Ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 7×13 di Sons of Anarchy.
Ora so chi eri e so cosa hai fatto…
La morte come mezzo, non come epilogo, in una shakesperiana concezione che mette la cupa mietitrice a metà tra carnefice e salvatrice. Il finale di Sons of Anarchy è l’inedito tributo alla più grande e oscura minaccia che ogni essere umano teme in ogni suo gesto, quasi un invito ad abbracciarla, a crogiolarsi e redimersi in essa.
Jax Teller è giunto al capolinea non di un viaggio, bensì di un eterno conflitto tenutosi all’interno della sua anima dilaniata.
Anima dilaniata, ma da cosa?
Forse dal peso di un nome o di un ruolo impostogli da un legame di sangue; forse dall’influenza terribile di un destino avverso; forse dalla sfortuna o dalla sua miopia, ma più probabilmente dal non aver capito appieno chi fosse realmente suo padre.
Consapevolezza appresa pienamente solo negli ultimi istanti della sua vita, dopo aver pagato pegno per un’esistenza caratterizzata da una scellerata sequela di tentativi fallaci di cambiare la malata convinzione di essere quel che si è, semplicemente. Ma la realtà è ben diversa per Jax Teller: il principe poi diventato re dei SAMCRO è una vittima. Una vittima di se stesso e del suo retaggio.
Il peso della sconfitta interiore di Jax altro non può che portarlo sulle stesse strade solcate dal suo defunto padre, profeta quest’ultimo di una terribile profezia poi avveratasi. Una visione oscura che ha spinto un uomo, un padre, un leader, a porre fine alla sua vita, ad abbracciare il Mayhem, pur di tagliare i ponti con un destino avverso che ora torna, assetato di sangue, a esigere il suo ultimo tributo.
L’ultimo volo di Jackson nella 7×13 di Sons of Anarchy è l’accettazione totale del prezzo da pagare per non aver mai capito il verso significato della fuga disperata e mortale di John Teller.
Il moderno principe Amleto scritto da Kurt Sutter mette in scena una rappresaglia finale violenta e impetuosa che pone fine praticamente a quasi mezzo secolo di terrore e ingiustizia. I SAMCRO nascono nella violenza e prosperano in essa fino al punto in cui quasi ne diventano dipendenti e succubi. Un circolo vizioso e sanguinoso che ha portato il club di motociclisti a diventare una malattia peggiore di quella che volevano curare. Il proliferare di questa indole subdola si è spinto talmente in là da convincere chi volesse scappare che l’unica alleata fosse proprio la morte.
La cupa mietitrice impressa sulla pelle e nell’anima di Jackson Teller lo guida nella sua ultima giornata facendogli rivivere i traumi e le gioie di una vita, costringendolo poi a stringere un patto: la sua anima e quella dei suoi nemici in cambio di quella delle persone che ama più di qualsiasi altra cosa. Il biondo motociclista si tramuta così nell’angelo della morte, nello sceriffo del caos.
L’abbraccio ai figli, la confessione a Nero, il passaggio del testimone a Chibs, il saluto finale ai suoi fratelli, all’amore di una vita e al suo migliore amico, sono per Jax l’atto finale di una vita passata a scappare da qualcosa che non avrebbe mai dovuto affrontare, un epilogo già scritto che qualcuno ha provato a impedire donando la sua vita, senza riuscirci. Tutto ciò che si è susseguito nei recenti anni ha portato a questo esatto momento, un bivio in cui si stagliano due possibilità: vivere senza chiudere il cerchio o morire e mettere definitivamente la parola fine al regno del terrore a Charming. Jax sceglie di diventare il martire finale di questa storia e di sobbarcarsi il macigno del peccato di tutti quanti.
“Alla fine di questa giornata i cattivi perdono”
I cattivi perdono, muoiono, cadono uno a uno per mano di Jax e quando la giornata volta verso la sua fine ne resta soltanto uno. Il momento di Jax è giunto ma non c’è più nessuno a premere il grilletto. Resta solo una strada da percorrere, un’ultima marcia. L’asfalto rovente, le luci della polizia, il vento tra i capelli, il sorriso beffardo e paradossale di un angelo dalle ali di cera che stanno per squagliarsi nella strada verso il paradiso. I corvi banchettano, oscuri controllori del volere della loro padrona, in attesa che il sangue bagni il loro pasto. Il palcoscenico è pronto, l’oscura drammaturga incappucciata ha pianificato ogni dettaglio per la sua opera più terribile. Il protagonista di questa tragedia sta per recitare l’atto finale.
Il sangue, la morte, il silenzio assumono però tratti ambivalenti in quello che è uno straniante e brutale lieto fine.
Jax non c’è più ma insieme a lui non ci sono più né dolore, né sofferenza. Jax non c’è più ma Abel, Thomas e i Sons of Anarchy ci saranno per sempre, grazie a lui.
Questo finale non è un finale, è un nuovo inizio. La fine di una vita, l’inizio di altre.
L’amore è un sentimento bellissimo ma misterioso, oscuro e talvolta brutale. Ce lo insegna Shakespeare nelle sue opere immortali, tra le sue sinuose e metaforiche citazioni… ce lo insegna Kurt Sutter col sangue sull’asfalto, coi nomi sulle lapidi e con un anello nella manina di un bambino.
Doubt thou the stars are fire,
Doubt that the sun doth move,
Doubt truth to be a liar,
But never doubt I love.
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