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Squid Game è la nostra Takeshi’s Castle con una trama

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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler sulla prima stagione di Squid Game.

Qualche centinaio di concorrenti con gli occhi a mandorla, sei pericolosissimi giochi da superare, un’orda di cattivi pronti ad eliminare gli sconfitti, costumi colorati e vocine stridule, l’assalto finale, l’ambito montepremi. Vi ricorda qualcosa? Ma no, non è Squid Game. È Takeshi’s Castle naturalmente, il primo grande gioco proveniente dall’estremo Oriente che si è imposto sui palinsesti occidentali, soppiantando in un batter d’occhio i pur amatissimi Giochi senza frontiere di europea memoria. Ogni puntata del programma giapponese prevedeva una serie di assurde prove da superare per i concorrenti, che potevano partecipare individualmente, come squadra o a coppie, a seconda della sfida che veniva loro di volta in volta sottoposta. Non vi ricorda forse qualcosa? Avete avuto anche voi quella sensazione di già visto guardando gli episodi della serie Netflix?

Takeshi’s Castle è in fondo solo una Squid Game ante litteram, un filino più pacchiana e meno cervellotica, ma ugualmente folle.

Squid Game

A pensarci bene, le analogie tra il gioco degli anni Ottanta ideato dall’attore e regista giapponese Takeshi Kitano e la serie tv che sta facendo impazzire gli utenti di Netflix non sono poche. Squid Game sembra solo una Takeshi’s Castle che ce l’ha fatta, un fenomeno che è riuscito ad imporre un format non proprio originalissimo, ma comunque ben congegnato. Ci siamo chiesti se la serie sudcoreana creata da Hwang Dong-hyuk abbia davvero qualcosa di rivoluzionario, ma al di là del giudizio critico e personale sul prodotto, quel che sorprende è la rapidità con cui lo show sia diventato in brevissimo tempo un caso mondiale, aprendo anche numerosi dibattiti che avranno di sicuro dei risvolti nel breve periodo.

E però è impossibile non accostare la serie coreana al game show orientale più famoso del mondo. In Takeshi’s Castle, i concorrenti erano i buoni. Cento facce spaurite e inconsapevoli, con un’espressione stampata sul volto che era un misto tra terrore incontrollato e folle adrenalina. Ogni concorrente aveva la pettorina con il suo numero appiccicato sopra e ad ognuno di loro veniva chiesto di superare prove totalmente assurda prima di poter dare l’assalto finale al castello del conte Takeshi. I giochi variavano in durata e in difficoltà, un po’ come le sei prove di Squid Game.

Squid Game

Ad alcuni giocatori poteva venir chiesto di attraversare un fiume – di un colore che variava sempre dal giallognolo al marrone fango – saltellando su enormi pezzi di domino senza cadere. Ad altri di indossare ingombranti costumi da uccello e volare appesi a un filo per staccare con i piedi un coniglio e gettarlo in un nido gigante oppure attraversare un ponte mentre si veniva bombardati dagli sgherri di Takeshi. Ci si lanciava da una piattaforma e si tentava di atterrare su una placca sospesa nella fanghiglia del fiume, ci si avventurava in labirinti con celle esagonali dove i cattivi iniziavano la caccia all’uomo, si restava aggrappati a funghi giganti o si finiva al posto di enormi birilli da bowling. Ma c’erano anche sfide più complesse, nelle quali la rapidità d’azione e la lucidità nelle scelte finivano per essere decisive e contribuivano a mettere i nervi sotto pressione.

Vi ricorda qualcosa?

Squid Game

Il gioco più complesso per i concorrenti di Takeshi’s Castle consisteva nel superare tre mostri, schivare un masso gigante dall’alto, cercare di non finire risucchiati da bruchi rotanti e saltare da un trampolino per atterrare su mattoni di spugna, salire su un panettone girevole, schivare le palle lanciate dai cattivi e raggiungere il traguardo aggrappandosi a una liana. Non è roba degna delle più perverse menti che si muovono dietro l’organizzazione segreta di Squid Game? I superstiti dei giochi – qualora ve ne fossero stati – avevano il compito di espugnare il castello del conte Takeshi, il cattivo per antonomasia, una sorta di Frontman leggermente più demenziale e un tantino meno inquietante della versione Netflix. Il conte era protetto da un manipolo di scagnozzi che non indossavano le tute rosa e la maschera nera delle guardie di Squid Game, ma potevano avere di volta in volta dei costumi altrettanto riconoscibili. Erano davvero pochi i concorrenti che riuscivano a terminare il gioco e a portarsi a casa il montepremi di un milione di yen messo in palio dall’organizzazione.

Come in Squid Game, chi sopravviveva e giungeva fino in fondo si aggiudicava tutto il malloppo.

Ma le squadre di superstiti, anche in Takeshi’s Castle, si contavano sulle dita di una mano. Il gioco del calamaro nel quale Gi-hun ha battuto Sang-woo ricorda un po’ l’assalto finale al castello del conte Takeshi. Si potrebbe pensare addirittura che Oh Il-nam e i suoi straricchissimi compari abbiano attinto molto dalle strampalate idee di Takeshi Kitano. Con una sostanziale differenza però: in Takeshi’s Castle chi perdeva non rischiava di morire (almeno non sempre). I creatori di Squid Game hanno invece preso molto sul serio il concetto di sconfitta, al punto da eliminare fisicamente tutti quei concorrenti che non riescono a superare la prova. Nel game show giapponese, i concorrenti li vedevamo ruzzolare nel fango o al massimo saltare giù da un ponte colpiti da una palla gigante in pieno petto. In Squid Game, invece, chi non riesce a restare in piedi finisce per vedersi schizzare le cervella sul pavimento e sui muri colorati del mastodontico teatro di gioco.

Squid Game è una variante 2.0 di Takeshi’s Castle, semplicemente più conturbante e inumana. E con una trama coerente. Che Oh Il-nam, Frontman e tutte le sconosciute entità che si muovono dietro le quinte di Squid Game siano solo una versione incattivita e invecchiata – e un pizzico più sofisticata – di Takeshi Kitano? Altro che Hunger Games, Battle Royale o Maze Runner. Il nuovo fenomeno mondiale sbarcato su Netflix ha un solo precedente degno di questo nome. E confidiamo nel fatto che la seconda stagione di Squid Game ci regali un bell’episodio crossover in cui orde di giapponesi diversamente atletici tentano l’assalto alla fortezza di Frontman vestiti da calamari giganti. Sarebbe straordinario.

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