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La quarta stagione di Sons of Anarchy e l’eterno ritorno alle origini

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Come se l’esistenza fosse il senso rotatorio di un orologio, il passaggio da passato a presente, così Sons of Anarchy spiega il flusso alternato tra l’essere e il non essere.
Questo binomio, il conviviale eroico e celebrativo del regno di motociclisti che soprassiede Charming, è nient’altro che il repentino salto ideologico di Jax Teller tra due realtà, e più precisamente tra due linee temporali.
E’ per questa ragione che la quarta stagione di Sons of Anarchy siede al capotavola, martelletto alla mano, con ai suoi lati le tre stagioni precedenti: qui il conflitto interiore di Jax è più vivo e coerentemente oleato nei meccanismi di trama e nell’influenza sulle sottotrame, senza lasciare troppo spago alle lunghe passeggiate nei meandri dei filoni secondari.

Riscrivere una storia può richiedere la pagina nuova, ancora bianca, di un quaderno da riempire. Questo a patto che i precedenti possano essere dimenticati, e non è sicuramente questo il caso.
Con la quarta stagione di Sons of Anarchy, Sutter ha dovuto riscrivere un inizio, tenendo conto dell’assordante rombo di motori provocato da precedenti che non sono esenti da conseguenze (come il tribolato rapporto con i russi lasciato in sospeso); così, quel nuovo inizio è stato riscritto sullo stesso foglio sporco che rappresenta il passato, quello macchiato dalle cicatrici delle cancellature.
Le stesse macchie che, nell’inizio di questa quarta stagione, vengono mostrate sul corpo di Jax Teller.

sons of anarchy

Il nuovo inizio viene appunto scandito con l’eloquenza di una banale figura, di un corpo muto: quello di Jax.
Parallelamente a quanto accade all’inizio della prima stagione (di cui potete trovare la recensione qui), quando per la prima volta ci viene mostrato il principe dei Sons, la cui bionda chioma fluente e lo scalpellato volto rappresentavano il resoconto di un percorso di vita lungo quanto i suoi capelli e quasi troppo facile, immacolato, come il suo viso.
Jax Teller, in tutti i suoi aspetti, rappresenta l’emblema del cambiamento in Sons of Anarchy.
È per questo che le vicende del redivivo club vengono anticipate, in questo nuovo inizio, dal corpo di Jax, il quale è la mappa dell’intera stagione: i capelli, stavolta rasati, sono il prodromo di una strada da ripercorrere da zero, e le cicatrici appena sotto il petto sono l’appunto di una vendetta.
Il pilot è avvincente e completo come non lo erano mai stati i tre precedenti, e il senso di nostalgia alla vista di una Charming centrifugata dai lucrosi scopi del nuovo sindaco Hale, accompagna l’adrenalinica e libidinosa soddisfazione della vendetta, che non tarda ad arrivare.
La ricostruzione dei presupposti necessari al prosieguo, infatti, si sviluppa quasi interamente nel primo, polposo e preparativo episodio, il cui finale è l’incisione della vendetta di Jax, la “tripla sottolineatura” di un errore da correggere: il legame con i russi.

Il ritmo è frenetico dal primo all’ultimo episodio, e i nuovi innesti risultano nel complesso convincenti: il legnoso e bizzarro ermetismo di Potter (il cui aspetto caricaturale è forse l’unico tassello lievemente meno convincente), il tronfio onore a favore dell’uguaglianza razziale dello sceriffo “dalla schiena drittaRoosevelt, per finire con la sempreverde immagine arcigna di Danny Trejo nelle vesti di Romeo Parada.
Non solo le nuove entrate sono una rivoluzione, ma gli stessi pionieri e portatori della trama acquisiscono un aspetto nuovo, frutto di una metamorfosi avvenuta di pari passo con quella del contenitore grazie al quale prendevano forma: l’abusata Charming.
L’esempio meglio espresso è Unser, la cui saggia sofferenza interiore è trasformata in costretto arrivismo da un cancro che sembra essere lo stesso che ha calcato la cittadina.

