Nonostante non figuri nella top ten delle serie tv più in voga del momento, Superstore è una comedy vecchio stile che vi appassionerà grazie all’ottimo cast e alla leggerezza delle sue atmosfere. E se ciò non bastasse a convincervi, vale come garanzia di qualità la firma di Justin Spitzer, tra i creatori di mostri sacri del genere come Scrubs e The Office.
In onda sulla NBC dal novembre 2015, Superstore è attualmente disponibile sul catalogo Amazon fino alla quarta delle cinque stagioni finora prodotte. I protagonisti sono America Ferrera (nota al pubblico per la sua indimenticabile Ugly Betty) e Ben Feldman, entrambi coinvolti anche in qualità di produttori.
La serie è ambientata all’interno dell’immaginario ipermercato Cloud 9, a Saint Louis nel Missouri, e segue le vicende lavorative e personali dei numerosi impiegati del negozio, intrecciando sapientemente tra loro i filoni narrativi di manager, direttori, commessi e magazzinieri. La scelta di girare la stragrande maggioranza delle riprese all’interno dello store si è rivelata vincente, oltre che innovativa, permettendo allo spettatore di immergersi totalmente nell’atmosfera dello show.
Fin dalla prima puntata veniamo catapultati nella vita frenetica del Cloud 9, tra clienti capricciosi e giornate di lavoro che sembrano non finire mai. Perché si sa, la vita del commesso non è mai troppo facile, ma l’amicizia che lega i protagonisti riesce a rendere decisamente divertenti anche i turni più lunghi.
E questo grazie soprattutto alla perfetta scrittura dei personaggi, tutti caratterizzati al minimo dettaglio nei punti di forza e di debolezza, ma anche nelle manie e nelle piccole fissazioni.
Così se la protagonista Amelia “Amy” Sosa, caporeparto dello store, è la classica maestrina ipercritica che fatica a “sciogliersi”, la sua controparte maschile Jonah Simms, uno dei commessi, ci viene presentato come un burlone un po’ immaturo e dedito agli scherzi che cercherà di coinvolgere la compassata collega nelle sue follie.
Perché Jonah è un ex studente universitario che ha deciso di abbandonare gli studi e prende la vita un po’ come viene, mentre Amy è costretta in un matrimonio traballante dalla responsabilità di una figlia adolescente avuta in giovane età.
La dinamica tra questi due personaggi così diversi si configura da subito come fulcro motore della serie, e l’evoluzione del loro rapporto di amicizia in un sentimento ben più profondo è la trama orizzontale principale che sarà sviluppata nel corso delle stagioni.
Nonostante questo, tuttavia, i personaggi che fanno da contorno ad Amy e Jonah sono ugualmente interessanti e ben caratterizzati. Dalla burbera e imprevedibile responsabile della sicurezza Dina, ossessionata dai suoi pappagalli, al sarcastico e menefreghista Garrett, responsabile degli annunci, ogni carattere è un tassello fondamentale e indispensabile nella vita dello store, il tutto sotto la supervisione fin troppo morbida e un po’ sconclusionata del direttore fanatico della religione Glenn Sturgiss.
Come in ogni buona comedy che si rispetti in Superstore si ride, e anche tanto, perché le situazioni che si vengono a creare all’interno del negozio assumono spesso sfumature inaspettatamente surreali. Di volta in volta i protagonisti devono infatti vedersela con le assurde richieste dei clienti o le odiate “feste comandate”, che in ogni stagione ricorrono come degli appuntamenti fissi.
Scopriamo così che l’ormai famigerato Black Friday è l’incubo dei lavoratori della grande distribuzione, che si vedono costretti a piegarsi a turni massacranti durante i quali devono gestire folle di clienti inferociti che pur di accaparrarsi una tv a prezzo ridotto ricorrerebbero alla più brutale violenza.
E anche le occasioni per “festeggiare” (e, con la scusa, cercare di vendere più merce) sembrano non mancare mai: che sia Natale, Halloween o San Valentino, ogni motivo è buono per costringere i malcapitati dipendenti a travestimenti opinabili e all’ascolto ininterrotto di insopportabili jingle.
Tutto questo per portare a casa lo stipendio piuttosto basso previsto da un contratto quasi del tutto privo di tutele, perché al di là dei toni leggeri da commedia Superstore ci offre anche un interessante spaccato sui diritti dei lavoratori americani.
Grazie infatti alle storie personali dei singoli personaggi scopriremo nel corso delle stagioni che gli impiegati presso le grandi multinazionali come la Cloud 9 non hanno accesso all’assistenza sanitaria o al congedo di maternità, e i vertici aziendali sconsigliano fortemente di associarsi in una union sindacale.
Commedia e tante risate, quindi, ma anche parecchi spunti di riflessione (spesso amari) sulla condizione dei lavoratori nel paese a stelle e strisce. Perché se una dipendente è al nono mese di gravidanza non esiste che possa ottenere una riduzione oraria (figuriamoci un congedo!), o se un commesso non è in regola con la previdenza sociale rischia il licenziamento in tronco e da un momento all’altro.
E saranno questi gli spunti narrativi che, nel corso delle stagioni, spingeranno in più occasioni i protagonisti di Superstore a far fronte comune per combattere le ingiustizie che da troppo tempo hanno accettato come un male necessario. I personaggi della serie vivranno così un percorso sofferto di graduale presa di coscienza del proprio ruolo e dei propri diritti all’interno di un sistema azienda fondamentalmente malato.
In questo senso la critica al sogno americano è una sottotraccia narrativa costante, seppur espressa in modo sottile e dietro l’apparenza della commedia leggera e spensierata.
Le vicende dei protagonisti ci suscitano il sorriso, ma ci mostrano anche l’altra faccia della medaglia del paese delle libertà, denunciando il volto più spietato del peggiore capitalismo, quello sempre pronto a sacrificare il benessere delle fasce più basse della popolazione sull’altare del profitto. Per i protagonisti di Superstore arrivare a fine mese è difficile, ma lo è altrettanto far valere i propri diritti in un mondo di manager privi di scrupoli e del tutto sordi ai bisogni dei dipendenti.
Tanti punti di forza, dunque, per la serie creata da Justin Spitzer. Come in Scrubs era l’ospedale e in The Office la sede della Dunder Mifflin, in Superstore l’ambiente dell’ipermercato è incubatore di comicità e, al contempo, di riflessione sulle ingiustizie e sull’alienazione della vita del lavoratore moderno.
Se avete dunque voglia di una commedia leggera, una di quelle che non annoiano mai e sanno come far affezionare il pubblico, Superstore è decisamente la serie che fa al caso vostro. Aggiungeteci anche un pizzico di critica sociale, ma mai pesante o banalizzata, e il piatto è servito.