Il 25 giugno è approdata sul catalogo Amazon Prime Solos, una nuova serie tv creata da David Weiss. Il nuovo show dell’ideatore di Hunters mescola le tematiche tipiche degli episodi di Black Mirror con una narrazione lenta e di stampo nettamente teatrale. Ognuno dei sette episodi dello show si concentra su un personaggio specifico, chiamato a reggere da solo la scena attraverso monologhi introspettivi e strazianti sul senso della vita. Una serie tv che si fa forza sui grandi interpreti coinvolti nel progetto ma che tentenna di fronte a delle storie decisamente troppo deboli per le aspettative. Solos riesce a raggiungere solo marginalmente il proprio scopo, il che è un vero peccato perché siamo di fronte a un prodotto ambizioso che avrebbe potuto davvero fare la differenza all’interno di un panorama seriale ormai saturo.
Prima, però, di capire quale sia stato il punto debole di Solos, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulla trama della serie e sulle piccole vittorie ottenute.
A metà tra dramma shakesperiano e sci-fi, Solos affronta in ogni episodio una riflessione sul futuro e su cosa significhi essere umani in una società in cui l’empatia è ormai considerata una virtù superata.
Nel primo episodio vediamo protagonista Anne Hathaway nei panni di Leah, una giovane donna e scienziata decisa a mettersi in contatto con la sé del futuro ma a che scopo? Se in un primo momento le intenzioni di Leah possono sembrare delle più nobili, scopriamo ben presto che in realtà non è così. Il secondo episodio riguarda un dialogo tra il personaggio di Anthony Mackie e un suo clone, il cui compito è quello di prendere le veci del primo. Il terzo episodio ci porta nello spazio, qui una impeccabile Helen Mirren ci tiene incollati allo schermo con una performance superba e d’impatto. Nel quarto episodio, Uzo Aduba deve fare i conti con un’ intelligenza artificiale che vuole costringerla ad ogni costo a lasciare la propria casa. L’episodio successivo vede protagonista Constance Wu che, vestita da angelo, inizia a raccontare alcuni aneddoti sulla sua vita mentre si trova in una strana sala d’attesa. Con il sesto episodio assistiamo a un parto molto particolare e a una madre che non sa bene come gestirlo. Infine, il settimo episodio riprende le fila di tutto ciò che è stato affrontato prima e lo fa con due attori di primo ordine come Dan Stevens e Morgan Freeman.
Le sette storie raccontate sono intrecciate tra di loro ma, differentemente da Black Mirror, non è la trama in sé e per sé a costituire il filo rosso quanto una comunanza di intenti e sentimenti. Il cuore di Solos è rappresentato narrativamente dai monologhi riguardanti i protagonisti principali che danno voce alle paure e angosce più profonde dell’uomo moderno: la solitudine, la malattia, la diffidenza nei riguardi del diverso. Il disperato tentativo di Leah di mettersi in contatto con la sé del futuro è la vana speranza di poter sfuggire al proprio presente e “saltare le tappe” per non dover assistere alla lenta morte della madre. Nella maternità di Nera, troviamo, metaforizzata, l’enorme inadeguatezza che molte donne provano oggi di fronte alle aspettative sociali ma anche la paura per il diverso e l’estraneo da noi.
Tra le storie più d’impatto ci sono, senza dubbio, quella di Peg e quella di Sasha.
Nella prima, siamo all’interno di una navicella spaziale priva una destinazione precisa. Al suo interno troviamo Peg, una donna ormai avanti con l’età che ha deciso di imbarcarsi in questo viaggio senza possibilità di ritorno. La storia di Peg e le scelte che l’hanno portata ad accettare quell’ “adventure ahead” ci vengono narrate attraverso la voce e, soprattutto, la straordinaria espressività di Helen Mirren. Il racconto che ascoltiamo per mezz’ora è quello di una donna che non ha mai voluto “dar fastidio” a nessuno e per questo motivo non ha mai colto l’opportunità di essere felice, anche quando le si parava davanti. Consapevole di aver sprecato la propria vita nel timore, Peg vorrebbe tornare indietro per avere una seconda possibilità ma ormai è troppo tardi. Un monito molto chiaro su come la vita sia un viaggio di sola andata e ogni occasione non colta è un’occasione sprecata.
A proposito di scelte sbagliate, anche l’episodio dedicato a Sasha si focalizza molto sull’idea di essere prigionieri delle proprie paure. Sasha vive da venti anni all’interno di una casa super avanzata e intelligente, creata appositamente per farle compagnia e proteggerla da un virus che sa tanto di Covid-19. Il problema è che, nonostante ciò che le dica l’intelligenza artificiale, Sasha non ha alcuna intenzione di lasciare la propria casa ormai completamente vittima della propria paranoia. Incapace di tornare nel mondo di fuori, Sasha rimane bloccata per sempre tra quelle quattro mura ideali ma prive di quella componente umana indispensabile. La casa della protagonista è la metafora ideale di ciò che accade quando ci dimentichiamo di vivere, perché la paura prende il sopravvento.
Risulta abbastanza evidente come le puntate di Solos offrano davvero molti spunti di riflessione, attraverso una narrazione che mette da parte l’elemento propriamente fantascientifico per dedicarsi di più a considerazioni di tipo filosofico. L’ambizione dello show non riesce, tuttavia, a essere soddisfatta sia a causa di una mancanza di tempo che rende il tutto troppo frettoloso, sia per una sceneggiatura a volte fin troppo ricercata che non riceve il sostegno necessario dalla regia. l temi di Solos si presterebbero, infatti, molto di più a un contesto teatrale che al medium televisivo dove la staticità della telecamera si fa sentire. Un vero peccato dato che le premesse per qualcosa di grande c’erano tutte ma nel caso di Solos è proprio vero il detto “perdersi in un bicchier d’acqua”.