ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla seconda stagione di Sweet Tooth
Dopo un’attesa di quasi due anni, lo scorso aprile ha fatto il suo esordio su Netflix la seconda stagione di Sweet Tooth, serie che adatta il celebre fumetto di Jeff Lemire, ambientata in un mondo dispotico post pandemico, dove la malattia ha quasi sterminato gli umani e ha portato alla nascita di bambini ibridi animali che vengono perseguitati e considerati responsabili del Grande Crollo.
La prima stagione di Sweet Tooth aveva sorpreso in positivo, mostrando tantissimi pregi, tra cui un’ambientazione mozzafiato, un’attenzione particolare al trattamento di determinati temi come la sopravvivenza, la persecuzione, l’eticità della sperimentazione medica e via dicendo. Alla luce degli ottimi risultati ottenuti dal primo capitolo, il ritorno della serie su Netflix era atteso con molta curiosità e ha parzialmente confermato il successo della prima stagione, ma ha anche avuto dei lati meno riusciti, che hanno un po’ frenato lo sviluppo della serie. Mettendo sulla bilancia aspetti positivi e negativi, possiamo sicuramente considerare Sweet Tooth 2 un’operazione riuscita, però è bene andare a parlare anche di tutto ciò che non ha funzionato in una stagione che ha alternato alti e bassi e ha tirato il freno a mano in alcuni punti, non riuscendo a spiccare il volo completamente.
Il cambio di scenario in Sweet Tooth 2 ha smorzato il respiro della narrazione
Partiamo dalla prima cosa che, forse più di tutte, non ha funzionato nella seconda stagione di Sweet Tooth. Uno dei segreti del successo del primo capitolo della serie di Netflix era la sua ambientazione mozzafiato, che ci mostrava le rovine del mondo dopo il Grande Crollo e che presentava scenari sempre inediti e ben concilianti con le vicende di Gus. La seconda stagione invece cambia completamente scenario, perché l’avventura on the road dei primi episodi viene tramutata in una storia quasi monoambientale, con gran parte dell’azione che si svolge all’interno dello zoo dove sono tenuti in ostaggio gli ibridi.
Si tratta di una scelta consequenziale allo sviluppo della trama, perché tutta la seconda stagione di Sweet Tooth si gioca intorno alla prigionia dei bambini, al tentativo degli Ultimi Uomini di usarli per trovare una cura e alla volontà di Aimee e Jepperd di liberarli. Purtroppo, questo cambio di scenario ha finito per inficiare sulla serie, perché ha stroncato l’ampio respiro che si confà a una narrazione di questo tipo, che si muove tra il genere distopico e il fantasy. Questa strozzatura ha reso il ritmo della narrazione sincopato e ha portato a un calo della verve narrativa, che vivendo in uno scenario chiuso è sembrata soffocata.
Si tratta, come detto, di una conseguenza logica dello sviluppo narrativo, per cui c’è poco da imputare ai creatori della serie in questo senso. Tuttavia, è evidente che l’alternarsi di scenari sempre diversi della prima stagione garantiva una cornice molto più riuscita rispetto alla prigionia dello zoo della seconda. Ora, con il terzo capitolo, ci sarà un nuovo cambio di scenario, con i ghiacci dell’Alaska che possono sicuramente portare nuova linfa alla serie.
Questione di chimica
Una cosa che è mancata moltissimo nella seconda stagione di Sweet Tooth è stata, senza dubbio, l’interazione tra Gus e Jepperd. L’alchimia che si era formata tra loro è stata un grande collante per tutta la prima stagione, ma chiaramente, col piccolo rinchiuso allo zoo, si è persa e non c’è stata alcuna altra scintilla in grado di risvegliare quel fuoco sopito. In questi nuovi episodi di Sweet Tooth i rapporti tra i personaggi hanno funzionato molto meno rispetto a quelli che abbiamo visto nella prima, perché è venuto a mancare quel solido legame simil genitoriale che si era formato, non solo tra Gus e Jepperd ma anche tra Aimee e Wendy e tutti gli altri ibridi e che rappresentava il cuore più puro del racconto.
Gli sviluppi narrativi hanno portato bambini e adulti a vivere due linee narrative separate e le singole interazioni non hanno funzionato benissimo. Questione di chimica, sicuramente, che non si è affatto vista tra Jepperd e Aimee, mentre è stata un po’ più presente tra Wendy e Gus, ma anche di cuore, perché questa divisione ha fatto venire meno quei rapporti cruciali per cogliere tutta la dolcezza di una serie che, nella sua prima stagione, ha puntato molto su questo aspetto emotivo.
Rimane percepibile per tutto il tempo la tensione a voler recuperare questa dimensione. Ciò che appassiona è il tentativo degli ibridi di fuggire e di Jepperd e Aimee di liberarli e il coronamento di questo movimento arriva verso il finale, quando finalmente piccoli e grandi si ricongiungono. In tal senso, la seconda stagione della serie Netflix è un crescendo, che culmina con lo straziante destino di Aimee, ma la prima parte ha sicuramente faticato di più in termini di rapporti tra i personaggi.
La sensazione, in fin dei conti, è che Sweet Tooth non sia riuscita a esprimere tutto il suo potenziale
Questa è la sensazione dominante alla fine della seconda stagione. La prima tornata di episodi di Sweet Tooth aveva fatto intravedere un potenziale che, in questo secondo capitolo della serie Netflix, è stato, almeno parzialmente, soffocato. La produzione della piattaforma di Los Gatos ha tantissimi pregi e, in definitiva, ha sicuramente più lati positivi che negativi, eppure non riesce a scrollarsi di dosso questa sensazione d’incompiutezza che però può anche essere dettata dal fatto che questa seconda stagione costituisce una sorta di ponte tra l’inizio e la fine del racconto.
Sweet Tooth poteva sicuramente osare di più, sia in termini di tensione narrativa che di costruzione dei personaggi, così come nell’analisi di temi molto impegnativi e stimolanti, che spesso però rimangono allo stato embrionale. L’esempio maggiore, in tal senso, ruota intorno al lavoro del dottor Singh, che oscilla tra questioni etiche e personali e rappresenta un nodo concettuale molto potente. Questa seconda stagione di Sweet Tooth somiglia molto a un urlo strozzato: ci si aspettava che potesse fare un gran fracasso, invece si è sentito meno di quanto previsto.
Resta, comunque, la possibilità di poter esprimere questo grande potenziale e qui torniamo alla questione della transitorietà della seconda stagione di Sweet Tooth. La serie Netflix, data la precocità della notizia del rinnovo, è stata evidentemente concepita su tre stagioni, quindi è molto probabile che, già di base, questo secondo capitolo dovesse porre le basi per il gran finale. In tal senso, l’operazione è sicuramente riuscita, la produzione stuzzica l’interesse e lascia vedere ottimi spiragli, che vanno assolutamente sfruttati nella terza e ultima stagione. Due delle cose che non hanno funzionato in questa seconda stagione di Sweet Tooth, l’ambientazione strozzata e le interazioni tra i personaggi, sono praticamente risolte dal canovaccio narrativo in vista della terza: ora serve solo scatenare tutto l’enorme potenziale a disposizione per suggellare un’ottima produzione di Netflix.