A proposito delle catalogazioni di The Bear e Succession.
Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Succession e The Bear.
La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo.
Così parlò uno dei più grandi artisti del Novecento, Charlie Chaplin. Uno che di commedie se ne intendeva parecchio, tanto da esser stato capace di mettere in scena una delle più grandi tragedie del Novecento attraverso una chiave comica, mentre quella tragedia era in corso. Nel 1941, infatti, uscì Il grande dittatore, film nel quale Chaplin propose una parodia memorabile di Adolf Hitler, definendo così i canoni di una massima a dir poco complessa: dove finisce il terreno del dramma e inizia quello della commedia? E cosa potremmo dire se invertissimo i due fattori? Forse il risultato non cambierebbe: l’oggettività di certe tragedie è plateale, mentre è più difficile stabilire cosa possa essere o meno comico.
È una questione di prospettive e di approccio alle cose, sfumate in un contenitore fluido che vanifica le catalogazioni: ricercare la commedia rappresenta molto più di un esercizio di stile e mira al cuore delle situazioni, da esasperare laddove la componente grottesca ha la meglio sul buon senso attraverso un linguaggio efficace negli intenti. Chaplin lo fece nell’arco della sua intera carriera, anticipando di svariati decenni quello che sta succedendo oggi all’interno del panorama cinematografico e televisivo: spesso, i grandi drammi sono intrisi di un irresistibile umorismo che ne enfatizza i fattori drammatici, mentre le grandi comedy contengono al proprio interno una storia forte che sfora talvolta nell’intensità della tragedia.
Si arriva, allora, alla chiave di questo articolo: ha senso catalogare e soffocare all’interno di un genere una grande serie tv?
Se sì, prendiamo in esame le due migliori serie tv del 2023, protagoniste nelle ultime settimane agli Emmy e ai Golden Globe: Succession, un drama, è davvero un drama? The Bear, una comedy, è davvero una comedy?
Il terreno è scivoloso: se da una parte le discussioni a proposito di Succession sembrano esser spesso mirate all’esaltazione di un drama che ha saputo usare con grande intelligenza il linguaggio della commedia, dall’altra ha fatto parlare parecchio di sé la scelta di premiare The Bear come comedy dell’anno sia agli Emmy che ai Golden Globe. È sufficiente un rapido passaggio su Google per averne conferma: si sono sprecati nel tempo i contenuti che puntano a dare un senso alla controversa definizione, troppo spesso senza arrivare a una risposta esaustiva.
Perché? Il motivo è presto detto: The Bear è un’infinità di cose meravigliose, ma viene difficile associarla a una comedy. Fa piangere? Con ogni probabilità, ci si dovrebbe preoccupare se così non fosse. Fa ridere? Parliamone, ma è piuttosto evidente che l’impalcatura comica tenda a esser fagocitata da quella drammatica. Per qualcuno è persino impossibile pensarla nei termini di una comedy, e a dirla tutta farebbe discutere persino l’inserimento in una categoria destinata alle dramedy: per gran parte del pubblico, The Bear non è altro che uno straordinario dramma. Punto. Ma non è che siamo andati oltre? Stiamo polarizzando oltremisura la faccenda? La risposta, come sempre, sta nel mezzo. Come nel mezzo si frappone l’idea che Succession, al contrario, sia una memorabile comedy travestita da dramma.
Partiamo da un presupposto: le academy che stabiliscono a chi e in quali categorie dare i premi si fanno molti meno problemi di quanti ce ne stiamo facendo noi. Fino a pochissimi anni fa, la questione si riduceva con grande miopia a una questione di formato: se una serie si strutturava con episodi da venti-trenta minuti circa, era una comedy, se andava oltre era un drama. Basta.
In passato aveva senso, almeno in parte: la destinazione dei prodotti alla “vecchia” tv lineare creava delle strutture fisse con minutaggi specifici che circoscrivevano il terreno di sviluppo.
Ma oggi? Tutto è cambiato: l’avvento dello streaming ha rimescolato le carte, vanificando ogni potenziale catalogazione circoscritta ai tempi. Le academy se ne sono rese conto con diversi anni di ritardo, ma alla fine ci sono arrivate: The Marvelous Mrs. Maisel, giusto per fare un esempio, è una comedy che è stata trattata giustamente da comedy, nonostante si sia presentata con “un formato da drama” ed episodi da 50-60 minuti circa.
Come si è risolto il dilemma? Decidendo di non decidere: oggi sono le produzioni ad avanzare la candidatura in cui sono esse stesse a definire il genere, non più le academy attraverso canoni stantii. Il problema, così, non si è risolto: al contrario, sembra aver creato un terreno fertile per evitabili polemiche.
Molti, infatti, hanno “accusato” The Bear di essersi presentata tra le comedy col solo fine di non doversi scontrare con serie che sarebbero state favorite tra i drama: una tra tutte, Succession.
