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La settima stagione di Sons of Anarchy è il trauma dell’anima

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È contraddittorio perdere il controllo della strada quando hai finalmente preso il controllo di te stesso.
L’arco del giorno che diventa miniatura di un ciclo vitale, come il giorno di conclusione di un’enorme fiera del dramma nel quale Jax rimette tutto a posto dopo aver venduto tutto ciò che aveva, trova il suo traguardo nella simbolica fine del giorno: quella fine che solo una stagione fa ha causato vittime innocenti e la scomparsa di un’ancora motivazionale per Jax Teller, in questa stagione ha l’obbligo di diventare il momento che sancisce la “sconfitta dei cattivi”.
“Entro la fine del giorno, i cattivi perderanno”, ed è per questo che Jax deve perdere il controllo della strada, dopo aver invece preso controllo di sé stesso.

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La settima stagione, epilogo di Sons of Anarchy, è costruita sulla netta dicotomia di cuore e mente, anima e corpo, e su questi due paradigmi interpretativi viene riversato un concetto che è espressione indiretta dell’alleviamento del dolore: la regressione.
Con la chiusura della sesta stagione, il calpestato e maltrattato tormento di Jax trova il punto di gratificazione nella sola vendetta, un culmine non superabile al quale l’”erede del dubbio” può sfuggire solo, appunto, con la regressione intesa come meccanismo di difesa psicologico.
È quello che accade da subito: il trauma per la perdita di un amore che, per certi versi, è sempre rimasto platonico, lasciato a sedimentare e costantemente in attesa di una risoluzione definitiva, richiede il meccanismo di autodifesa inconscio di chi crede di non meritare cura, ma che ciclicamente continua a curarsi per arrivare pronto al momento della catarsi.
Così il meccanismo di regressione è utile a enucleare il trauma, ad attribuirgli un contesto nonostante questo sia poco attecchito, e a ritenere immediatamente credibile l’estemporaneo canovaccio messo in piedi da Gemma per spiegare la morte di Tara: la presunta ritorsione dei cinesi.

La lucidità di Jax rotola su un pendio sdrucciolo, inconsapevole di verità oltre la normalità, sballottata in una spirale di violenza che si incolpa e si giustifica al tempo stesso, alimentandosi da sola.
È per questa ragione che l’impostura di Gemma (la quale diventa, a due tempi, esegeta e spettatrice inerme di una narrazione ingannatrice nel racconto di Sons of Anarchy) trova campo fertile nella “facile” voglia di appiglio di Jax: la regressione, quel sistema di autodifesa che costringe a riportarsi in uno stato che ricordi quello precedente al trauma, offre a Jax la possibilità di tornare a quando stare tutti sul “chi vive” non comportava guardarsi le spalle da un fratello, a quando non doveva chiedere ai suoi più di quanto uno stemma richiedesse, e i problemi della sua famiglia non erano la sua stessa famiglia.
La storia dei cinesi improvvisata da Gemma fa acqua da tutte le parti, è fumo negli occhi che non può essere una coltre tanto impediente per l’intuito di suo figlio, eppure funziona perché riporta Jax ai tempi dell’identificazione di un “rivale rassicurante”, e più precisamente alle antiche e proverbiali faide con i Mayans, e questo genera una regressione. Jax finisce col crederci per necessità.

