Personaggio principale di Stranger Things fin dalla primissima stagione, Will Byers in questa terza pare molto sottotono.
Due sono le cose che sembra ripetere per tutti e 8 gli episodi: vuole giocare con i suoi amici a D&D (potete farlo anche voi con questa edizione a tema speciale) e sente qualcosa di malvagio che sta arrivando.
Will, al contrario degli altri protagonisti bambini di Stranger Things, è quello che forse è rimasto più “indietro”. Non è interessato alle ragazze, non vuole sapere niente di appuntamenti e bisticci con l’altro sesso (tanto che qualcuno ha elaborato la teoria che in realtà fosse gay, eccola), è in bilico costante tra il suo essere ancora bambino e il passato traumatico che ha alle spalle. Nessuno come lui, a parte Eleven, ha subito traumi indicibili difficilissimi da superare. È stato rapito, è stato torturato fino allo stremo e ha dovuto affrontare la tragica perdita di quella che considerava la sua figura paterna. È ancora un bambino ma ne ha già passate tantissime.
È da lui che parte la storia che sta alla base di Stranger Things, perché, ancor prima di Eleven, è lui che sparisce nel nulla. Tutti lo credono morto, solo sua madre lotta per continuare a cercarlo, perfino quando si trova davanti al cadavere del figlio. Non è il suo bambino, quello è solo un fantoccio che gli somiglia.
Nella terza stagione di Stranger Things, il personaggio di Will è decisamente sottotono ma non necessariamente per demeriti suoi. Non è colpa sua se non è cresciuto rispetto ai suoi amici, perché quello che gli è successo probabilmente lo ha bloccato in una dimensione in cui si sente al sicuro con ciò che conosce, appunto lo scantinato di Mike dove può giocare a D&D. Dove può essere ancora Will il Saggio.
Non è colpa sua se i suoi amici sono più maturati (per certi versi si intende), mentre lui ancora no. E non lo si può accusare se non riesce stare al passo con i suoi coetanei. Probabilmente, col tempo, anche Will crescerà e si interesserà ad altro rispetto a ciò che ora gli piace.
Rimane il fatto che in questa stagione il suo personaggio si stabilizza nelle retrovie: non ha la maturità di El, che si sbarazza di Mike e si riprende la propria vita. Non ha la tenacia di Dustin che, invece, è il motore per scoprire la minaccia russa. Non ha neanche la leggerezza di Max che, giovanissima, ha già capito come destreggiarsi tra le insidie della vita.
È come se Will fosse rimasto lo stesso identico bambino della prima stagione: in lui non c’è stata alcuna evoluzione. Imperterrito, non capisce, continua a chiedere di giocare anche quando è evidente che non sia il momento giusto.
C’è solo un momento in cui Will capisce la propria situazione. Quando Mike sbotta e gli grida contro la sua frustrazione, qui lui si rende conto di essere “rimasto indietro”. I suoi amici sono cresciuti, sono andati avanti, hanno sviluppato interessi diversi. Lui no.
Distrugge quello che era il simbolo principale della sua infanzia: quel castello Byers che era stato per lui rifugio e riparo dalle bruttezze della vita e del Sottosopra.
Al contrario delle precedenti stagioni di Stranger Things, questa volta il suo personaggio rimane sullo sfondo. Non è essenziale, lui non è la chiave di volta o la soluzione. Altri hanno più spessore, ad esempio Erica, la pirotecnica sorella di Lucas, o Billy Hargrove, anche a fronte dell’evoluzione del suo personaggio. O, ancora, l’adorabile Robin nelle sue mille sfaccettature.
Will rimane il Saggio, ma non lascia il segno come in precedenza. Anzi. Diciamo che se non ci fosse stato nessuno se ne sarebbe accorto. Ed è un peccato, anche in considerazione dell’incredibile talento recitativo di Noah Schnapp; esploso definitivamente nella seconda stagione qui non ha modo di esprimere appieno il suo potenziale.
C’era da aspettarsi che, con la terza, finalmente Will avrebbe potuto trovare un po’ di sollievo, per non dire la precaria felicità. Ma anche per quest’anno dobbiamo rimandare il momento in cui avrà la sua ambita gioia.
Di certo, anche per lui ci sarà tempo per crescere e maturare ma in questa stagione bisogna ammettere che ha perso un’occasione.