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Stranger Things: come nascono Demogorgone e Mind Flayers?

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Dovremo aspettare ancora parecchio prima di poter vedere la nuova stagione di Stranger Things. L’unico modo che conosciamo per poter tenere a freno la scimmia che ci assale e reclama il suo tributo è continuare a parlarne.

Il mondo delle Serie Tv pesca sempre più da un universo fantastico che ha la capacità di appassionarci nei modi più variegati. Stranger Things non fa eccezione. Rispetto a tante altre Serie, però, ha trovato il modo non solo di comprenderlo nella sua trama ma anche e soprattutto di sdoganarlo da un punto di vista drammaturgico. In quante Serie Tv abbiamo visto protagonisti e personaggi avere a disposizione poteri sovrannaturali o magici? In quante di queste la nemesi dei protagonisti era un terribile e onirico mostro? Innumerevoli. Dunque cosa rende Stranger Things così diversa da quanto visto finora?

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Non è solamente l’ambientazione. La tranquilla e isolata cittadina americana degli anni ’80 è un topos già visto. Anche avere un cast prevalentemente di ragazzini non è una novità assoluta. Il meccanismo dell’effetto nostalgia non è il punto di forza della Serie (anche se ne è una piacevolissima conseguenza) con tutte le sue citazioni e richiami.

Il vero fuoco che anima il successo di Stranger Things è porre il punto di vista di ciò che accade nello sguardo dei giovani protagonisti.

Meccanismo noto e con alterni risultati nel cinema: da I Goonies a Navigator, da IT a La Storia Infinita (qui un confronto specifico con IT). Solo per citare i più famosi. Ma non così frequente nelle Serie Tv. L’avventura narrata viene sviscerata e spiegata mediante le conoscenze a disposizione dei protagonisti. E come avrebbero potuto dei ragazzini degli anni ’80 affrontare e accettare l’esistenza di qualcosa come il Demogorgone? O concepire il concetto stesso di mondo del Sottosopra senza l’ausilio di qualcosa a loro noto?

In un tempo in cui Internet o Wikipedia erano ancora lontani, ecco che i nostri eroi trovano nei libri in loro possesso le risposte. Diciamo libri ma sarebbe più corretto dire manuali. Infatti lo strumento principe per la comprensione della trama è composto da una serie di volumi di un gioco da tavolo in voga a livello mondiale proprio dagli anni ’80: Dungeons & Dragons.

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Se non sapete che cos’è un Gioco di Ruolo fidatevi dei protagonisti di questa Serie e scopritelo insieme a noi. Se invece, almeno a livello di nome, vi dice qualcosa, cerchiamo assieme di capire quanto questo aspetto sia focale per la comprensione di Stranger Things. Il primo episodio di tutta la Serie si apre non a caso durante una sessione di gioco di ben 10 ore (i veri appassionati di role game sanno che è ampiamente possibile!) di Dungeons & Dragons.

Nei primi minuti di girato, la scena mostra un gruppo di ragazzini intenti a giocare nello scantinato di casa. Seduti attorno a un tavolo, uno dei ragazzi detto narratore (o dungeon masterMichael “Mike” Wheeler interpretato da Finn Wolfhard ha il compito di raccontare gli eventi che accadono agli altri ragazzi del gruppo (in questo caso un assalto contro una banda di trogloditi) i quali dovranno agire sulla base delle caratteristiche dei rispettivi personaggi per uscire dall’intricata situazione. Semplificando il concetto, quindi, possiamo definire il Gioco di Ruolo, del quale fa parte anche Dungeons & Dragons, una via di mezzo tra una lettura di gruppo e uno spettacolo teatrale in cui i partecipanti possono incidere sulla sequenza degli eventi. La scena prosegue con Mike che piazza sul tavolo la miniatura del Demogorgone contro cui si dovranno confrontare i giocatori.

