Sempre siano lodate le serie tv leggere. Sia ben chiaro, sono una fan sfegatata di grandi serie conosciute non proprio per il loro essere guardabili a cuor leggero in pausa caffè – vedi per esempio Game of Thrones -, ma ogni tanto capita di voler staccare e di mettersi alla ricerca di contenuti capaci di donare quei 30 minuti di tranquillità, senza pesantezze di sorta. E quindi sempre sia lodata anche la mia amica che, consapevole di questo mio bisogno, mi ha proposto: “Ma perché non cominci Smiley? Secondo me potrebbe piacerti”. Darle retta è stata una decisione molto saggia per due motivi. Il primo è che, come credo si sia già capito, sono riuscita a trovare in questa serie spagnola uscita alla fine dell’anno scorso e disponibile su Netflix tutta la leggerezza che cercavo. Il secondo è che questa sua caratteristica non le ha impedito di regalarmi comunque spunti di riflessione interessanti, soprattutto per il periodo storico di perenne confusione nel quale mi ritrovo a vivere.
Il fatto che una serie tv sia spensierata non significa che non possa stimolare riflessioni, e questo Smiley lo sa bene e lo dimostra
Ambientata in una Barcellona piena di luci e tradizioni natalizie, Smiley riesce nella non semplice impresa di parlare d’amore (cosa che sì, è vero, non è proprio la novità del momento) in modo diverso dal solito. Le vicende della serie ruotano attorno ad Álex, barista trentaduenne appassionato di fitness con una vita sociale molto attiva, e Bruno, architetto cinefilo molto interessante ma altrettanto insicuro. Insieme a loro ci sono colleghi che sono in realtà veri e propri pezzi di famiglia, ognuno con i suoi problemi e le sue piccole e grandi tragedie emotive, e in alcuni casi anche parti di una famiglia biologica dal passato non sempre semplice. L’incontro tra Álex e Bruno avviene per pura casualità – un errore nella composizione di un numero di telefono – ma trascina con sé tutta una serie di conseguenze il più delle volte inaspettate. Tra i due si instaura subito una forte chimica, un’intesa che si manifesterà (come prevedibile) prima di tutto a letto ma che farà molta fatica a realizzarsi una volta usciti da sotto le lenzuola. Questo a causa di due fattori ugualmente importanti e concatenati: l’insicurezza e l’orgoglio.
Álex vuole trovare il vero amore e soffre per il fatto che il suo aspetto fisico e il suo modo di porsi portino i ragazzi con cui si relaziona a volere da lui nient’altro che sesso; contemporaneamente, però, continua a buttarsi in storie che si vede lontano un miglio che non lo porteranno da nessuna parte, non riuscendo a trovare il coraggio di uscire da un loop che non gli piace ma che in qualche modo rappresenta anche una sicurezza, una carta già conosciuta che non gli impone spaventosi salti nel vuoto. Bruno invece fa fatica a trovare ragazzi interessati a lui, non perché non sia un uomo affascinante e pieno di spunti, ma semplicemente perché è il primo a non credere nelle sue stesse potenzialità. E nel momento in cui incontra Álex, alla sua insicurezza si affianca anche l’incapacità di ammettere che un ragazzo come lui, con una vita così diversa dalla sua e che sotto sotto un po’ invidia, possa interessargli.
Questo amore che sembra non essere mai pronto a sbocciare resta lì a lungo, quasi in attesa che arrivi qualcuno a dargli quel po’ di acqua che gli serve per cominciare a crescere rigoglioso. E attorno a lui ci sono tanti altri amori: germogli di relazioni nuove, piante un tempo verdi e piene di vita che sembrano ormai appassite ma si cerca di salvare in ogni modo possibile, semi piantati in un passato ormai lontano e che non sono mai riusciti a spuntare fuori.
Ma la vera domanda qui è: perché?
Partiamo da un presupposto: non tutte le storie d’amore possono andare bene e, più in generale, non tutte possono andare e basta. Ciò che Smiley però con la sua schietta leggerezza ci ricorda, è che le relazioni sono tutte diverse ma troppo spesso si spezzano (o non partono) per un motivo comune. Ti è mai capitato di stare davanti al telefono con una chat aperta continuando a fissarla senza fare nulla perché non sapevi se scrivere o meno? Ti è mai capitato di avere davanti una persona alla quale volevi dire solo Resta e invece hai detto Vai? O magari non hai detto proprio niente? Ad Álex è capitato, ed è capitato anche a Bruno, a Vero, a Rosa. E a me.
Ci facciamo tante domande, ci fasciamo la testa prima di cadere, passiamo talmente tanto tempo a pensare a come potrebbe andare da dimenticare di farla andare davvero. E poi ne soffriamo, magari ci diciamo che non era destino, che non era scritto, che Questo matrimonio non s’aveva da fare, rivisitando il buon Manzoni. Quello che però evitiamo di dirci è che a volte sono solo le nostre paure a non farci spostare di un millimetro dal posto in cui siamo, non un qualche disegno più grande che ci ha dipinti tristi e soli. Il fatto è che, a conti fatti, spesso andiamo solo dove abbiamo il coraggio di andare.
Eppure basta trovarlo, questo coraggio.
Basta far scattare quella molla che ci permette di mettere un piede davanti all’altro, e spesso non è difficile come sembra. A volte non servono grandi parole, gesti estremi, cambiamenti radicali per farci andare avanti e farci prendere in mano le redini delle nostre vite e delle nostre relazioni. Dove porteranno non possiamo saperlo, ma è importante avere il coraggio di iniziare. E spesso sono le scelte più semplici, i passi più piccoli quelli che fanno cominciare i percorsi più belli. Facile a dirsi ma meno a farsi, mi dirai. E invece no, facile può esserlo davvero. Un po’ come inviare un’emoji, o magari disegnare uno smiley su uno specchio appannato.