Il seguente articolo contiene SPOILER sulle prime cinque puntate di Squid Game: La sfida.
E’ disponibile su Netflix la prima parte di Squid Game: La sfida, una versione reality della celebre serie tv coreana che verso la fine del 2021 aveva lasciato il mondo a bocca aperta, ottenendo dei risultati da record in pochissimo tempo e creando un vero e proprio fenomeno culturale dalla portata internazionale. La risposta alla fama esorbitante della prima stagione di Squid Game è stata, dunque, una versione realistica della serie: un reality con 456 concorrenti provenienti da tutto il mondo (sì, c’è anche un italiano) pronti a sfidarsi nelle celebri sfide che avevano caratterizzato la serie tv; chiaramente la morte non è contemplata come penitenza successiva alle eliminazioni, ma la posta in palio è davvero alta, circa quattro milioni e mezzo di dollari, e i concorrenti sono messi a dura prova, tra alleanze, faide e stratagemmi: soltanto uno di loro, alla fine, si porterà a casa la somma totale. Su Netflix, da mercoledì 22 novembre, sono disponibili le prime cinque puntate del reality, che proseguirà con altre due parti il 29 novembre e il 6 dicembre. Dobbiamo ammettere che siamo rimasti piacevolmente colpiti dai primi episodi di Squid Game: La sfida, e in attesa di entrare nel vivo della competizione, ecco la nostra recensione.
In attesa, soprattutto, della seconda stagione di Squid Game, la versione reality della serie è un esperimento tv davvero impressionante: per forza di cose si deve rinunciare alla tragedia, in favore di un altro tipo di narrazione drammatica molto interessante.
Tante cose sono rimaste immutate rispetto alla serie originale: stesso numero di concorrenti, stesse location e stesse sfide, ma anche le iconiche divise verdi e, soprattutto, una tensione palpabile gestita in modo esemplare. Siamo sicuri che il budget a disposizione di Netflix per la realizzazione del programma sia stato enorme, incalcolabile, forse appena sotto quello utilizzato per la serie, e il risultato è di sicuro importante: innanzitutto, si tratta di un prodotto distribuito su scala internazionale che va a coinvolgere concorrenti provenienti da tutto il mondo, seppur per la maggiore dagli Stati Uniti, oltre che personalità e caratteri completamente diversi; infatti, uno degli elementi fondamentali per la riuscita di Squid Game: La sfida, è stato sicuramente il lavoro svolto in fase di casting: molti dei concorrenti hanno storie particolari, di redenzione e di ambizione, e l’introduzione dei canonici confessionali permette a tutti loro di parlare davanti alle telecamere per cercare di ritagliarsi un posto nel cuore degli spettatori; la vera cattiveria in tutto ciò è rappresentata proprio dal fatto che il pubblico non fa in tempo a empatizzare con un personaggio che, a sorpresa, lo ritrova eliminato nella sfida successiva. Questo tipo di architettura è un ottimo modo per sopperire all’assenza dell’elemento di maggior interesse di Squid Game: la morte. I protagonisti del reality targato Netflix hanno ognuno la propria storia, le proprie motivazioni per arrivare fino in fondo e il proprio carattere: gli autori hanno svolto un lavoro davvero importante al fine di individuare i giusti componenti del puzzle, basandosi principalmente su eventuali contrasti ideologici e generazionali, in modo tale da contrastare l’assenza della paura della morte.
Da un punto di vista strutturale, Squid Game: La sfida ha seguito le orme della serie originale: a partire dalla costruzione finzionale dei protagonisti che salgono sulle auto per essere accompagnati al campo da gioco, passando per la sistemazione nel dormitorio fino ad arrivare alle sfide quotidiane; tutto è rimasto invariato, o quasi. Già, perché era giusto aspettarsi che ci fosse qualche variazione nei giochi proposti, o quanto meno nelle modalità di selezione per parteciparvi: tutti i partecipanti, infatti, conoscono a memoria la serie tv e molti di loro si sono preparati ad hoc per affrontare prove come il tiro alla fune, il gioco dei biscotti al caramello ecc., e poteva mai Squid Game concedere vantaggi di questo tipo? Ovviamente no. Il primo gioco non può che essere l’iconico “1,2,3 stella” con tanto di bambola gigante che ruota il testone di 180°: ottimo modo per dimezzare fin da subito la platea, dato che 456 partecipanti sarebbero stati impossibili da gestire anche per gli autori stessi, che avrebbero dovuto intervistarli tutti durante la gara; successivamente, il gioco dà a tutti la possibilità di familiarizzare con i luoghi della serie, oltre che con i restanti concorrenti: iniziano a formarsi i primi gruppi che diventeranno vere e proprie fazioni. Il secondo gioco è il difficilissimo “Caramello”, ed è proprio qui che emerge la vera essenza di Squid Game: La sfida, che vuole indagare soprattutto sui meccanismi strategici dei concorrenti, mettendoli l’uno contro l’altro: i partecipanti sono costretti a mettersi d’accordo sulla forma da scegliere, e questo porta a inevitabili malumori generali, oltre che a tantissime eliminazioni e un vero e proprio bagno di… inchiostro (sì, perché per rendere le cose un po’ piccanti ogni concorrente indossa un laccetto riempito con l’inchiostro che viene fatto esplodere all’eliminazione, simulando uno sparo… più o meno); al di là dell’immancabile piega trash che un gioco sulla morte senza morte poteva prendere, i restanti passaggi funzionano a meraviglia.
E’ quando il reality si discosta un po’ dalla serie che si vedono le cose più interessanti di questo programma: tra un gioco e l’altro, i concorrenti partecipano ad alcuni esperimenti sociali, psicologicamente ancora più duri delle prove stesse.
Tra un gioco e l’altro i concorrenti vengono chiamati a rispondere a prove diaboliche all’interno del dormitorio: totalmente a caso si ritrovano a dover scegliere giocatori da eliminare, tramite votazione collettiva ma anche tramite scelte singole, passaggio che responsabilizza ogni concorrente, costringendolo a uscire dalle retrovie e esporsi alla massa, rischiando a sua volta di essere preso di mira. Squid Game: La sfida, per certi versi, è un interessantissimo esperimento sociale che mette in mostra l’assenza di scrupoli dell’animo umano di fronte alla possibilità di vincere una somma di denaro che cambierebbe la vita di tutti i partecipanti, ed è proprio qui che la sana competizione diventa diabolica strategia. D’altro canto, Squid Game non perde di vista il focus della serie, ma quando tutti i concorrenti più atletici sono convinti di avere un enorme vantaggio nella sfida del tiro alla fune, ecco che la voce meccanica che li guida li mette di fronte alla più infame delle verità: la terza sfida è in realtà una “battaglia navale”, un gioco di pura strategia. E’ così che le certezze crollano sotto i piedi dei concorrenti, in favore di un surreale clima di paura e timore di sottovalutare il gioco stesso. La cosa più interessante sono le dinamiche che si creano tra i personaggi: nascono vere e proprie stable: la Gganbu Gang e il club L’angolo, per esempio, che si danno man forte sia nelle sfide che, soprattutto, nei momenti in cui bisogna decidere chi eliminare. In attesa delle restanti puntate, Squid Game: La sfida ha aperto un interessantissimo dibattito sul prodotto stesso: è più intrattenente vedere i personaggi della serie sfidarsi all’ultimo sangue, o i concorrenti del reality tradirsi, vendicarsi e accanirsi l’uno sull’altro? Ai posteri l’ardua sentenza.