Pensarlo è in qualche modo legittimo: facendo così, Succession e The Bear si sono spartiti i premi dell’ultimo periodo, evitando un confronto diretto. Sarebbe stata una scelta complessa – e noi lo sappiamo bene, visto che abbiamo discusso a lungo a proposito della classifica delle migliori serie tv del 2023 – ma la natura delle candidature hanno scongiurato il rischio in tal senso, finendo per celebrare quasi in egual misura due produzioni d’altissimo livello.
La questione, allora, rimane e si amplia: davvero The Bear è stata catalogata pretestuosamente come comedy, col solo fine di vincere più premi in una sezione non sua? Non possiamo mettere in discussione l’onestà intellettuale di chi ha preso questa decisione, ma possiamo andare più a fondo di quanto abbiano fatto le academy attraverso un ulteriore spunto di discussione: Succession, il miglior drama degli ultimi anni al pari di Better Call Saul, è più comica della miglior comedy degli ultimi anni? Difficile rispondere, ma non impossibile.
Partiamo da quest’ultima provocazione: cos’ha di comico Succession, un cinico dramma incentrato sulla spietata lotta per il potere dentro una disfunzionale famiglia di ricconi?
Tutto, in realtà. Succession è una farsa, una satira del potere, converte un dramma totale attraverso una chiave spesso ridicola. E non a caso è stata creata e scritta da un autore, Jesse Armstrong, dal background comico: avete mai visto le sue Peep Show e The Thick of It?
Beh, dovreste rimediare. Le due opere, infatti, sono intrise di una comicità di stampo britannico che affonda le radici su uno humor nero tanto caro agli inglesi, tanto nero da non aver bisogno di alcuna rassicurante exit strategy: la commedia, d’altronde, sa essere il peggiore dei drammi. Perché possono fare la differenza i dettagli dei primi piani comici che contribuiscono all’esplosione di una tragedia convintamente shakespeariana, e in tal senso il confronto tra Succession e Re Lear è evocativo.
Aveva ragione Chaplin, allora: il capolavoro di Armstrong è talmente drammatico da essere comico, e viceversa. Non siamo certo i primi ad averlo pensato: un magazine del calibro del New Yorker, abile nel rimarcare uno dei principali punti di forza della serie, si era espresso così a proposito della componente “british”: “il paragone più appropriato potrebbe essere con una sitcom. Ci sono momenti in cui la serie sembra quasi ‘seinfeldiana’ nei suoi sforzi ciclici di immortalare un gruppo di personaggi eccentrici e meschini mentre cercano, ancora e ancora, di mettersi l’uno contro l’altro. Ciò che fa funzionare una buona sitcom è la capacità di ripetersi con piccole differenze”.
Tutto qua? Macché: Vulture è andata ancora oltre, evidenziando gli aspetti tecnici che fanno di Succession una deliziosa comedy. Manco una dramedy: una vera e propria comedy, tanto efficace da aver strappato delle risate fragorose che quella “comedy” di The Bear, francamente, si sogna. E se non li sogna, è perché non le ha mai ricercate in alcun modo.
Li riassumiamo brevemente per punti.
- Fin dalla sigla, il manifesto d’intenti ha una matrice comica. Lo straordinario brano della opening disvela una sequenza di clip autoironiche, accompagnate da un motivo che evoca il senso di una tragedia imminente dalle sfumature divertenti, anche attraverso un sapiente gioco di contrasti nelle variazioni sul tema centrale: “Succession ci ricorda qualcuno che cade, si rialza e poi cade di nuovo, un clown triste che scivola su un’implacabile sequenza di bucce di banana”. L’intento si esplicita definitivamente nei titoli da tg che cambiano di stagione in stagione e strappano una risata agli spettatori più attenti.
- La satira di un mondo di privilegiati scade nel farsesco. Estremizza l’estetica, gli atteggiamenti e gli approcci tra i soggetti, fino a convertire lo sfarzo in una prigione dorata che avvolge chiunque ambisca a entrare o rimanerci dentro: “la vita dei Roy è tragica, ma il loro intero mondo è ridicolo”.
- La scrittura è ricca di battute, inside joke e dinamiche tipicamente comiche che ricadono persino nello slapstick, con una densità che pare voler creare dei punti fermi ironici per condensarne l’unione in un dramma. Pur senza citare le interazioni tra Greg e Tom – arrivate dritte da tante sit-com britanniche degli ultimi trent’anni – è evidente la volontà di procedere in tal senso e ricercare una risata attraverso pattern classici espliciti, fondati anche su un tempo di reazione della “vittima” enfatizzato dall’ingombrante regia e dalle sue disturbanti zoomate.
- Persino la gestione dei tempi di battuta lo è, e si arriva talvolta a ricreare persino lo spazio d’attesa un tempo occupato dalle risate di fondo. Ricordate cosa succedeva nel Troppo Frizzante di Boris, in cui quell’attesa diveniva infinita? Qua si ricerca maggiore sobrietà, ma in fondo il senso è il medesimo.
Ancora convinti che Succession non possa essere considerata una comedy? Passiamo a The Bear.
