Maxine Mayfield. Max, solo Max. Quando la conosciamo, nel primo episodio della seconda stagione di Stranger Things, è una ragazzina appena trasferitasi a Hawkins dalla California, con una situazione familiare complessa e una valvola di sfogo, i videogiochi, che le permettono di essere altrove, e qualcun altro. Solo Max, MADMAX. Nella quarta stagione della serie è invece un’adolescente che ne ha passate troppe, costretta a fare i conti con un mondo nel quale le cose non vanno come vorrebbe, ad affrontare il suo passato, i suoi demoni, i suoi sensi di colpa. Una giovane donna tanto forte quanto fragile che tende a chiudersi in se stessa mentre cerca di mettere di nuovo insieme i pezzi, di ricostruirsi. Ma il processo non è affatto semplice, soprattutto se c’è Vecna di mezzo.
La normalità nel soprannaturale
La costruzione di un personaggio come quello di Max in Stranger Things richiede un lavoro collettivo incredibile, sia da parte di chi quella personalità la scrive, sia da parte di chi la interpreta e la fa propria, una magistrale Sadie Sink che oggi ha vent’anni ma quando ha dato vita a Max per la prima volta ne aveva solo quindici. Essere giovani attori e portare sullo schermo un personaggio dalla vita complessa e dal destino segnato da un’altra dimensione che sfora sempre più nella nostra è un lavoro difficile. Ma se è vero che la maggior parte dei personaggi di Stranger Things rientrano in questa categoria, Max fa un’eccezione. O meglio, fa qualcosa in più: rappresenta i drammi normali in un mondo che ha parecchio soprannaturale.
No, non sto parlando dei drammi dell’adolescenza, dei primi amori, dei cambiamenti che si vivono quando si passa dall’essere bambini all’essere giovani uomini e giovani donne. O almeno non sto parlando solo di questo. Sto parlando soprattutto di quelle difficoltà che la vita ci mette davanti senza un vero e proprio perché, quelle che ci fanno pensare che il mondo si accanisca sempre e solo su di noi. Possono essere dei giovani così come degli adulti: un contesto familiare che è tutto tranne che tranquillo, la difficoltà di ambientarsi in un ambiente nuovo e quella di aprirsi quando si è sempre stati abituati a tenersi tutto dentro: i problemi economici, le responsabilità, la paura che le cose possano non cambiare mai. E nella quarta stagione il tutto assume una connotazione più forte e più tragica. Se nella seconda stagione di Stranger Things impariamo a conoscere Max e nella terza la vediamo aprirsi e dare spazio anche al suo essere un’adolescente normale, il finale della stagione passata e lo sviluppo della quarta segnano un passaggio irreversibile nella storia del suo personaggio.
Max e Billy
Nell’ultima puntata della terza stagione di Stranger Things, Max assiste inerte alla morte di Billy, quel fratello che aveva tanto odiato e che tanto aveva odiato lei. Va da sé che nella stagione successiva si ritrovi a dover elaborare un lutto nel quale aveva quasi sperato, ma che una volta avvenuto si rivela essere un vuoto, non una scintilla di miglioramento. Max e Billy non si amavano, ma erano pur sempre fratello e sorella, un legame frutto non del sangue ma delle esperienze condivise. Max sperava, senza mai dirlo ad alta voce, che Billy non avesse solo il lato arrogante e violento che tanto si ostinava a mostrare, e che le cose un giorno sarebbero cambiate. Aveva ragione, Billy non era solo lo str*nzo che sembrava, ma proprio nel momento in cui si mostra nella sua completezza il Mind Flayer ha la meglio su di lui. In quel momento Max non perde solo un fratello con il quale le cose non andavano per niente bene, ma perde anche la possibilità di un miglioramento. Perde una persona che non conosceva del tutto e che non le è più dato conoscere, e comincia a cadere inesorabilmente verso il baratro.
Quella che troviamo all’inizio della quarta stagione di Stranger Things è una Max sofferente, isolata, chiusa in sé addirittura più di quanto lo fosse al suo arrivo a Hawkins. Quella che abbiamo davanti non è solo una persona che sta cercando di affrontare il lutto, ma una giovane donna che deve guardare in faccia il suo senso di colpa: la colpa di non aver fatto niente per salvare Billy, di averlo odiato, di averlo fatto a tal punto da sperare che gli succedesse qualcosa di brutto, magari che morisse. Max è tormentata dai suoi ricordi, dai suoi pensieri passati e da quelli presenti, dalla sensazione di aver causato lei stessa la morte di suo fratello. Vecna lo sa, le entra nella testa e cerca di sfruttare la sua sofferenza a proprio vantaggio.
