Quanto è difficile trovare il proprio posto nel mondo? Riuscire ad arrivare in quella rara e preziosa posizione nella quale ci sentiamo davvero noi stessi è un’impresa a dir poco unica, una di quelle dai tentativi numerosi e dalle soluzioni limitate. Questo Ryan Hayes lo sa bene, ma ancora meglio lo sa Ryan O’Connell, colui che non solo ha dato vita al personaggio ma ha anche ispirato con la sua stessa esistenza le vicende che il primo Ryan si ritrova ad affrontare nel mondo non troppo immaginario della serie Netflix Special. Un prodotto quasi sconosciuto ma che, ve lo assicuro, ha davvero tanto da raccontare.
Dicevo, trovare il proprio posto nel mondo è parecchio difficile, un percorso che ognuno intraprende a modo suo e che spesso e volentieri sembra non finire mai. E che, effettivamente, non sempre giunge esattamente dove pensavamo di arrivare. Un percorso nel quale, però, le serie tv possono venire in nostro soccorso. La magia della serialità sta infatti anche nel fatto che ciò che ci mostra può non essere solo un semplice momento di intrattenimento, ma la possibilità di darci nuove prospettive e nuove possibilità. Si sa, ci sono serie che raccontando le storie dei loro personaggi parlano anche un po’ di noi. Special di questo è un esempio lampante, una serie che – pur essendo comedy – comporta una continua riflessione su ciò che di noi potremmo migliorare e su chi siamo davvero. E, ovviamente, su dove vogliamo andare.
La definizione di noi stessi
Capire chi siamo e cosa vogliamo è un obiettivo non proprio semplicissimo. All’inizio della serie Netflix Ryan vede ben poco di se stesso. È un ragazzo con la paralisi cerebrale, omosessuale, che vuole cercare di emanciparsi da sua madre cominciando a lavorare nella redazione di un famoso blog. Così come il protagonista, anche Karen ha di sé una visione estremamente ridotta: è prima di tutto la madre di Ryan, poi una figlia sempre pronta a soddisfare i bisogni della sua, di madre. Del suo essere donna, delle sue necessità, di ciò che lei davvero vuole sa poco o niente. O, forse, accetta poco o niente. Ma non possono essere questi pochi tratti, queste poche peculiarità a definire chi loro sono e chi noi siamo davvero. Sia Karen che Ryan – con Ryan Hayes e Ryan O’Connell che confondono e fondono le proprie strade in una sola – sono molto di più. Noi siamo molto di più.
Gli spettatori se ne accorgono prima dei personaggi stessi. Ryan è un ragazzo il cui passato si ripercuote prepotentemente nel presente. La paralisi cerebrale non solo gli ha reso più difficile il processo di crescita ma gli ha lasciato cicatrici visibili e invisibili, insicurezze che si ripresentano nelle sue relazioni, nel suo rapporto con il proprio corpo e con i corpi altrui, nella sua voglia di essere non più solo figlio ma anche uomo. Dal canto suo invece Karen è una donna che ha bisogno di essere amata, di sentirsi desiderata come non le succede da anni, di dedicarsi alle sue passioni e non soltanto alle persone che ha attorno. Persone che in parte dipendono da lei anche perché lei stessa fa fatica a lasciarle andare. Karen e Ryan restano a lungo nella loro comfort zone perché, si sa, ciò che si conosce fa meno paura.
Ma prima o poi le cose cambiano sempre.
Per volontà o per costrizione che sia, il mondo non resta sempre uguale a se stesso ed entrambi i personaggi cominciano a vedere davvero se stessi e a sentire il bisogno di un cambiamento radicale nelle loro vite. È questo il momento in cui il percorso ha inizio: una strada tortuosa, piena di dossi e di fossi, di curve a gomito prese alla velocità della luce e di schianti evitati per un pelo. Karen comincia una relazione, mette a fuoco le sue passioni e inizia a concepire se stessa come una donna e non come un’infermiera. Ryan va a vivere da solo, perde la verginità e a ventotto anni comincia quella che a tutti gli effetti è la sua vita adulta, anche grazie alla complicità della sua amica Kim. E anche Kim, a sua volta, accetta pian piano di avere delle fragilità, prende coscienza dei propri problemi e delle insicurezze che tanto ci tiene a nascondere, mostrandosi non più come la donna che vorrebbe essere ma come la donna che è.
La serie Netflix Special è il racconto di un viaggio difficile
I percorsi che Ryan, Karen e Kim compiono sono tutt’altro che semplici e rendono la serie comedy di Ryan O’Connell uno specchio dei percorsi vissuti da molti di noi. La voglia di definire se stessi e di sentirsi bene si scontra in più di un’occasione con i sentimenti di chi li circonda, il loro cambiamento si ripercuote sulle relazioni che portano avanti andando a volte a fortificarle, altre volte a ridefinirle, in alcuni casi anche a interromperle. Accettarsi e accettare di voler cambiare percorso e prospettiva, mettendo sul piatto anche tutto il loro intorno, avvicina Ryan, Karen e Kim al loro posto nel mondo, alla posizione che sentono essere quella giusta per loro.
Il loro posto nel mondo è non solo diverso da quello che occupavano all’inizio, ma addirittura inimmaginabile nella prima puntata di Special. Ci arrivano piano, con timore, facendosi anche un po’ male, ma ci arrivano. E Ryan, Karen e Kim – in una comedy che non è una comedy – ci ricordano che possiamo arrivarci anche noi cominciando il nostro personale e unico percorso. Ci incontriamo, ci scontriamo, facciamo un passo avanti e tre indietro, per poi farne ancora qualcuno avanti. Ci guardiamo allo specchio e ogni volta vediamo il riflesso di una persona diversa, di individui che siamo noi ma allo stesso tempo ci sono sconosciuti. Ci muoviamo a volte a passo sicuro, altre volte a occhi chiusi, a tentoni, per cercare di raggiungere un posto diverso, un posto in cui possiamo essere davvero noi. Il nostro posto. Ma qualunque esso sia, a a prescindere da quanto complicato possa risultare il percorso per arrivarci, ne vale sempre la pena.