Era l’estate 2016 quando su Netflix approdò una Serie Tv chiamata “Stranger Things”, poco pubblicizzata, quasi un prodotto di nicchia che voleva rivolgersi a pochi, a quei nostalgici degli anni Ottanta, avidi lettori di Stephen King e appassionati di Steven Spielberg. Furono proprio quei toni, quella musica e quei rimandi più o meno palesi ad avvicinarmi subito al prodotto e inevitabilmente a farmene innamorare. Adesso Stranger Things non è più un prodotto di nicchia ma un cult televisivo, vincitore di più di un Emmy, inseritosi nella pop culture del decennio. Dal citare gli altri, adesso è lui stesso a venire citato (non ultima nella sfilata di Luois Vuitton a Parigi).
È il 1984. È passato un anno dal ritorno di Will Byers e la vita ad Hawkins, Indiana, sembra essere tornata alla normalità. Joyce frequenta un ex compagno di scuola, i ragazzi sono cresciuti e cominciano a mostrare i primi segni di pubertà, Steve e Nancy stanno insieme. Ma le cose non sono affatto come sembrano.
La recensione che segue contiene SPOILER, se quindi non avete ancora visto i primi due episodi vi consiglio di tornare dopo. Ovviamente io e i Losers di Hawkins vi aspettiamo!
I primi due episodi sono un ritorno a casa, a luoghi e personaggi che abbiamo imparato ad amare. Nel corso della prima puntata è come se tutto ci dicesse “bentornati ad Hawkins”, ritroviamo le stesse dinamiche, lo stesso spirito nostalgico e ovviamente gli anni Ottanta in tutto il loro splendore. Dalla musica degli Scorpion all’atmosfera dell’Arcade, dallo stile alla pop culture (è il finesettimana d’uscita di Terminator). È bello vedere che certe cose non sono cambiate, come tornare in un posto dopo tanto tempo e scoprire che è esattamente come lo ricordavamo e questo ci rende felici. Ma è una calma apparente.
Perché sotto la superficie, e sì lo potete prendere alla lettera, di una realtà apparentemente normale e immutata, si nasconde un mostro pronto a divorare Hawkins, lo “shadow monster”. L’unico che sembri avvertire il pericolo è il piccolo Will Byers, mentre Dustin e Lucas si interessano alla nuova arrivata e Mike è diventato una versione emo di se stessa dopo la perdita di Eleven.
Tutti i personaggi cercano la tranquillità, seppellire gli eventi di cui sono stati protagonisti con futilità ed evoluzione ormonale ma questa ricerca deve fare, irrimediabilmente, i conti con il trauma.
Il primo episodio di Stranger Things rappresenta la calma apparente prima della tempesta, con nubi oscure che addensano i cieli di Hawkins e presagi sotto forma di zucche marce. Will Byers assurge al ruolo di profeta apocalittico, gli unici occhi che riescono a vedere oltre il velo e potrebbero quindi salvare la cittadina. Da ragazzo scomparso della prima stagione, Will è divenuto il sopravvissuto per eccellenza, con tanto di PTSD. Noah Schnapp dà grande prova di sé, protagonista di questi due episodi insieme a Eleven. Di cui parlerò a breve.
I rimandi a Nightmare si sprecano, con questo passaggio tra realtà e Upside Down che confonde Will stesso e sua madre Joyce. Cosa è reale e cosa non lo è?
Proprio Joyce poi ho particolarmente apprezzato perché ho ritrovato in lei quei caratteri che già nella prima stagione me l’avevano fatta amare. Joyce è una madre single si può dire, ha cresciuto due figli maschi: uno non esattamente la persona più socievole del mondo, l’altro è finito in un modo parallelo. Adesso, pur abbandonandosi a una storia d’amore con nientepocodimeno che Samwise Gamgee, Joyce non dimentica nemmeno per un secondo i propri figli. Non li compatisce, non li tratta come bambini ma li ascolta e sprattutto crede in loro. Per i tempi è una donna molto forte, la cui individualità può apparire stramba ma è proprio questo suo essere freak che la rende speciale.
D’altronde come Jonathan dice a suo fratello “con chi preferiresti essere amico? Bowie o Kenny Rogers?”. Qui risiede il messaggio di Stranger Things, nell’essere freak non c’è niente di male, anzi. Essere freak è quello che ci rende diversi, speciali, unici.