Nella mente di Max
Un mostro del Sottosopra che si nutre dei sensi di colpa e della sofferenza altrui non può che trovare in Max un bocconcino prelibato. Vecna la maledice, entra prepotentemente nella sua mente mostrandole la realizzazione dei suoi maggiori tormenti. Le fa vedere Billy che le dà la colpa di ciò che gli è successo, Lucas che le dà della pazza e si allontana da lei. Max si ritrova in un mondo tempestoso in cui il tempo è scandito dai rintocchi di un orologio che segna sempre la sua ora. Vecna cerca di mostrarle la morte, la possibilità di porre fine alla sofferenza, al dolore, alla colpa. La spezza, letteralmente. Eppure Max, la stessa ragazza che pensava di meritare e addirittura di volere la morte, sceglie la vita e le corre incontro. Sulle note di Running up that hill segue i suoi ricordi più belli, il primo bacio con Lucas, i sorrisi con gli altri del gruppo, l’intimità tra amiche con Eleven, realizzando una delle scene più belle della quarta stagione di Stranger Things e probabilmente dell’intera serie.
Riuscire a scappare dalle grinfie di Vecna non le fa chiudere totalmente i conti con lui e con se stessa, ma la aiuta a capire quanto ancora ci sia da vivere, quanto ancora ne abbia voglia. Tra Max e la vita c’è però ancora una maledizione che non è stata spezzata e che pende come una spada di Damocle sulla sua testa. Una maledizione che decide di usare a suo vantaggio per cercare di salvare i suoi amici e il mondo intero, facendo da esca per attirare a sé Vecna e provare così a farlo fuori una volta per tutte.
Chi ha visto l’episodio finale di Stranger Things sa bene come va a finire: il piano non va come sperato e per quanto il gruppo faccia di tutto per tenere il mondo umano e il Sottosopra ben separati, l’epilogo dimostra come il varco tra i due mondi sia ormai spalancato. Ma il sacrificio di Max è l’ennesima prova di una voglia di vita che va ben oltre i confini della sua stessa esistenza, una scelta presa con coraggio ma anche con paura nella speranza di creare un futuro per sé ma anche per tutti gli altri. Vecna ha il sopravvento su di lei, ma ancora non del tutto. La ragazza forte e fragile allo stesso tempo – con l’aiuto di una nuovamente potentissima Eleven – si spezza ma non si rompe. E nonostante il vuoto totale che c’è nella sua testa, forse Max è ancora lì da qualche parte, proprio come c’era ancora un minimo di Billy bambino nell’uomo che era poi diventato.
Stranger Things ci mette davanti ai nostri demoni
Max, solo Max. Maxine è un nome che non fa per lei. Lei che fin da quando è solo una bambina, è – o vuole sembrare – tutto tranne che fragile. Fare skateboard le insegna a cadere e rialzarsi sempre, ma anche a sopportare ferite costanti. È coraggiosa, temeraria, e si nasconde dietro uno scudo di ironia e a tratti anche di aggressività per non sembrare mai debole. Ma per quanto ci si possa ostinare a non fare i conti con le nostre stesse fragilità, prima o poi il momento arriva sempre, e rimandarlo non fa che renderlo più duro da affrontare. È questo il caso di Max, che si ritrova a dover accettare contemporaneamente non solo i suoi lati più umani, ma anche quelli più bui.
Guardare in faccia la parte più cupa di noi stessi è un’esperienza difficile almeno tanto quanto guardare in faccia un mostro che viene da una dimensione parallela. Max lo sa bene, e il suo viaggio nell’accettazione di chi è e di cosa prova è un po’ anche il nostro. Corriamo con lei in un mondo rosso e spaventoso per tornare in superficie, per raggiungere di nuovo la vita. Con lei cadiamo e ci rialziamo, con la nostra colonna sonora ben salda nelle orecchie e chi ci ama pronto a darci una mano. E allora Max non è solo Max. Max è un po’ tutti noi.