Il titolo è ingannevole e pure un po’ ipocrita. Ma tale considerazione sacrosanta viene smentita dal classico flashback che introduce ogni puntata. Aureliano corre spaventato, apparentemente spoglio dalla sua proverbiale rudezza e sfacciataggine, verso il nulla probabilmente. Egli scappa da se stesso e dal peso delle conseguenze del suo raptus omicida. Non è bravo a farlo, in vita sua ha sempre affrontato tutti i rimasugli del suo, mai sobrio, operato. I brutali Sinti invece sono cani da tartufo che riescono a percepire ogni minima parvenza della loro preda. Solo un patto con il nemico può salvare Aureliano. E mentre corre disperato quell’accordo si sta già stipulando a sua insaputa. Perché la pistola che lo sta aspettando per giustiziarlo è quella di Spadino. Suburra prima preme il grilletto e poi spiega …
Stringere accordi che non portano da nessuna parte è il tema portante della puntata. Sara ha completamente perso il controllo della situazione e deve stipulare un patto con il diavolo. Il volto da temere, il buio vicolo, il puzzolente tanfo di morte possono diventare in questa marcia Roma validi alleati. Quando gli interessi di un’entità mostruosa pregiudicano le regole dell’etica è facile incappare in situazioni dolenti e nefaste. Samurai in quest’ottica può divenire la scorciatoia per ovviare a incidenti di percorso, o per smacchiare una traccia di sangue. Sara ignora però che un demone esige sempre il proprio tributo.
Suburra ci ha già fatto capire l’indole al complotto che lega tutti i personaggi, ma ancora non ci ha spiegato tutte le regole.
Samurai non ci mette più di un secondo a districare il nodo della matassa. Basta solo minacciare le persone giuste e dare sfoggio del proprio potere per convincere il più improbabile degli aguzzini a liberare la preda.
La verità che si riassembla è una costante in Suburra ma ciò non deriva mai da intenti principeschi.
Cominciano a tornare a galla tutte le menzogne e un cane può essere testimone di una malefatta. Tullio Adami è in perenne condizione di apprensione nei confronti del figlio che oltre a scagliare il sasso non nasconde neanche la mano. Ed è facile capire a cosa ciò porterà …
Gli intrighi di famiglia si complicano da una parte e dall’altra
La ricca famiglia degli Anacleti vuole invece applicare la sua personale legge del taglione per sopperire a uno sfregio troppo grande. Aureliano non è neanche in grado di difendersi davanti a una disperata richiesta di verità e bisogno di complicità.
Spadino chiede al giovane Adami una cruda ammissione. Non per esigere vendetta, non per presentarsi a casa con la testa dell’omicida, ma perché crede di meritarsi qualcosa da lui.
Come se la complicità nata durante lo sventato ricatto possa ramificarsi anche oltre. La diversità di Spadino contribuisce a estraniarlo dalla sua famiglia, dal suo mondo. Talmente tanto da costringerlo a cercare amicizia in un nemico.
Un triste destino sembra si stia evolvendo per il giovane Sinti. Il momento di premere il grilletto e di abbracciare definitivamente la sua famiglia sta per palesarsi. In contrapposizione ad Aureliano che perde pure la mano, sempre tesa verso di lui, della sorella. Una mano che non aveva mai esitato ma che ora imbraccia una pistola. L’omicidio del cane orfano sa tanto di avvertimento. L’espressione di Livia è eloquente e potrebbe significare che la prossima volta potrebbe toccare al fratello.
Ma questa non è l’unica pistola pronta a colpire.
Ormai è notte. E il lato più oscuro di Suburra è pronto a emergere. La vendetta giunge incombente, come preannunciato, ed è di una labirintica cattiveria. Aureliano è pronto a morire! L’ultima corsa da ferito e spaventato è l’ultimo tributo a quello che è sempre stato.
Ma per sua fortuna il dito che deve premere il grilletto è di quella persona che si illuse di parlare con un amico. Colui che implorava verità ma che ora concede pietà.
Suburra è illeggibile!
Il sangue racchiude la risposta a tutto. Un cadavere grida a squarciagola il nome del suo assassino. Ma colui che deve vendicarlo non lo vuole ascoltare.
Aureliano morirà… ma non oggi!