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La spirale di violenza però comporta degli errori e, tra questi, quello che condanna Jax sopra ogni altro sopruso è il fraticidio, l’esecuzione di Jury che è risultato della dimenticanza del fondamentale mantra del “Brains before bullets”.
Da questo consegue la più significativa presa di coscienza della propria condizione nell’ormai prassico “scambio di posizioni” nel gioco di Kurt Sutter, che a questo giro di corsa vede Jax Teller assumere la posizione definitiva, e pertanto nefasta, di Clay Morrow: il fraticidio consacra definitivamente il passaggio di testimone del tradimento da Clay e Jax.
Ad affiancare quest’ultimo non mancano altri significativi “scambi di ruolo” nella settima stagione di Sons of Anarchy, quei reflussi già apprezzati nelle stagioni precedenti che sono simbolismo di un equilibrio karmico.
Tra questi, significativo è quello di Unser che si alterna alla figura eternamente assente del Thanatos greco, o mietitore, quell’entità che, ormai promessa alla morte, sembra reggere il fianco di chi è prossimo a quest’ultima (da stretto confidente di Clay prima della sua morte, a stretto confidente di Juice, e infine eterno compagno di vita – e morte – di Gemma, tutte anime promesse alla morte); o ancora quello di Lyla come figura sostitutiva di Luann (nel campo della produzione pornografica), entrambe donne autonome rese maggiormente tali dalla perdita del proprio uomo (nel caso specifico di Luann, con la reclusione di Big 8).
La femminilità in Sons of Anarchy è, per Sutter, un concetto letterario ampiamente reso, che espone come una sorta di “daimon socratico” che è guida e al tempo stesso caduca corruzione, e la sua mitologia lo racconta e perfeziona al meglio con quest’ultima stagione: la “malvagità donna” è un’ideologia che nasce sin dalla prima stagione con Gemma, portato avanti con figure come l’agente Stahl e che si rifinisce con delicata raffinatezza con la predisposizione alla corruzione del nuovo sceriffo Althea, che si contrappone alla stoica fermezza di ideali dello sceriffo Roosevelt.
Donna e uomo in generale come complementarietà, anche in questa stagione conclusiva, vengono gestiti da Sutter come funzionanti mediante una condizione necessaria al quieto vivere, ossia una sorta di principio della non condivisione.
Nella necessità di non poter svendere la verità come forma di protezione, Chibs e Altea, così come Gemma e Nero, seguono un copione già scritto precedentemente da Jax e Tara.

I sentimenti in calce di John Teller erano riflessione e rassegnazione, in antitesi al tormento che aveva motivato ogni scelta in vita, e questo è un percorso che viene evidenziato, seppur per ragioni motivanti diverse, anche da Opie e Jax: nella settima stagione Jax è al tavolo costantemente assorto e assente, quasi fantasma, e vive il dramma per la perdita di Tara esattamente come Opie vive il dramma per la perdita di Donna, ossia trascurando visibilmente Abel (il quale finisce per vivere la destabilizzazione psicologica che Tara ha sempre previsto e cercato di evitare) per soddisfare la brama di vendetta, come Opie con i suoi figli (e come John Teller con sua moglie, dopo la perdita di Thomas); tutti e tre i percorsi trovano un solo canale di sfocio per esfoliare il dolore.
“Ci penso io. Lo farò io.”Jax Teller
“Ora so quello che devo fare.”Opie Winston
“La vera libertà richiede sacrificio.”John Teller

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Come se la perdita di ogni speranza fosse la parafrasi della libertà, l’intero dramma di Sons of Anarchy ci spiega anche quale sia il percorso per la creazione di un villain perfetto, e lo fa progressivamente con l’inversa proporzionalità che esiste, appunto, tra speranza e punto debole.
Si parte da Zobelle, la cui debolezza è stata Polly, sua figlia; si prosegue con la Real Ira e il suo consigliere Kellan Ashby, legato all’idea del fantasma di John Teller, uno dei suoi legami più solidi; la debolezza a lungo termine di Pope è stata la perdita di sua figlia; il medesimo discorso vale per Lee, legato alla perdita di sua sorella.
Fino ad arrivare a Marks, che privo di qualunque legame affettivo è l’interfaccia della fase finale per la realizzazione di una figura che non ha nulla da perdere.

