3) Louis Litt
Ebbene sì, il primo ad aggiudicarsi il podio è un personaggio strampalato, paranoico ed emotivo, con una inquietante ossessione per i fanghi: però ha anche dei difetti. Louis, che alla prima sbrigativa impressione sembra l’antagonista del nostro eroe in giacca e cravatta, è solo apparentemente l’Italo Svevo del Pearson Hardman perennemente all’ombra del superuomo D’annunzio. Per alcuni versi un inetto (senza lo charme naturale di Harvey), che non avendo la forza necessaria per ribaltare le carte in tavola e prendersi il suo posto nello studio, si chiude nell’autocommiserazione. E, soprattutto, nel rancore verso quello che considera il pupillo di Jessica, mettendogli spesso e volentieri i bastoni tra le ruote invece di fare gioco di squadra. Proprio questo atteggiamento a tratti aggressivo, insieme alle sue assurde manie (“gatti, balletto, Harvey Specter” sono le parole sufficienti a etichettarlo secondo Harvey), lo getta nel circolo vizioso in cui più cerca approvazione, più è bistrattato e ignorato.
Ma Suits ha in serbo molto altro per questo personaggio nel corso delle sue nove stagioni e ci accompagna per mano nella sua sfera più intima. Solo in quel momento, comprendiamo il suo primordiale bisogno di essere semplicemente apprezzato. Da Harvey in primis, che altro non è se non la rappresentazione di tutto ciò che la vita gli ha sempre ricordato di non riuscire a raggiungere: Louis non disprezza, anzi idolatra Harvey (al punto da appropriarsi della sua stessa identità, quando si spaccia per lui pur di ottenere l’incontro con un cliente).
Presa consapevolezza di poter uscire dal suo guscio per migliorarsi (anche grazie all’aiuto del suo terapista: un urrà per Stan Lipschitz!), Louis riesce finalmente a ottenere il ruolo di socio dirigente e il riscatto da una vita passata nell’ombra. I tempi sono ormai maturi perché ora si sente parte di una famiglia, tanto che “un attacco al mio studio è un attacco a me”. E così diventa padre, marito della donna dei suoi sogni, e finalmente amico di Harvey.