Si dice che un capolavoro non si possa definire veramente e totalmente tale senza una chiusura adeguata. Sono tante le serie tv che, pur ritenute capolavori dai più, hanno fatto storcere il naso per un finale non ritenuto all’altezza dalla maggior parte del pubblico. Scrivere il finale di una serie televisiva è senza dubbio il compito più arduo possibile per uno sceneggiatore, perchè il finale è l’ultima cosa che il pubblico ricorderà. Un finale può essere tragico, romantico, giusto, sbagliato, intenso, a volte anche divertente, altre ancora pieno di speranza. Ma alla fine gli spettatori lo divideranno comunque in tre macrocategorie: brutto, bello, pazzesco. Il finale di Succession non è sicuramente brutto, forse non si può definire pazzesco, sicuramente è un bel finale. Ma soprattutto e andando oltre le banali macrocategorizzazioni per approssimazione, il finale di Succession è un finale che va metabolizzato. Non tanto emotivamente, perchè delle emozioni a Succession non è mai fregato niente. Va metabolizzato proprio concettualmente.
Raramente ci siamo sentiti così dopo la fine di una serie tv. Raramente ci siamo trovati in questo stato di sospensione a chiederci se effettivamente quel che avevamo visto fosse la chiusura migliore possibile, la più coerente possibile, la più giusta possibile. Raramente ci siamo sentiti così svuotati come Kendall su quella panchina, senza però nessun margine di preavviso. Forse solo il finale di The Shield ci ha restituito quelle sensazioni, ma in quel caso sapevamo che la conclusione era la più giusta possibile e il senso di vuoto successivo era stato ampiamente preventivato e in parte metabolizzato. Stavolta no. Perchè il finale di Succession, per come si erano messe le cose durante l’ultima puntata, è stato totalmente imprevedibile. Ma non è solo per il suo tasso di imprevedibilità che ci sentiamo in questo modo.
In effetti però potevamo aspettarcelo. E non mi riferisco tanto al susseguirsi degli eventi di quest’ultimo atto, in se’ appunto totalmente imprevedibili. Mi riferisco al fatto che Succession si sarebbe chiusa senza darci il tempo di reagire, qualsiasi fosse l’evento conclusivo che avrebbe sparigliato le carte. Perchè Succession ha fatto del non dare tempi di reazione al pubblico un marchio di fabbrica. È nella natura stessa della serie. Era successo anche nella 4×03, uno degli episodi migliori nella storia della televisione: dopo la morte di Logan, un evento abnorme inserito in una puntata da cui apparentemente non dovevamo aspettarci fuoco e fiamme, non c’era stato neanche il tempo di fargli il funerale (avvenuto poi sei puntate dopo). La natura frenetica e costantemente sorprendente degli eventi va in contrapposizione con la classe flemmatica che visivamente questa serie si è sempre portata dietro.
Stavolta, però, non ci sarà un seguito ad aspettarci, e possiamo solo continuare a riflettere. In questo finale abbiamo vissuto tanti possibili finali diversi. E abbiamo potuto immaginarci tanti finali diversi. Il primo, quello più scontato e prevedibile: Kendall contro Shiv e Matsson, il vecchio contro il nuovo, col vecchio che sembrava inesorabilmente destinato a soccombere. E con Roman preso in mezzo, sempre più respingente verso queste nauseanti dinamiche di potere, ormai ridotto a fluttuante pedina da portare dalla propria parte per entrambi i fratelli. Talmente avulso dal gioco da aver preferito rifugiarsi da sua madre, come quando era piccolo. Il secondo, quello che forse sarebbe stato il più emotivo: i tre fratelli tutti insieme che dopo il tradimento di Matsson a Shiv si riprendono la loro azienda e corrono leggiadri, mano nella mano, verso il loro futuro. Ed è stato bello crederci, anche solo per un attimo. Ma era effettivamente troppo dolce per essere Succession.