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Il tema dell’eterno ritorno nietzschiano alle origini, dominante nella quarta stagione, è per i Samcro al tempo stesso trofeo nello sperato esito di resettare lo stato precedente di Charming, e gogna per le insenature create dai dubbi di Jax sull’idea (ormai irrecuperabilmente troppo diversa da quella originale) del club.
C’è un equilibrio molto delicato tra trauma e concentrazione, ed è per questa ragione che Jax riesce a trovare il barlume di razionalità utile a prendere una delle sole due opzioni possibili per il bene della sua famiglia: quella di lasciare il club.
La sola alternativa consiste nel sedere sul trono, e ricondurre il club verso l’idea originale, ma si tratta di un’utopia resa sempre meno visibile dalla sabbia bruciata per le brusche derapate di un presidente in fase decadente.
Tutti gli elementi sono collegati per lasciar pensare al più classico “inizio della fine“: l’artrite di Clay è il timer che Sutter ha impiantato nel personaggio e che ne determina la durata in gioco, ma questo non segna necessariamente una fine definitiva; a farlo, invece, sono la scelta di Jax di lasciare il club una volta curato l’affare col Cartello e, parallelamente, le macchinazioni velate del procuratore Potter, che da buon deus ex prepara una risoluzione del caso con l’arresto dei Sons of Anarchy ormai certo.
I termini vengono, però, totalmente ribaltati nell’ultimo episodio della stagione.
Il rinnovo della serie in corso d’opera potrebbe aver inciso su un cambio di rotta che, per quanto leggermente privo di coraggio, risulta ugualmente soddisfacente grazie ai suggestivi sbocchi aperti alle stagioni successive; così come è facile a risultare anche coerente: indizi come la fiducia della R-IRA limitata a Clay e quindi l’impossibilità di Jax di abbandonare il club, o il fatto che con Tara fosse stato rischiato un rapimento, e non un omicidio a sangue freddo (la CIA non avrebbe ucciso una donna su commissione), da parte del “sicario” pagato da Clay, giustificano il già preconfezionato ribaltamento finale che vede il Cartello essere un subordinato della CIA, giocando molto agonisticamente col concetto di negabilità plausibile.

La metamorfosi dei personaggi colpisce anche Clay, il cui ruolo da “necessariamente scorretto” sfocia nell’irragionevole mancanza di autocontrollo: dall’aggressione a Gemma, all’omicidio di Piney, passando appunto per il tentato assassinio indiretto di Tara.

La paura spinge Clay nella frenesia, e la frenesia nell’errore.

Con l’omicidio di Piney, ultima voce fedele dei First 9, il granitico presidente segna la demarcazione definitiva, il fronte di guerra che pone a specchio due testamenti: quello di John e dei First 9, e quello di Clay.
Tutto è repentino, critico ed unilaterale nella quarta stagione di Sons of Anarchy, compreso il capovolgimento emotivo di Juice (dal gaudente e spensierato, al tormentato e quasi suicida), o le dinamiche di rottura definitiva tra Jax e Clay, che se nella seconda stagione è avvenuta con la gradualità di una crepa, in questo caso sembra palesarsi come la rottura di un materiale ormai cristallizzato e non più resistente alla flessione, con una semplice accusa mal esposta a Jax: “Quella stro*za ti sta cambiando”, in riferimento a Tara.

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Il finale di stagione viene quasi raccontato, più che mostrato, dal subliminale sermone di Potter utile a spiegare a Roosevelt che i cattivi hanno semplicemente vinto, ma questo non vuol dire che i buoni non possano costruirsi la loro vittoria altrove.
È ciò che di fatto Potter farà, premiando il suo babelico lavoro contro la corruzione e l’opportunismo svelando il compromesso piano finanziario di Hale per la costruzione di Charming Heights.
Ciò che Sutter ci costringe a fare a più linee, come avvenuto anche col season finale di terza stagione, è avere fiducia nel fatto che in qualche modo, seppur improbabile, chi paga col dolore vedrà la propria vittoria cadergli addosso come pioggia su terra arsa.

Charming ha davvero scelto i suoi abitanti, ed ha deciso di trattenere Jax con tutta la forza che le profananti pale scavatrici di Hale le avevano lasciato.
Ora che anche Jax è pronto a riscuotere la sua rivalsa, può tornare a vestirsi di anima e corpo dei quali si era privato a sacrificio del club, e riallacciare al dito gli anelli prestati alla tomba del suo vecchio.
Dopo aver compreso la differenza tra l’essere debole ed essere combattuto, chiede scusa a suo padre, e ne prende orgogliosamente forma e posizione nella sovrapposizione di immagini raffiguranti il ritorno alle origini.

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Jax Teller diventa la diapositiva di John Teller, l’immagine iconografica che dimostra che il sangue non si piega al tempo, ma si arricchisce dei suoi insegnamenti, da padre a figlio.
Seguendo la più basica legge dell’anarchia, John Teller ha dovuto lasciar andare suo figlio, perché questo rimanesse per sempre con lui.
Condannandolo alla libertà, vera matriarca dei Sons of Anarchy.