Qui il discorso diviene ancora più complesso, anche se la premessa è molto semplice: The Bear tende a non strappare tante risate, ma basta questo per non definirla una comedy? Solo fino a un certo punto. Pur non assolvendo con grande efficacia quello che sarebbe l’obiettivo primario del genere, e pur essendo difficile riscontrare la presenza di un umorismo peculiare, è timidamente comedy nel formato e questo è bastato per permetterle di trionfare nelle categorie dedicate.
L’ironia, tuttavia, è presente, rappresenta un elemento che enfatizza ancora di più il dramma: alleggerisce la tensione nei momenti più opportuni senza spezzarla come farebbe una vera sit-com, sfumando il fattore più di quanto faccia Succession.
La comicità non si ricerca nella battuta o attraverso la fisicità offerta da un cast dal pedigree spesso comico – a partire da Jeremy Allen White e Ayo Edebiri, attori dai curricula inequivocabili in tal senso – ma si riscontra nello sviluppo delle dinamiche più grottesche, tanto estreme da sconfinare nel drama. Paradossalmente, tre tra i momenti più drammatici di The Bear si presentano attraverso un situazionismo dall’esplicita vena comica, più evidente per gran parte della seconda stagione rispetto alla prima.
Si pensi a Carmy che rimane chiuso nel frigorifero del ristorante, a Mike che lancia le forchette nel bel mezzo del pranzo di Natale e alla madre che finisce per sfondare un muro di casa con la sua auto: le tre scene sarebbero state perfette all’interno di una qualunque sit-com, ma a fare davvero la differenza è l’approccio alla situazione, finalizzato alla narrazione di una famiglia disfunzionale immerso in un orribile loop dal quale sembra non riuscire a venir fuori (che poi sarebbe una discreta definizione pure per Succession, ma magari ne parleremo un’altra volta).
Per dirla ancora con le parole di Charlie Chaplin, seppure capovolte, The Bear è una “commedia in primo piano, ma una tragedia in campo lungo”.
Al pari di Succession, pur nella direzione opposta, la comicità diviene quindi un fine per evocare il dramma. Questo la rende meno “comedy” di Succession? Se da un lato si sorride e dall’altro si ride di gran gusto, diviene difficile porle sullo stesso piano, ma quel che risulta più chiaro è la centralità dell’influenza tra generi nel definire due opere distinte, dalle identità persino contrapposte nella combinazione antitetica di fattori associabili: la comedy diviene drama quasi quanto il drama diviene comedy.
“Tragedia è quando mi taglio un dito. Commedia è quando cado in una fogna a cielo aperto e muoio”, sostiene un altro grande maestro della comicità, Mel Brooks.
E qua si può sintetizzare idealmente il senso di questo pezzo, perché Succession e The Bear tendono a fondare la loro vis comica proprio su questo fattore: la Waystar Royco non è altro che una fogna a cielo aperto in cui tutti finiscono per cadere, così come il ristorante del povero Carmy. Succession e The Bear, ma non solo: siamo partiti da Charlie Chaplin in questa lunga analisi, ma sarebbe stato opportuno andare molto più a ritroso e rievocare l’intera storia della comicità, fin dall’alba dei tempi. Partendo dai classici greci o latini e passando attraverso innumerevoli esempi nella cinematografia comica novecentesca, dall’irrinunciabile Woody Allen al nostro Paolo Villaggio, fino a tornare ai giorni nostri e a una tendenza sempre più marcata alla contaminazione tra generi: si rinuncia alla catalogazione e si trova nuova linfa vitale in uno storytelling più sfaccettato che renderà sempre più difficile assegnare determinati premi.
Vale per Succession e The Bear ma avremmo potuto evocare anche la già menzionata Better Call Saul, solido drama dalle spiccante tendenze umoristiche (nato non a caso dall’idea per una sit-com), sua madre Breaking Bad o la madre di sua madre, nonna Soprano.
Avremmo potuto menzionare pure Mad Men in tal senso e chiunque abbia utilizzato, nel tempo, gli stilemi della comicità e del dramma per combinarli in una creatura unica, ma ci fermiamo qui. E lo facciamo con una dichiarazione di Ebon Moss-Bachrach, interprete di Richie in The Bear, rilasciata nel corso di una conferenza stampa convocata dopo la vittoria agli ultimi Emmy: “Tra Succession, Beef e la nostra serie, mi sembra che quest’idea di comedy e drama sia un po’ obsoleta. Il nostro semplice obiettivo è di riflettere a proposito della confusione dell’essere umano, che è qualcosa di profondamente divertente e per cui tutti soffriamo”.
Sapete cosa? Forse alla fine ha ragione lui: non ha più senso domandarsi cosa possa essere davvero comico e cosa possa essere davvero drammatico.
Forse non l’ha mai avuto, ma non smetteremo comunque di farlo. In fondo, come disse ancora Charlie Chaplin, “la vita stessa è una slapstick comedy. Ti colpisce alla testa con l’inaspettato. Una tragedia o una commedia? Dipende da come la guardi. La differenza tra loro è impercettibile“. Ecco, ci siamo: nel dubbio, facciamoci sempre una risata, anche quando sembra impossibile farlo. Non ci cambierà la vita, ma la renderà un po’ meno pesante.
Antonio Casu