Come palliativo del dolore dovuto al trauma, la regressione di Jax si palesa nuovamente nel penultimo episodio, quando è lo stesso spettatore a percepire il richiamo al passato, allo stato pre-trauma.
Jax cede alla tentazione di Winsome (la prostituta salvata dallo sfruttamento di Greensleeves) in un atto che neanche per un attimo appare ignobile, perché da subito recepito come rimando al ricordo di Tara.
La somiglianza della donna con la sua amata, il disperato e convulso movimento delle braccia di Jax per tenerla stretta a sé e il suo pianto smorzato sono la dimostrazione dell’ennesimo gesto svolto come meccanismo di auto-difesa; come meccanismo, appunto, di regressione ai momenti di vita vissuti con Tara.
Perfino Gemma, nel crollo psicologico finale, cede a questo processo irreversibile: torna da suo padre nella speranza di provare il conforto di un disinteressato perdono, e infine si riconfigura bambina prima sfogliando e commentando le foto di famiglia con commovente vacuità e apparente ingenuità, poi annusando per l’ultima volta il profumo di quel cespuglio di rose – non più – bianche che amava da piccola, come a poter tornare al punto di partenza e sovrascrivere il resto con la morte.

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Come se la fratellanza fosse ormai invecchiata in botti di rovere, Jax compie uno degli atti più nobili portato avanti in maniera quiescente e che consiste nel superamento dei preconcetti razziali nel club dei Sons of Anarchy.
Ma c’è un’inversione che non ha ancora compiuto, la regressione che non è utile solo a sé come meccanismo di autodifesa, ed è quella del corpo.
La regressione finale è il ritorno allo stato che contemporaneamente precede e succede l’esistenza, il sacrificio inteso come libertà, predicato e attuato da suo padre prima di lui.
Il sacrificio di John è un’imposizione, l’uso della morte come deterrente che tiene lontani dalla vita che ha scelto, la decisione di diventare l’esempio da non seguire.
Ma per Jax è troppo tardi – “Gemma aveva dei piani” – e il cattivo esempio diventa il solo esempio da poter seguire per offrire una nuova possibilità a chi dopo di lui; decide di imporre ai suoi figli l’odio verso il loro padre, capendo con la sua esperienza che le azioni migliori sono state quelle dettate dal diniego e dall’odio verso suo padre, e che quelle peggiori sono state il frutto dell’immedesimazione e l’amore mal gestito verso John Teller e i suoi ideali, l’incapacità di capire che se il cuore dice “ora” la mente deve necessariamente suggerire “dopo”.
Jax può quindi dubitare del fatto che la verità sia menzognera, ma non potrà certamente dubitare del fatto che ogni scelta, le decisioni di amici e nemici e perfino quelle di Gemma, fossero motivate dall’amore, il più grande fardello dell’uomo (come il riferimento shakespeariano nell’ultimo frame ci suggerisce).
L’epitome di Sons of Anarchy è esattamente questa: la fenomenologia degli amori contrastanti.

Eppure, il dubbio aleggia anche dopo il sacrificio: la sequenza finale mostra Abel che coccola e rigira il suo anello tra le dita, come inquietante possibilità che alla propria natura non si potrà mai sfuggire, e che liberare l’anima dal dominio e dalla proprietà del corpo significa rendere il corpo stesso il trauma dell’anima, e accettare la morte.

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È quello che Jax si concede come ultimo momento di pace, in quell’inseguimento simile a un corteo funebre che celebra il simbolo che è stato per Charming, sotto la “linea retta tracciata dal corvo” come indizio di rotta; una linea retta che però Jax non può più ricalcare, e dalla quale è costretto a deviare accelerando per l’ultima volta, con i muscoli distesi e vibranti per il vento; vibranti come l’eco dell’esistenza di un Teller.
Perché se è vero che è contraddittorio perdere il controllo della strada quando si ha finalmente il controllo di sé stessi, ancor più incoerente è ignorare la propria strada quando questa si rivela sarcasticamente a te: quando l’est che si credeva di aver perso collide con l’ovest, che resta solo un rallentato e doloroso ricordo lasciato alle spalle.

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