Ma è stato bello, sì. È stato tenero vedere i fratelli giocare insieme, stare attenti a non fare troppo casino in casa della madre, fare gli stupidi e divertirsi in una maniera finalmente pura e scevra da ogni stomachevole tentativo di fottersi l’un l’altro. Vederli incoronare Kendall CEO della futura, e a questo punto utopistica Waystar comandata ancora dai Roy, con un frullato di schifezze rovesciato in testa a mo’ di corona. Quella naturalezza ci suggerisce che un tempo erano uniti. Prima che il tempo si prendesse i loro sentimenti e li anestetizzasse in modo ineluttabile.
Ma era ovvio che non potesse finire così, siamo stati stupidi noi a crederci. E a sperare intimamente che, in fondo a questo tunnel fatto di ego e disumanizzazione, ci fosse della bellezza. Ci hanno fatto assaporare questa possibilità, quasi fosse un’utopia familiare. Ma Succession non è un’utopia familiare, non lo è mai stata. E quindi è giusto che questo secondo finale possibile si sia dissolto come una fantastica, ma incoerente, illusione.
Il terzo finale è quello vero. Duro, crudo e autentico, come Succession è sempre stata. Svuotato di (quasi) ogni sentimento positivo, intriso di arrivismo e voltafaccia all’ultimo secondo. E la protagonista del vero e definitivo finale di Succession è stata senza dubbio Shiv Roy. Che quando tutto sembrava apparecchiato per l’incoronamento del nuovo re ha pensato di non guardare più al presente, al teorico vantaggio immediato. Di non farsi fottere dall’orgoglio e dall’ego che le avevano fatto inizialmente pensare che Kendall a capo di tutto sarebbe stato il minore dei mali , rispetto a dare l’ok alla scalata di Matsson e di quel traditore di suo marito, Tom. Perchè Tom non è solo suo marito: Tom è anche il padre di suo figlio. Shiv ha scelto di non pensare più a se stessa – una svolta incredibile per il personaggio – e ha scelto di pensare al bambino che tiene in grembo. Un giorno, magari, col padre a capo dell’azienda, sarà lui il nuovo Logan Roy. Sarà lui quello che nè lei nè i suoi fratelli sono mai riusciti a essere.
Shiv ha scoperto l’altruismo, Shiv si è scoperta madre. Ma non si cambia completamente da un secondo all’altro. E la sequenza finale di lei che tiene la mano in macchina al marito ci fa capire una cosa: il suo piano è quello di gestire la Waystar indirettamente, gestendo lui. Non sarà facile, perchè Tom sembra avere tutta l’aria di chi vuole prendersi finalmente le luci della ribalta Quelle luci della ribalta a cui Shiv ha rinunciato una volta per tutte, in nome di un bene superiore.
L’immagine sfocata, ma solida, di una coppia che si è ritrovata per interesse, si contrappone agli ultimi confusi e sconnessi frame della vita dentro Succession di Kendall Roy, re solo per quella maledetta frazione di secondo in cui si è seduto sulla sedia magica del padre. A quei concitati momenti in cui prima Roman sembra voltargli le spalle e poi con la sua solita voce tremante vota per lui, a quel sospiro di sollievo successivo, a quel voltafaccia imprevisto di Shiv che porta a un litigio furioso, verbale e fisico coi suoi fratelli, a quella sequenza folle – e favolosamente messa in scena dagli autori – che noi non abbiamo avuto il tempo di assorbire, e che a lui ha rovinato la vita.
Kendall vaga frastonato per la città con dietro di se’ l’ombra della sua guardia del corpo, macchiettistica eredità di un ricco uomo che non ha più nulla da fare e non ha più un obiettivo per cui combattere. Si siede, scruta l’orizzonte e ci rende partecipi del suo senso di vuoto, che ci avvolge e che diventa nostro. Perchè Succession è finita per sempre e ci ha lasciati così: a riflettere su una panchina, con lo sguardo perso e la sensazione che per rivedere qualcosa del genere dovremo aspettare parecchio tempo.
Vincenzo Galdieri