Dicci te come si fa, Sa‘. Dicci te come si fa a strappare lungo i bordi riuscendo a seguire la linea tratteggiata. Dicci come si riesce a fare come te, a stare in piedi anche se nulla delle cose che hai faticosamente desiderato si avverano. Dicci te come si fa a non sentire il peso di avere un desiderio, perché noi siamo complicati, e non riusciamo a volere neanche questo. Fatichiamo. Ci sembra che anche solo desiderare qualcosa sia un’operazione troppo complicata, una di quelle per cui alla fine della corsa arriva il verdetto: o vinci, o perdi. E noi perdemo sempre, Sa’.
Non siamo come te che anche se perdi ti rialzi, e continui. Noi appena cadiamo prendiamo la residenza nel sottoterra. Nessuno può risollevarci da lì, dal nostro entroterra esistenziale fatto di quello che non abbiamo mai fatto, di quello che abbiamo fatto male, e di quello che pensiamo di fare, ma alla fine non facciamo mai. Dicci te come si fa, Sa’. Dicci te come si fa a strappare lungo i bordi in questa esistenza in cui ci sentiamo dei falliti, sia che ci proviamo sia che stiamo fermi. Perché sai come dicono tutti, e come dici tu, se non ci provi non puoi mai saperlo. E allora noi capita che proviamo, che ci mettiamo in gioco. Però spesso perdiamo, e in questo caso non abbiamo alcuna giustificazione però. Non possiamo nasconderci dietro al non aver provato. Siamo in piedi, e il nostro fallimento ci guarda seguendoci con gli occhi ovunque andiamo. Abbiamo provato a strappare lungo i bordi, ma alla fine abbiamo rovinato tutta la pagina.
Non siamo bravi neanche a essere dei fili d’erba. Ci sentiamo dei mattoni impregnati di cemento che non possono essere sollevati da terra. Tu c’hai provato a dirci il contrario, e forse hai anche ragione, ma non ci sentiamo tali. Non possiamo spostarci. Rimaniamo ancorati a questo terreno come se il domani fosse l’ultima delle cose che potrà mai arrivare, perché pensiamo sempre al futuro come qualcosa di impossibile. Ma non è impossibile, vero Sa’?
Tu ci stai provando a diventare quello che volevi diventare, e anche se l’unica cosa che ti stanno promettendo in cambio è un caffè da portare, tu continui a stare in piedi. Quel caffè che porti tu lo portiamo anche noi, ma quello che ci differenzia è che tu continui a sperare, e noi invece continuiamo a pensare che quel caffè diventerà la nostra vita, la nostra unica ambizione realizzabile.
Sei tu che sei un filo d’erba, Sa’. Tu che sei così leggera da non essere mai superficiale, tu che tratti le tue ambizioni come qualcosa da accudire, e non come un peso. Noi no. Noi le odiamo, perché hanno tutto il potere di distruggerci. Ci basta non realizzarle per dargliela vinta, per raderci al suolo, per buttarci nella fossa di cemento.
Te non ci vai con Secco a prenderti il gelato. Te sei quella che gli fa compagnia mentre se lo mangia, e poi va a buttare tutti i fazzoletti che ha consumato. Questa è la tua vittoria, Sa’. Hai cura delle cose, anche di quelle che non hanno anima. Noi no. Noi non abbiamo cura di niente, neanche di noi stessi. Se vuoi capire dove siamo, guarda alla fine della stanza, nell’angolino al buio. Siamo faccia a muro, e siamo lontani da qualsiasi cosa abbia il potere di scuoterci, illuderci, darci una scossa. Perché noi lo sappiamo quello che viene dopo una scossa, Sa’. Si rimane folgorati.
Le persone sono complesse, e noi non facciamo eccezione. Noi siamo la regola, il punto più basso di questo cliché. Siamo gli strascichi di quello che ci hanno lasciato i rimorsi che abbiamo collezionato, siamo quello che tu – per tua fortuna, e con tutta la nostra ammirazione – non sarai mai. Anche se viviamo le stesse noi e te siamo divisi in due strade, sono entrambe tortuose, piene di fossi, rovinate. Ma tu ci sai camminare Sa’, e cerchi di migliorarla. Stai lavorando per riportarla a uno stadio percorribile. Noi continuiamo a cadere, a prenderci le pietre, e non facciamo niente.
Capisci quanto sia grande la distanza che ci divide adesso?
Noi lo sappiamo che te un po’ ci guardi dall’alto verso il basso, un po’ per capire come facciamo a essere così str***i con noi stessi, un po’ perché proprio non riesci a capire come delle persone dalle tue stesse radici possano essere così diverse da te, così auto sabotatrici. Non ce vogliamo bene mai, qua.
Scusaci anche se facciamo come Zero e Alice. Scusaci se noi, il coraggio, non lo abbiamo neanche biologicamente programmato. Facciamo finta di niente, seminiamo e stiamo buoni. Per questo sono settimane che parliamo di voi, e di come non sappiamo strappare lungo i bordi. Non è che ci siamo fissati, eh. Però abbiamo bisogno di parlarne, perché ogni volta esce fuori qualcosa di nuovo che, chissà, forse ci servirà per provare a levare il primo mattone di cemento. La verità è che tu, Calcare, Secco, L’armadillo, c’avete fatto vedere attraverso uno specchio, e ci siamo visti brutti. Goffi. Rovinati. Non ci eravamo mai visti così. Non avevamo capito quanto fosse grave la situazione, anche se tutto ce lo aveva predetto. Ma noi non siamo bravi a capirci.
Continuiamo a camminare dentro questa strada, Sa’. Prendiamo tutte le pietre, i fossi. Te sei dall’altra parte, e noi ti vediamo. Vederti così diversa da noi ci aiuta un po’, ci fa pensare che forse non siamo tutti spacciati, e che i fili d’erba esistono e non sono solo un’invenzione. Ci fai bene mentre ti guardiamo e ti ascoltiamo. Ci fai bene anche se poi non mettiamo in pratica nulla. Però tu promettici che ci ricorderai sempre che siamo qualcosa di più, anche se non lo capiamo. Anche se ti porteremo allo sfinimento. Ci fa bene sentircelo dire. Ci fa bene scoprire che forse, almeno da fuori, i nostri disastri non siano mattoni di cemento, ma solo dei fili d’erba che non hanno alcuna responsabilità. Tu continua a dircelo, Sa’. E poi, se puoi, ricordaci come si fa.