Ammettiamolo, rivedere Jessica Pearson in azione dello spin-off di Suits è come tornare dopo anni in quel ristorantino che ci piaceva tanto per scoprire che il menù è rimasto lo stesso e i piatti sono ancora così dannatamente buoni.
Pearson, creato da Aaron Korsh e Daniel Arkin nel 2019, fa proprio questo effetto. La serie focalizza la sua attenzione sulle vicende che vedono protagonista la ex socia e mentore di Harvey Specter, trasferitasi a Chicago per intraprendere una nuova carriera come braccio destro del sindaco della città, Bobby Novak (Morgan Spector, Homeland). È la stessa Suits a introdurre Pearson nell’episodio 7×16, che fa da backdoor pilot allo spin-off: Jessica lascia il Pearson Specter Litt nel finale della sesta stagione ma ricompare in alcuni episodi della settima, conseguentemente allo sviluppo della nuova serie sul suo personaggio.
Eppure un mese dopo la conclusione del longevo legal drama, il 1º novembre 2019, USA Network ha cancellato il suo spin-off dopo una sola stagione e 10 puntate, così un pubblico già orfano dei più amati avvocati di New York ha dovuto dire addio anche al personaggio di Jessica Pearson. Le cause sono da ricercare probabilmente nelle medie d’ascolto inferiori alle aspettative: Pearson ha racimolato infatti esattamente la metà dei numeri registrati da Suits durante la sua stagione conclusiva, e tra tutte le serie drammatiche in onda su USA Network è risultata la meno seguita.
Come mai una serie così attesa e promettente non ha incontrato il favore del pubblico?
Innanzitutto bisogna dire che Pearson non parte col botto: i primi episodi non fanno altro che proporre una trama sì nuova, ma modellata su un canovaccio già visto. Un sindaco compromesso e collegato a un misterioso omicidio, la procuratrice distrettuale Keri (Bethany Joy Lenz, One Tree Hill) che osteggia la nuova arrivata in municipio, e ovviamente l’implacabile superdonna Jessica Pearson, che scavalca gli ostacoli che si frappongono tra lei e il successo su un paio di griffati tacchi dodici, rimettendo in riga tutti gli altri. Nulla di originale per un fandom già avvezzo ai sotterfugi e agli espedienti di Suits.
Anzi il tutto sembra un nostalgico ricordo dei tempi in cui i carismatici protagonisti di Suits (qui potete trovare la classifica a loro dedicata) rivoltavano le aule dei tribunali, ci divertivano e soprattutto ci sorprendevano. I protagonisti di Pearson sembrano invece dei veri e propri cliché ambulanti.
A partire dal personaggio di Keri, che si sente minacciata nella sua professione di avvocato dalla fama di Jessica, e che è da anni l’amante segreta di Bobby: tormentata dai sensi di colpa e dalla vergogna verso se stessa da un lato, ma incapace di dare una svolta alla propria condizione dall’altro. Allo stesso modo si presenta Bobby, che ambiva alla carica di sindaco per cambiare le cose, ma è costretto a soddisfare le richieste di chi gli ha permesso di aggiudicarsi la poltrona perché in corsa per la rielezione: non importa quanto queste pretese siano legali o chi debba soccombere per esaudire i desideri di chi lo tiene in pugno.
Alla domanda se Pearson sia tutta da buttare, tuttavia, dobbiamo rispondere con un secco no: andando oltre la sensazione di noia iniziale, infatti, scopriamo una Jessica inedita.
In un ambiente spietato come quello della politica ma meno patinato del lusso che avvolgeva il Pearson Hardman, la serie ci mostra una Jessica non meno badass di quella che abbiamo conosciuto in Suits, ma più umana e fragile. Una donna che si è resa conto di aver dato forse troppa importanza alla realizzazione professionale e che sente ora il bisogno di riallacciare i rapporti con la sua famiglia d’origine. E nonostante l’ostilità di sua cugina Angela, che non riesce a mettere da parte il rancore e forse una punta di invidia verso Jessica, lei non cede mai di un solo passo nell’offrirle il suo aiuto, probabilmente con l’intento più profondo di “redimersi” dal suo lato oscuro di avvocato senza scrupoli che un tempo è stata.
Una menzione di merito anche per la magnifica Gina Torres, che avrebbe avuto da sola il carisma e il fascino sufficienti a portare avanti l’intera baracca, confermandosi l’interprete più plausibile per un personaggio complesso e dirompente come Jessica Pearson.
Inutile aggiungere poi che il ritorno di personaggi come Jeff, Harvey e Louis, anche se limitato a brevi comparsate, è una vera e propria boccata d’aria che ci fa respirare ancora una volta, per pochi attimi, l’atmosfera avvincente di Suits: ecco, probabilmente è proprio questo il vero problema di Pearson. Lo spin-off dell’acclamato legal drama non riesce a scrollarsi di dosso l’impressione di essere sempre e solo una semplice appendice del ben più popolare show: un chiodo schiaccia chiodo insufficiente a farci dimenticare le battute sagaci, gli sguardi di intesa e la chimica palpabile che aleggia tra i protagonisti di Suits, tutte caratteristiche che lo spettatore si sforza invano di ritrovare anche qui.
Sebbene la serie aggiusti il tiro nel corso delle puntate, diventando via via più intrigante e stupendoci con un finale degno dei migliori colpi di scena di Suits, forse il suo difetto peggiore e determinante è proprio il fatto che (con la doverosa esclusione dell’amatissima Jessica) il pubblico non riesce ad affezionarsi ai protagonisti di Pearson, e la trama non sa divincolarsi dal paragone (che va indubbiamente a suo sfavore) con quella di Suits.
Probabilmente, però, si tratta di una serie che avrebbe solo avuto bisogno di un po’ più di tempo per acquisire una sua personalità, come dimostra il fatto che il piattume delle prime puntate viene solleticato da una crescente curiosità durante gli ultimi episodi. E anche i suoi personaggi avrebbero meritato un margine più ampio per compattarsi e regalare al pubblico un affiatamento che forse lo avrebbe colpito. Nel mondo del tutto e subito, tuttavia, ciò che non riesce a stare al passo viene automaticamente surclassato dalla miriade di prodotti qualitativamente migliori e più di impatto di cui gronda ormai il sempre più variegato panorama della serialità, e forse è giusto che sia così.