’esistenza che questa serie racconta: nonostante le batoste che ci danno gli altri, è sempre e solo per noi stessi che soffriamo. Empatizziamo con noi stessi, ci distacchiamo dal nostro corpo guardandoci dall’altra parte, e proviamo tenerezza, sofferenza. Ci vediamo distrutti, e ci dispiace perché avremmo potuto evitarlo. Ci vediamo calpestati, divisi in tanti piccoli pezzi, scaraventati al muro. Non ci ricordiamo neanche chi sia stato a ridurci così perché non è lui l’oggetto della nostra disperazione, ma noi. Noi che non siamo stati capaci neanche stavolta di salvarci, di volerci bene. Tutto questo i personaggi di Skins non lo sanno fare ed è per questo che sono perennemente arrabbiati con loro stessi: avrebbero avuto bisogno di aiuto, e non se lo sono dati. Si sono traditi da soli, e adesso devono pagarne le conseguenze.
È la loro la mano che sta stringendo la presa nel loro polso, è il loro il più grande tradimento che si sono fatti, è il loro riflesso il vero volto del loro più temibile nemico. Per questo, a parte rarissime eccezioni, non esistono dei cattivi in Skins. Perché lo sono tutti. Ed è per questo che non esistono buoni. Perché lo sono tutti.
Sdraiati per terra, dopo una corsa infinita verso il nulla e un pianto liberatorio, graffiano le pareti con tutto il risentimento che hanno in corpo espellendo quanto possibile ogni parte di umanità che li riduca a sentirsi così vulnerabili.
E così, mentre si guardano esasperarsi, una parte di loro si alza in piedi per osservarsi graffiare le pareti. Dandosi la colpa di tutto questo, poi afferma: ma guarda come mi sono ridotta.