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Il Gioco di Ruolo, in Stranger Things, diviene quindi non solo strumento narrativo ma vero e proprio metalinguaggio, sia il mezzo con cui i protagonisti percepiscono e razionalizzano la realtà che sta avvenendo, sia al tempo stesso il linguaggio mediante il quale spiegare allo spettatore ciò che sta per vedere. Questo però senza mai risultare invasivo o esagerato così da permetterne la lettura anche a quegli spettatori non così addentro alle dinamiche del role playing.

Cos’è quindi il Demogorgone?  E perché ha creato tanto scompiglio nella taverna?

Il demogorgone, nei manuali di D&D, viene presentato come il principe dei demoni. Per chi non abbia mai giocato negli anni Ottanta, il Demogorgone era una fra le creature di Dungeons & Dragons più temute, e per questo la scena di Stranger Things ha giocato brillantemente su questa nomea, legando meravigliosamente i due aspetti: quello nostalgico, cifra stilistica di tutta la Serie, e quello narrativo, fornendo ai ragazzi le chiavi per affrontare quanto avverrà nei successivi episodi.

Il Demogorgone è il signore di tutto ciò che alberga nell’oscurità. Un essere demoniaco ed enorme con due teste di babbuino, un ventre flaccido e gambe coperte di scaglie. Due tentacoli per ogni braccio e una coda lunga, spessa e rinforzata. La miniatura del Demogorgone scolpita da John Dennet (per Grenadier Minatures) differisce dalla versione presente nel Monster Manual. Tuttavia, il Demogorgone, al di fuori di differenze stilistiche e di rappresentazione, è sempre stato un nemico terribile e crudele in tutte le edizioni di D&D in cui è apparso. La copertina del secondo Monster Manual della quarta edizione è forse la sua migliore interpretazione.

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Il parallelismo tra D&D e Stranger Things non finisce certo qui. Lungo tutta la prima stagione è proprio nei manuali di questo gioco che i protagonisti cercano e trovano le risposte a quanto sta accadendo. Non solo per quanto riguarda il Demogorgone, ma anche per il Sottosopra. Durante la seconda stagione, poi, questo aspetto diventa ancora più determinante. Sarà infatti proprio Dustin a cogliere i caratteri principali del funzionamento della mente collettiva del Mind Flayers. Proprio quando gli scienziati del laboratorio non vengono a capo di quanto sta accadendo, è lui con la sua teoria della mente centrale che controlla le altre creature a creare l’epifania nel gruppo e, di conseguenza, nello spettatore. Ovviamente pure il Mind Flayers (noto anche come Illithid) è un mostro ben presente e conosciuto agli amanti di D&D. Ed anche in questo caso la spiegazione di tutto si trova all’interno di un manuale da cui Dustin trova le informazioni per spiegare i concetti di mente a sciame e poteri psionici.

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Sempre utilizzando riferimenti al gioco i ragazzi riescono a razionalizzare, fantasticando, gli strani e incredibili eventi che stanno vivendo. Lo sguardo dei ragazzi filtrato tra le pagine dei libri diviene il solo capace di cogliere l’orrore che sta accadendo. D’altra parte come diceva il genio di Providence:

“[Gli adulti] hanno ormai perso le chiavi dei reami del sogno” (Howard Phillips Lovecraft)

Lo spettatore, così come lo sceriffo Hopper, inizialmente reagisce incredulo:

“Oh, mio Dio, non è niente di reale, è un gioco per bambini!”

Ma è lo stesso Dustin a darci la chiave di lettura corretta:

“No, non è un gioco per bambini. È un manuale e, a meno che lei non ne sappia più di noi, questa è la miglior metafora!”

È proprio qui che Stranger Things coglie nel segno. Definisce un modo nuovo e al tempo stesso nostalgico per recuperare e rivitalizzare un mondo del fantastico ormai dimenticato. Un mondo amato da tantissimi ragazzi di quegli anni che ormai oggi fa parte, per i più, solo del bagaglio dei ricordi. Ma siamo convinti che ancora oggi qualcuno, da qualche parte come nella taverna di Mike, abbia ben custoditi i propri dadi e non attenda altro che poter affrontare nuovamente il proprio Demogorgone.

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