James Delaney: la bestia che cammina tra gli uomini
The things I did in Africa make your transactions look paltry. I witnessed and participated in darkness that you cannot conceive. — James Keziah Delaney
In un precedente focus (che potete leggere qui) descrivemmo il James Delaney di Taboo quale un “selvaggio geniale”, rendendo merito alla sagacia e all’arguzia che, terminata la prima stagione, gli permisero non soltanto di sopravvivere, ma persino di prevalere sia sulla Corona inglese, che sulla Compagnia delle Indie Orientali.
Nell’ammirare le gesta del personaggio interpretato magistralmente da Edward Thomas Hardy, sorge spontanea la domanda: James Delaney è un “semplice” uomo, oppure l’Africa lo ha trasformato in un essere magico e altrettanto ferino?
Misterioso, oscuro, imprevedibile, maledetto.
Un selvaggio, ma non nell’accezione primitiva del termine. Una bestialità che esplode nell’istinto, nell’approccio, che vive negli sguardi fissi e vuoti, negli ormai celebri grugniti e che va concretizzandosi in una presenza scenica debordante.
Ma James Delaney è pur sempre un uomo. Magia o meno, anche lui è fatto di carne e ossa.
Un individuo la cui evoluzione si è tuttavia spinta verso una direzione, anzi una dimensione, che sfiora il belluino. Una metamorfosi intrinsecamente legata al destino della sua anima. Un’anima corrotta e buia.
Alla base di questo modello umano ecco apparire alcuni elementi fondamentali, su cui il passato travagliato e una magia ancestrale premono con forza, generando una creatura tragica, mistica e teatrale, fisiologicamente capace di imporsi sugli altri e catturare lo spettatore.
ESSERE JAMES DELANEY
I have a use for you. — James Keziah Delaney
Inglese. Cadetto. Schiavista. Prigioniero. Un viaggio esistenziale che ha condotto James ad assumere i volti più disparati, ma con una costante: il figlio di Horace sembra aver sempre vissuto con un obiettivo di fronte a sé. Da qui probabilmente la consapevolezza circa l’importanza delle variabili e di saper anticipare gli eventi a venire.
Poi, a un tratto, l’Africa e il marchio del Sankofa.
La notizia della sua morte è smentita dal ritorno in patria, 10 anni dopo, per i funerali del padre. Quello che rimette piede a Londra è un James Delaney diverso, cambiato, ma con uno scopo ben preciso. Ha un piano ardito, fin troppo. Un proposito irraggiungibile per i più.
Dicevamo di alcuni elementi fondamentali per comprendere l’essenza del protagonista di Taboo: se da un lato abbiamo le affinità e il confronto il padre, dall’altro non possiamo certo non evidenziare l’intenso, viscerale, inscindibile legame con quella che fu sua madre, Anna. È proprio questa la scintilla su cui viene ad alimentarsi il mito di James Delaney quale demonio e che conferisce a questo personaggio un fascino mastodontico. Una dimensione magica sempre presente nello show, principale causa di distanza incolmabile tra il protagonista e ciò che lo circonda.
Una persona che sanguina come chiunque, ma che pare inarrestabile, irreprensibile. Le leggi dell’uomo sembrano non sfiorarlo affatto. Quello che appare è un individuo perseguitato dal suo passato, da visioni oscure, che compie riti e forme lontane, avverse al mondo e alla società vittoriana. Questo contribuisce a renderlo una figura altroché singolare, che spicca, o meglio spacca il complesso di quella massa sociale composta da coloro che gravitano intorno a lui.
Perché James Delaney è un uomo, ma diverso da tutti gli altri.
Un essere umano la cui oscurità monta, fremente e forte, dentro di lui. Un protagonista che, con il suo carisma e la sua magia, attrae tutto ciò che lo circonda inghiottendolo al pari di un ingordo fagocitatore.
SINGOLARE
Un personaggio iconico, che affonda radici nel proprio retaggio. Unico per scrittura e struttura, James Delaney galleggia tra essere umano e creatura tenebrosa. Di fronte a cotanta singolarità s’impone un’ulteriore lettura: James Delaney è un manifesto d’individualismo.
L’essere un Delaney esalta ancor di più il personaggio stregato, dalle cui origini emerge una visione personale coincidente con il suo scopo: vendetta verso coloro che si sono macchiati di crimini e che volevano lucrare sul nome della sua famiglia, nel segno di una giustizia trasversale. Ma non solo. L’intento finale del protagonista pare proprio essere la conquista della libertà di vivere la propria unicità. Il diritto a compiere il suo destino, questo è ciò che vuole. A ogni costo.
Ecco perché James prende, pianifica e distrugge con la medesima facilità. Chiunque incroci la sua strada deve piegarsi alla sua volontà, a quella trama che culmina nella creazione di un mondo che risponda alle sue regole, dove non esistono reali o uomini di potere che possano intralciarlo. In questo contesto emergono tutte le criticità che i personaggi di Taboo sono costretti a subire. Risucchiati, inglobati, spezzati da una forza sovrumana con la quale nessuno sembra in grado di rapportarsi e che si traduce in un protagonista consapevole di essere destinato alla solitudine.
Avere a che fare con James Delaney è come incamminarsi su di un sottile lembo di terra, inghiottito nel buio più terso, circondati da acque profonde, insidiose. Sai che ci sono, ne senti il rumore, ma non riesci a vederle.
Un sentiero affascinante nella sua pericolosità, immerso in un’oscurità che rapisce e aliena tutti coloro che vi mettono piede.
Il buio e l’acqua. Elementi ricorrenti nella vita di questa figura, insieme al dolore. Così Zilpha muore suicida gettandosi nel fiume, non prima di aver scritto al fratello una lettera straziante; così ancor prima la madre tentò di annegarlo. Un dolore che rammenta, al pari del sangue, come quest’uomo sia, nonostante tutto, un’esistenza mortale e sensibile. James Delaney non dimentica cosa ha lasciato dietro di sé. Potrà anche aver assunto i tratti di un demonio, ma è ancora capace di versare lacrime sincere e padroneggiare quella lucidità necessaria a scegliere, preoccupandosi, chi portare nel suo folle viaggio verso il Nuovo Mondo.