Superstore è una serie che racconta dei dipendenti del Cloude 9, un tipico supermercato americano. Apparentemente è una sitcom, ma in realtà è un’enciclopedia umana che contiene tutte le categorie dello scibile umano nel mondo attuale. La serie è un contenitore che non teme di mostrare i lati crudi della società comprimendoli nel simbolo del capitalismo: il supermercato. Per capire quest’opera è importante svelarne gli intenti e tradurne il linguaggio.
Di solito capita di vedere Superstore nel faticoso lavoro di zapping pomeridiano. Le puntate sono così leggere che le guardiamo tra un’email e una telefonata. Poi una battuta particolare ci incalza e capiamo di aver sottovalutato questa sitcom. Infatti, seguendola con maggiore attenzione, vediamo un disegno, come una forma prodotta seguendo i puntini di un cruciverba settimanale. La forma all’inizio prende le sembianze dell’America, ma non il luogo geografico quanto la cornice della cultura americana del grande sogno. Ebbene sì, Superstore è una serie che critica la società statunitense nelle sue contraddizioni, ma lo fa in modo particolare. Quello che caratterizza la serie è la mancanza di intenti, la volontà di non consegnare principi etici e messaggi di conforto morale stile biscotto della fortuna. Superstore vuole solo mostrare l’America nelle sue forme più crude e realistiche, senza dare soluzioni finali.
In questo luogo perfetto e luminoso i personaggi sono distinti in due grandi tipologie: gli impiegati e i clienti che a loro volta possiamo dividere in due sottocategorie, le persone sempre presenti nello store e i frequentatori casuali dei quali non sapremo mai nulla. Prima di parlare dei protagonisti è interessante soffermarsi sugli estranei, i clienti. Infatti la singolarità di questa serie è quella di intervallare i momenti salienti con scene del tutto casuali di clienti anonimi.
A volte è un uomo che beve il latte da un cartone e lo ripone nello scaffale lasciando sconcertata una ragazza a caso. Altre volte è un bambino disperso che gioca con oggetti non proprio ludici. Sono fotogrammi di qualche secondo, ma che ci spiazzano con l’intento di farci ingoiare a sorsi la dura realtà di abbandoni, menefreghismo e altre zone grigie di una società – apparentemente – ricca di opportunità.
In un certo senso gli scaffali intorno ai clienti rappresentano le potenzialità umane che sprecate diventano solo oggetti di contorno.
Le tipologie di personaggi
I protagonisti sono il prototipo delle varie tipologie di Americani. Amy (rappresentata da America Ferrera) è un’impiegata modello che vorrebbe evolversi nonostante le possibilità lavorative non siano così tante. Lei è una giovane mamma che ha dovuto abbandonare gli studi universitari trovando lavoro nel Cloud 9 e con un marito perennemente disoccupato che non ama più. L’emblema del tormento interiore di Amy prende forma nella sua mania di fingersi un’altra persona mettendo ogni giorno un nome fittizio nel suo cartellino. Jonah è la controparte di Amy, una sorta di super io che bilancia il pessimismo della ragazza. È un ragazzo benestante che abbandona l’università e cerca lavoro per riscattare la sua indipendenza. È la tipica persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno e si innamora subito di Amy (il loro risvolto amoroso avverrà dopo tante peripezie).
Come contorno al piatto principale di Amy e Jonah abbiamo i loro colleghi e superiori. Glenn Sturgis è il direttore del Cloud 9 un uomo bizzarro e “di cuore” legato alla classica cultura cristiana e capitalista. Dina è la vicedirettrice fredda che crede nel pragmatismo e nelle gerarchie. Poi c’è Garrett un personaggio molto amato dal pubblico. Garrett è un impiegato disabile e di colore che col suo cinismo fa satira pungente senza risultare moralista. Altri personaggi sono Cheyenne una ragazza-madre e Mateo un clandestino omosessuale che affronta i pregiudizi con una comicità da stand-up comedy. Insomma Cloud 9 è un caleidoscopio di forme umane in termini culturali, sessuali e di genere.
In questo supermercato umano gli scaffali sono tanti e la sensazione è quella di riempire il nostro carrello mentale di critiche sociali confezionate in modo sapiente.
Ogni puntata si regge su una precisa aria tematica e tutto ciò che gli gira intorno (vicende e personaggi) è solo un contorno di entertainment. Nel calderone ci sono temi di forte attualità che tutt’ora sono discussi nello scenario politico nazionale e mondiale. La sanità privata, l’immigrazione, la clandestinità, la disoccupazione, il razzismo, il maschilismo e il femminismo, la violenza di genere, le idee new age, la religione e l’ateismo, l’alcolismo e le dipendenze, il capitalismo e il materialismo e potremo continuare all’infinito. Tutto è riportato con crudo realismo, ma la vena provocatoria è una bilancia che dà equilibrio alla satira.
Superstore non vuole preconfezionare soluzioni politiche, ma vuole suscitare domande in un contesto (quello mondiale) il cui il difetto è proprio quello di fornire soluzioni che sembrano barriere tra gli insider e outsider della società. In cloud 9 invece sono tutti uniti dalla loro emarginazione, un fantastico paradosso esistenziale.
L’uragano come evento divinatorio in un mondo capitalista
Alla fine della seconda stagione un tornado distrugge il Cloud 9 e questo evento ha un significato quasi divinatorio. Grazie al tornado la serie rivela la sua natura universalistica. Il Cloud 9 non è solo un ambientazione è un micro-mondo di un mondo più grande che non vediamo quasi mai. E Il superstore non rappresenta solo l’America nei suoi retaggi culturali, ma è un universo intero fatto di contorti meccanismi sociali in cui è chiamato in causa l’intero mondo occidentale. Dopo la distruzione del tornado il Cloud 9 viene ricostruito, ma i personaggi rimangono sempre incastrati in questo limbo, quasi una rappresentazione Dantesca della società che cresce ma non permette al singolo di evolversi del tutto.