La nostalgia è la stessa, la forza dell’uno diventa la forza del gruppo ed è qui che si avverte maggiormente l’influenza di Stephen King, in cui l’horror è solo la cornice per una storia molto più profonda di amicizia e grandi sentimenti. Impossibile non trovare parallelismi con IT, considerato anche Finn Wolfhard è tra i protagonisti del film adesso in sala, dove il mostro è solo uno specchio delle paure dei piccoli e un mezzo che permette loro di diventare grandi.
Ecco questo è un elemento che già verso la fine del secondo episodio si percepisce, ovvero la perdita di quell’innocenza e purezza così presente nella prima stagione. È una perdita che avviene tanto per i protagonisti quanto per la Serie Tv stessa, costretta a fare i conti con le aspettative.
Da Stand by Me a IT, da E.T. ai Goonies, l’horror-fantascientifico della prima stagione di Stranger Things lascia il posto a un horror-avventura con rimandi anche ai Gremlins e a The Breakfast Club.
Passiamo all’altro, anzi altra protagonista di questi due episodi: Eleven. La troviamo in una baita in mezzo ai boschi, tenuta al sicuro da Hopper e attraverso un lungo flashback nella seconda puntata che fa tanto Revenant, scopriamo come sia sopravvissuta e cosa le sia successo in questo lungo anno.
Il rapporto tra i due è molto bello e molto vero, sono i personaggi più complicati di Stranger Things e ritrovarli con questa dinamica è davvero affascinante. Hopper si è affezionato a lei però allo stesso tempo non vuole darlo a vedere perché significherebbe soffrire, significherebbe rischiare di perdere un’altra figlia. Eleven è come se vivesse in una sfera che comincia pian piano a incrinarsi, il mondo è più grande di come lei immagina e Hopper per certi aspetti, nel tentativo di tenerla al sicuro, le ricorda troppo “papa”. La sua sfuriata nel secondo episodio è una dimostrazione chiara dei poteri che ha ma anche uno sfogo violento da parte di una bambina che ancora non ha capito dove sia il suo posto, che pensa di non avere gli strumenti per capire ciò che la circonda e questo la demoralizza.
Una lite tra padre e figlia in piena regola che sfocia nell’uno in ostinato silenzio e nell’altra in piano frustrato.
La rabbia in Eleven sta pian piano prendendo il posto della paura.
Prima di separarci, vi lascio alcune considerazioni finali sulle note di un cult. Ci si rivede per il quinto e il sesto episodio!
CONSIDERAZIONI SPARSE:
- La chimica tra Jonathan e Nancy è sempre palpabile eppure non posso non tifare per Steve la cui evoluzione è stata una delle scoperte più piacevoli della prima stagione.
- Parlando proprio di Nancy, sarà interessante vedere come l’argomento #justiceforBarb verrà risolto dato che sembri una storyline nata per puro fanservice. Nancy rimane un personaggio poco chiaro, a tratti ingenua, a tratti perseverante ma senza una costruzione caratteriale stabile.
- I nuovi personaggi si sono già inseriti all’interno delle storie e sembrano usciti direttamente da IT. Impossibile non paragonare Max a una Beverly 2.0. e Billy è l’insieme di tutto i bulletti dei libri del maestro dell’horror. Dimostrazione che il male peggiore molto spesso non è quello sovrannaturale.
- Non si può non amare Sean Astin, stessa espressione, stesso sorriso dolce di quando interpretava Samwise. Il personaggio di Bob tra l’altro avrà più spazio rispetto ai piani originali, i fratelli Duffer, infatti, una volta visto Sean sul set non poterono fare a meno di ampliargli la parte. Come dar loro torto!
- Le donne di Stranger Things si riconfermano una parte fondamentale della storia, simbolo non di un femminismo becero che serve solo a riempirsi la bocca.
- Avendo già visto tutta la stagione mi risulta difficile trattenermi dal non fare spoiler, vi do solo un indizio riguardo il cliffhanger con Dustin: Gremlins.
- Gli effetti speciali sono un orgasmo visivo e i costumi, i dettagli sono una dichiarazione d’amore ai mitici anni ’80.